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Ambiente / Opinioni

Ciclabile del Garda: in nome della sostenibilità si può sfregiare il paesaggio?

Il costosissimo progetto di una ciclovia attorno alle sponde del lago rischia di offendere un contesto delicato e già fortemente instabile. Il prof. Paolo Pileri, pioniere della mobilità lenta, lancia un appello: “Fermate quell’opera, un’altra ciclabilità è possibile”

Ultimamente in nome della sostenibilità siamo catapultati davanti a veri e propri dilemmi: realizzare una nuova scuola in super classe energetica rende legittimo asfaltare un’area agricola? I pannelli fotovoltaici possono coprire i suoli fertili? I parcheggi per la ricarica di auto elettriche permettono il consumo di suolo? Fare una ciclabile autorizza lo sfregio di un paesaggio italiano unico come quello del Lago di Garda?

Dilemmi davanti ai quali entriamo in crisi perché dobbiamo scegliere tra due “sostenibilità”, quando vorremmo che fosse la sostenibilità a sostituirsi alla insostenibilità. La “questione Garda” è emblematica. Pochi giorni fa ho ricevuto da un allarmato consigliere comunale di uno dei Comuni rivieraschi un dossier della Provincia di Trento che illustra il progetto di una ciclovia tutto attorno alle sponde del lago: pare anche già finanziato con una prima tranche da mezzo milione di euro. Le slide ovviamente presentano il progetto come magnifico, fattibile, sostenibile ed economicamente vantaggioso, ma soprattutto da mozzare il fiato visto che per buona parte il percorso sarà sospeso sul lago, come già la passerella tra Limone sul Garda e il confine con il Trentino realizzata nel 2018. Il resto saranno viadotti, gallerie, trincee in cemento e altre passerelle che andranno ad attaccarsi alle meravigliose pareti rocciose a picco sul lago oppure ne modificheranno il profilo e certamente comprometteranno, in peggio, la bellezza di quel paesaggio.

Stiamo parlando di uno dei laghi più belli al mondo, cantato da poeti, raccontato da scrittori di tutte le nazioni, set cinematografico di film nella storia del cinema, dipinto da grandi pittori, celebrato in età romana come napoleonica, meta del Grand tour di molti giovani aristocratici tra 1700 e 1800. Le sue falesie rocciose a picco sull’acqua blu sono una delle immagini iconiche della bellezza del paesaggio italiano in tutto il mondo, esposte a tutti gli Expo nel mondo.

Ovviamente il lago è anche una miniera d’oro e infatti alcune località risultano tra le prime 20 in Italia per numero di presenze turistiche all’anno. Il giro di affari è enorme nei settori ricettivo e immobiliare (prevalentemente per una fascia di reddito medio alta). Per non far mancare nulla al carosello di attrattività, nel 2018 sono stati inaugurati i primi due chilometri di ciclabile sospesa, proprio a Limone sul Garda, dal costo elevatissimo: 2 chilometri per più di 7 milioni di euro, quando il costo “standard” per una ciclabile turistica oscilla tra i 200-300mila euro (ed è già tanto). Questo vuol dire che con il costo di un chilometro di ciclabile sul Garda se ne possono realizzare dai 10 ai 20 chilometri lungo un fiume o una valle, magari in un’area in forte sofferenza economica, dove il turismo lento, ben pensato e organizzato, può essere occasione di rigenerazione territoriale per aiutare ad arginare l’abbandono e creare occupazione dove oggi non ce ne è. Invece nel 2018 si è scelto di spendere tanto denaro pubblico per fare due soli chilometri che hanno rigato le falesie come un chiodo riga un’opera d’arte.
Qui il denaro pubblico ha accontentato un turismo insaziabile in un contesto che certo non è in sofferenza come tanti altri territori marginali, continuamente dimenticati. Un turismo che non può fare a meno di prestazioni “no limits”, di eventi sempre più esclusivi e di attrazioni mirabolanti come viene fatta percepire, infatti, la ciclabile sospesa che, essendoci di mezzo la bicicletta, diventa, come d’incanto, un’opera sostenibile.

E qui sta un punto cruciale del discorso: in nome della ciclabilità è legittimo manomettere così pesantemente il paesaggio? La supponenza delle ingegnerie stradale e geotecnica (perché di questo alla fine si tratta) possono permettersi qualsiasi cosa solo perché si tratta di una ciclabile? In nome del “prodotto bike sul lago di Garda” (questo il titolo delle slide) si può scavalcare qualsiasi limite etico, ambientale e paesaggistico e pure di finanza pubblica? Oltre all’offesa paesaggistica senza precedenti, se quella ciclabile verrà realizzata lo sarà in un contesto geologico enormemente instabile dai cui versanti continuano a cadere rocce, a scivolare frane, a staccarsi sassi.

