Esteri / Attualità
Chi mette la benzina nei caccia israeliani che bombardano la Striscia di Gaza
Solo tra ottobre e dicembre 2023 i jet di Tel Aviv avrebbero effettuato qualcosa come 10mila attacchi dall’alto utilizzando cinquemila bombe, in un’area grande un quarto di Londra. Senza i rifornimenti stranieri di combustibile, Stati Uniti in testa, tutto questo non sarebbe stato possibile. L’indagine del centro indipendente SOMO ricostruisce la filiera e le responsabilità. Anche l’Ue è coinvolta ma la trasparenza è scarsa
L’aviazione israeliana ha svolto e svolge ancora un ruolo di primo piano nella guerra nella Striscia di Gaza. Solo tra ottobre e dicembre 2023 avrebbe effettuato qualcosa come 10mila attacchi utilizzando cinquemila bombe da duemila libbre (circa 900 chilogrammi) all’interno di un’area estesa un quarto di Londra.
I caccia non avrebbero potuto effettuare tutte quelle missioni senza il rifornimento di carburante da parte di Paesi esteri, Stati Uniti in testa. Ed è proprio a questo tipo di forniture, a chi se ne occupa e a quali responsabilità potrebbero sorgere per aver supportato violazioni dei diritti umani, che è dedicato il report “Fuelling the flames in Gaza” realizzato dal centro di ricerca olandese sulle multinazionali SOMO.
Un passo indietro. Gli Stati Uniti sono storicamente il principale fornitore di materiale bellico per Israele. Attraverso il sistema Foreign military sales (Fms), Israele può infatti acquistare forniture militari, compreso il carburante per velivoli JP-8, da aziende statunitensi, utilizzando fondi e previa approvazione del governo americano.
Al centro di questi scambi c’è Valero, azienda statunitense tra i primi 100 produttori di carburante per le forze armate degli Stati Uniti. L’azienda, che nel 2023 ha registrato un fatturato di 144 miliardi di dollari, possiede 15 raffinerie di petrolio situate negli Stati Uniti, in Canada e nel Regno Unito, con una capacità produttiva complessiva di circa 3,2 milioni di barili al giorno. Di queste, quattro sono situate nel Texas e producono principalmente carburante per aerei.
Nel 2022 e nel 2023 Valero si è aggiudicata una commessa da 500 milioni di dollari per la consegna di 149 milioni di galloni (circa 500 milioni di litri) di carburante per l’aviazione (JP-8) nell’ambito del programma Fms. Il JP-8 fornito da Valero viene spedito dal porto di Corpus Christi in Texas (polo strategico della filiera statunitense di gas fossile) dove, secondo le ricostruzioni di SOMO, verrebbe caricato su tre navi di proprietà della Overseas shipholding group, compagnia di navigazione che ha un contratto diretto con il governo israeliano. L’analisi delle rotte di queste imbarcazioni ha permesso a SOMO di ricostruire come queste imbarcazioni abbiano effettuato almeno sei consegne di carburante per jet al porto israeliano di Ashkelon a partire proprio dall’ottobre del 2023.
Amnesty international ha documentato la fornitura di JP-8 da parte del governo statunitense a Israele nell’ambito del sistema Fms più di dieci anni fa. Nel 2014 l’organizzazione ha chiesto agli Stati Uniti di interrompere immediatamente le spedizioni di carburante per aerei e di imporre un embargo completo sulle armi a tutte le parti coinvolte nell’allora conflitto di Gaza (l’operazione fu chiamata da Tel Aviv “Margine di protezione”), compreso Israele, citando accuse di crimini di guerra e altre gravi violazioni del diritto internazionale. Tuttavia, secondo i dati dello stesso governo degli Stati Uniti, l’esportazione di carburante per aerei da Washington non si è mai interrotta.
Per quanto riguarda l’Unione europea, SOMO non è stata in grado di trovare dati sulle esportazioni di carburante per aerei verso Israele a causa della scarsa trasparenza dei Paesi membri in materia.
Oltre a contare sulle forniture esterne, Israele è naturalmente in grado di produrre carburante dalla raffinazione del petrolio, in prevalenza importato da Paesi esteri. La raffinazione avviene principalmente per mano di due aziende, la Bazan limited, la cui raffineria ad Haifa Bay può lavorare fino a 9,8 milioni di tonnellate di petrolio greggio all’anno e che nel 2023 ha prodotto 723mila tonnellate di carburante per jet, e la Ashdod Refinery limited, la cui principale raffineria ha la capacità di trasformare 4,5 milioni di tonnellate greggio all’anno e nel 2023 ha prodotto 539mila tonnellate di cherosene.
Di fronte al massacro in corso nella Striscia, ai pronunciamenti in via cautelare della Corte internazionale di giustizia circa il “plausibile genocidio” e alle denunce di numerose agenzie ed esperti delle Nazioni Unite, oltreché di Ong per i diritti umani, SOMO sottolinea come le aziende coinvolte nella vendita di carburante a Israele non possano affatto dirsi all’oscuro del rischio di favorire gravissime violazioni dei diritti umani.
Non sarebbe la prima volta che dirigenti di aziende verrebbero ritenuti responsabili per aver fornito supporto a governi e organizzazioni resisi responsabili di crimini di guerra e contro l’umanità. Un esempio è il caso del 2005 di Frans van Anraat, uomo d’affari olandese che vendette prodotti chimici al governo iracheno di Saddam Hussein. Quei materiali furono utilizzati per i massacri delle minoranze curde a colpi di iprite. La Corte distrettuale dell’Aia ha stabilito che l’impresario, “agendo consapevolmente e unicamente per perseguire un guadagno”, aveva “dato un contributo essenziale al programma di guerra chimica dell’Iraq che ha permesso, o almeno facilitato, un gran numero di attacchi con gas mostarda contro civili indifesi”, e lo ha condannato per complicità in crimini di guerra. Un altro caso risale al 2017 quando la Corte d’appello olandese di Den Bosch ha condannato Guus Kouwenhoven per complicità in crimini di guerra in Liberia e Guinea, per aver venduto armi al regime liberiano di Charles Taylor nel 2000 e nel 2003. Secondo il tribunale, “gli uomini d’affari come Kouwenhoven, che non esitano a stringere accordi a livello internazionale con regimi come quello di Charles Taylor, devono essere consapevoli che possono essere coinvolti in gravi crimini internazionali contro l’umanità”. Anche per i fatti di Gaza.
© riproduzione riservata