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Diritti / Opinioni

Chi vuole criminalizzare i parenti dei morti nel Mediterraneo svuotato dei soccorsi

Il ponte di un barcone nel Mediterraneo Centrale nel settembre 2022. Poco prima la Sea Watch 3 aveva tratto in salvo le 64 persone a bordo © Paul Lovis Wagner - Sea-Watch

A metà settembre 2022 sono già oltre 1.200 le persone che hanno perso la vita nel Mediterraneo. L’Inviato speciale dell’Unhcr Vincent Cochetel ha incredibilmente proposto di processare i familiari delle vittime. Una “prospettiva” non isolata. L’editoriale del direttore, Duccio Facchini

Tratto da Altreconomia 252 — Ottobre 2022

Non è mancato il tempismo a Vincent Cochetel, Inviato speciale dell’Alto commissariato delle Nazioni Unite per i rifugiati (Unhcr) per il Mediterraneo centrale e occidentale. Il 7 settembre di quest’anno, in occasione di una commemorazione delle persone scomparse in mare che ha avuto luogo a Zarzis, in Tunisia, ha pensato bene di twittare il suo punto di vista: “Addolorato per la perdita. Ma le stesse madri non avevano problemi a incoraggiare o finanziare i loro figli a intraprendere quei viaggi pericolosi. Come in Senegal, perseguire simbolicamente i genitori per aver messo a rischio i propri figli potrebbe innescare un serio cambiamento di atteggiamento nei confronti dei viaggi della morte”.

Di fronte a tanta umanità, l’Unhcr ha dovuto smentire l’Inviato dicendo che no, le Nazioni Unite “non sostengono l’avvio di procedimenti contro i familiari che hanno perso i loro cari”, e che l’Onu sta parte delle vittime e di “coloro che hanno perso i propri figli in queste orribili tragedie”. Sommerso dalle critiche, Cochetel ha provato, senza troppa convinzione in realtà, a mettere una pezza: “Riflettendo sulle forti reazioni ai miei precedenti tweet -ha scritto ancora-, i miei commenti sono stati inappropriati. Mi dispiace soprattutto per le madri che hanno perso i loro figli. La mia frustrazione nel vedere tante vite perse e l’impunità di cui godono i trafficanti non giustifica le mie parole”. È evidente che continua a pensarla come prima, e con lui i tanti che hanno travestito la disumanità da pragmatismo, e non se ne vergognano neppure.

“Cochetel si è fatto incauto portavoce di un regime discorsivo secondo cui la mobilità internazionale non è considerata l’esercizio di un diritto, ma un fenomeno da arginare -ha denunciato l’Associazione per gli studi giuridici sull’immigrazione (Asgi)-. In particolar modo quando si tratta di persone non considerate in linea con le esigenze del mercato del lavoro dei Paesi di destinazione o di persone in fuga da Stati in cui si ritiene che i diritti umani siano rispettati”.

L’incredibile “criminalizzazione dei genitori” ha dei precedenti. In Senegal, appunto, dove il padre di un ragazzo morto in mare è finito sotto processo due anni fa per aver messo in pericolo il figlio e per “complicità in traffico di migranti”. E così in Grecia, dove, come ricorda l’Asgi, “il padre di Yahya è stato arrestato, e in seguito assolto, per aver messo in pericolo il figlio e causato la sua morte. Yahya, un bambino di sei anni, è stato trovato senza vita sulle spiagge di Samos dopo il naufragio di un’imbarcazione proveniente dalla Turchia che ha atteso oltre nove ore il soccorso della Guardia costiera greca”. 

Sbaglieremmo a pensare che Cochetel sia uno sprovveduto. Il suo “pensiero” rispecchia infatti anni di politiche europee e internazionali che, per mare e per terra, hanno respinto migliaia di persone e i loro diritti, disprezzandone l’esistenza. Una “prospettiva”, come ben la definisce l’Asgi, nella quale “svaniscono” le responsabilità degli Stati e degli altri attori rispetto alla “mancata previsione di efficaci canali di immigrazione regolare, ai processi di esternalizzazione e delega del controllo delle frontiere e al disimpegno nei soccorsi in mare”.

Pochi giorni dopo la proposta di processare i familiari dei morti sulla rotta più fatale del mondo formulata da Cochetel, 28 naufraghi di origine siriana sono stati intercettati da un mercantile battente bandiera liberiana al largo delle coste orientali libiche e poi condotti in salvo verso le coste siciliane. Sono sbarcati a Pozzallo in 26 perché una bambina in grave stato di disidratazione era stata evacuata e trasportata d’urgenza, con la madre, a La Valletta. Erano partiti dalla Turchia il 27 agosto, prima di essere abbandonati nel mare più controllato del mondo per due settimane con il motore in avaria. I vivi sono arrivati disidratati e ustionati (“Come sopravvissuti ai lager nazisti”, ha riferito il sindaco di Pozzallo). In sei invece sono morti: tre bambini (uno di otto mesi, uno di tre anni e uno di dodici), due donne, un uomo. Chi si ricorderà di loro?

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