Da studente, il mio professore di geologia applicata ci portava in visita là per farci capire tutti i fenomeni di distacco. A Malcesine un paio di anni fa è venuto giù un intero versante, per dirne una. Per realizzare quella ciclovia si dovranno fare opere ciclopiche per la messa in sicurezza dei versanti, opere che a loro volta saranno un ulteriore danno paesaggistico. E anche se i conti finanziari sugli indotti, un po’ tanto banalizzati in quelle slide, convincessero alcuni, resta la domanda su quanto costerà la manutenzione straordinaria di un’opera così ardita? E chi la pagherà?

Dopo poche settimane dall’inaugurazione della ciclabile a Limone, la stessa venne chiusa alcuni giorni per caduta massi. Basta sfogliare i giornali locali degli ultimi due anni per leggere di continuo le ciclovie chiuse per cadute massi. Penso onestamente che tra i danni al paesaggio unico, bellissimo e super vincolato e i rischi idrogeologici, quella infrastruttura ciclabile non sia sostenibile. Spiace dirlo, ma da tecnico credo che si siano oltrepassati i limiti. Penso che sia una “pensata” esagerata che ha avuto il suo guizzo iniziale un paio di anni fa, ma che ora deve saggiamente sapersi fermare e non toccare nulla di tutto ciò che sono i versanti bellissimi e fragili e le spiaggette sottili del Garda.

Il fatto che sia stata fatta una passerella di 2 chilometri sospesa non è il precedente che legittima ulteriori opere ardite e impattanti. Le prossime generazioni hanno diritto al paesaggio e noi dobbiamo garantirglielo. Mi auguro un ripensamento delle Regioni Veneto e Lombardia e della Provincia di Trento. E che i ministeri e le Soprintendenze mostrino, meglio di quanto so fare io, la insostenibilità di quell’opera e il fatto che il rispetto del paesaggio viene prima di qualsiasi “prodotto turistico”. Spero che da tutto questo si traggano lezioni per capire che il cicloturismo è un’altra cosa, che non è mettere a tutti i costi la bicicletta in un posto turistico e che nessuna ciclovia ha il passaporto per offendere la bellezza e il patrimonio artistico e paesaggistico di una nazione.

Se si vuole incoraggiare la ciclabilità, si abbia l’umiltà e il coraggio di studiare a fondo una alternativa (come peraltro richiede la legge sui lavori pubblici) e la si discuta con i cittadini. Una valida alternativa potrebbe essere la navigazione dedicata ai cicloturisti, offrendo la possibilità di imbarcarsi su battelli tutti per loro, magari elettrici, cogliendo pure l’occasione per spiegare che la bellezza va rispettata anche dalla ciclabilità e che la soddisfazione del cliente alla ricerca dell’adrenalina, anche se in bici, non equivale alla sostenibilità.

Se gli incalliti del sellino diranno che non gradiscono scendere dalla bici per salire in barca, mi spiace per loro. Ma sono certo che una volta imbarcati rimarranno abbagliati dalla bellezza delle falesie tra Limone e Riva del Garda o tra Torbole e Malcesine. Quando vedranno la spiaggetta a Corno di Bo salvata dal viadotto ciclabile o il promontorio di Tempesta ancora integro capiranno. Lo so che capiranno e applaudiranno a un’Italia che si è inchinata alla bellezza e al rispetto per il paesaggio di tutti.

Chiudo respingendo anticipatamente chi dirà che sono un “signor no”. Non voglio dire che nulla debba cambiare, perché il paesaggio è l’esito della presenza dell’uomo sulla Terra. Dell’uomo saggio però. Prendendo a prestito le parole di un testo intramontabile di Camillo Sitte (“L’arte di costruire le città”, 1953), dico che è indispensabile studiare profondamente e ricercare sino a qual punto sia possibile adattare la bellezza naturale alle “circostanze moderne” (e vale anche per il Piano nazionale di ripresa e resilienza). Qual è il punto davanti al quale ci fermiamo? Ci deve essere un punto. Non possiamo andare avanti a ripudiare il paesaggio italiano né ad aprire una nuova stagione dove è proprio la sostenibilità a offenderlo.

Nel caso del Garda vanno fatti due passi indietro e prendere la palla al balzo per dire con chiarezza che la sostenibilità non è un cacciavite per nessuno sfregio. Un monito utile per tanti altri casi. Vi prego, fermate quel progetto e pensate alternative davvero sostenibili, paesaggisticamente rispettose e finanziariamente decenti. Nessuno vuole interrompere la ciclabilità, ma solo pensarla diversamente. Si può fare.

Paolo Pileri è ordinario di Pianificazione territoriale e ambientale al Politecnico di Milano. Il suo ultimo libro per Altreconomia è “100 parole per salvare il suolo”

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