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Catasto, l’equità fantasma

Il governo aveva promesso una revisione dei valori degli immobili, a beneficio dei contribuenti più poveri. La delega fiscale, però, è “scaduta” l’anno scorso e il tema è scomparso dal dibattito. Eppure riallineare i valori e le rendite catastali dei fabbricati comporterebbe effetti positivi sul piano distributivo

Tratto da Altreconomia 177 — Dicembre 2015

È il 7 agosto 2013 quando il Dipartimento delle Finanze presso il ministero dell’Economia pubblica un report intitolato “Ipotesi di revisione del prelievo sugli immobili”. “Una revisione del catasto”, cioè una geografia qualificata degli immobili sparsi per il Paese, avrebbe avuto, secondo il report, “effetti positivi sul piano distributivo, poiché l’attuale divario tra rendite catastali e valori di mercato appare assai ampio e tale da generare ‘fenomeni di iniquità’ con tendenza ‘a favorire i contribuenti più ricchi’”. Tradotto: aggiornare valore patrimoniale e rendita dei fabbricati italiani avrebbe consentito una quantificazione più equa delle imposte versate su quegli stabili. 

Due anni e mezzo più tardi, quell’idea è scomparsa dal dibattito pubblico. Non solo: è stata sorpassata dalla riproposizione da parte del governo Renzi dell’abolizione dell’imposta sulla prima casa. Un’idea (consumata) rispetto alla quale quello stesso report di metà 2013 del ministero dell’Economia aveva evidenziato l’“effetto fortemente regressivo” e creatore di diseguaglianza, dal momento che “il beneficio aumenterebbe al crescere del reddito complessivo”. Dunque, la “tassa sulla prima casa” ha seppellito la riforma del catasto, che pure era stata scolpita all’articolo 2 (“Revisione del catasto dei fabbricati”) della legge che delegava il governo a costruire un “sistema  fiscale  più equo, trasparente e orientato alla crescita”, datata 11 marzo 2014 (l. 23/2014). L’obiettivo era elementare, come ricorda Chiara Agnoletti, ricercatrice presso l’Istituto regionale per la programmazione economica della Toscana (IRPET): “riallineare i valori e le rendite catastali dei fabbricati (oggi ferme a tariffe d’estimo del 1991, ndr) al mercato immobiliare, utilizzando come misura della consistenza, ai fini di maggiore equità, il metro quadrato e non più il numero di vani”. Il termine fissato dalla norma in quindici mesi per dar sostanza alle dichiarazioni -attraverso decreti legislativi ad hoc- è scaduto, e nel giugno 2015 -a dimostrazione che “Il fisco non cambia verso” (come titolavamo a maggio, vedi Ae 169, http://bit.ly/fisco_ae169)- la riforma è naufragata. Non senza paradossi. “Nella delega fiscale era prevista la ridefinizione delle competenze e del funzionamento delle commissioni censuarie provinciali e della commissione censuaria  centrale -spiega ad Ae Pasquale Mirto, consulente Anci in materia di tributi-. L’Agenzia delle entrate ha richiesto a diversi enti e soggetti la nomina dei componenti, ottenendola, e il risultato è che queste strutture, essendosi bloccata la revisione generale dei criteri che dovrebbero orientarne l’operato, non hanno gli strumenti per poter correttamente funzionare”.

È anche per questo motivo che, invitata a riferire in merito al contrasto all’evasione in campo immobiliare dinanzi ai membri della Commissione parlamentare di vigilanza sull’anagrafe tributaria, il 7 ottobre scorso, il direttore dell’Agenzia delle entrate Rossella Orlandi ha parlato di “occasione perduta”.
Il resoconto stenografico di quella relazione è la fotografia di un Paese che, in tema di immobili, oltre ad essere “pieno di vuoti” (vedi Ae 172, http://bit.ly/pienadivuoti_ae172), è anche pieno di fantasmi. “Tra il 2007 e il 2011 -ha affermato Orlandi- sono stati fatti emergere 1,2 milioni di unità immobiliari per una rendita complessiva di 825 milioni di euro”. Un’attività che si è fermata (anch’essa) ma che sarebbe in via di “nuova programmazione”. Non è solo il governo ad aver mostrato scarsa sensibilità, in ogni caso. Anche sugli enti locali gravano responsabilità importanti se, come ha ricordato Orlandi, sono stati soltanto 17 in tutta Italia quelli che hanno “richiesto l’avvio di procedura di riclassamento delle unità immobiliari” previsto in una legge finanziaria del lontano 2005. Dieci anni nei quali non si è stati in grado di (o intenzionati a) dare un volto, e superficie, a 3 milioni di unità immobiliari rimaste senza planimetria, su un totale di 61 milioni. Non resta che confidare in un nuovo atto che “riapra i termini di attuazione dei contenuti della delega fiscale e le prospettive della revisione” -dice Mirto-,  tenendo però presenti i “nodi” che, come sostiene Agnoletti dell’IRPET, “hanno inceppato la riforma del catasto”. Che non è solo il complicato algoritmo da affiancare all’indicatore “di mercato” dei prezzi per le locazioni, raccolti presso la banca dati dell’Osservatorio del mercato immobiliare, ma è anche la cosiddetta “invarianza di gettito”.

“Siccome la delega del marzo 2014 si era posta l’obiettivo di ridurre le iniquità senza aumentare il carico fiscale -spiega Agnoletti, che insieme ad altre tre colleghe ha curato uno studio su questo, relativo alla Toscana, ripreso a luglio su lavoce.info-, il saldo finale dell’operazione di revisione del catasto non doveva variare”. Da qui l’invarianza, che anche Mirto riconosce aver costituito il motivo del rinvio della riforma. Non è chiaro infatti se questa debba riferirsi al livello nazionale o locale. Agnoletti e il gruppo IRPET hanno ipotizzato gli effetti del primo scenario (invarianza a livello nazionale) sul contesto della Toscana, dove “la base imponibile si moltiplica per più di cinque volte dopo la riforma”. “Dalla nostra simulazione -racconta Agnoletti- la riforma penalizzerà i contribuenti delle città più grandi (Firenze, Prato, Pistoia, Pisa), per il semplice motivo che il valore reale delle abitazioni nei centri urbani è molto distante da quello catastale. Avverrà invece l’opposto nei comuni più piccoli, dove il prelievo fiscale risulterà ridotto”. Nel caso in cui dovesse invece prevalere il secondo modello (l’invarianza proiettata su scala locale), per Agnoletti vorrebbe dire “perdere completamente l’effetto redistributivo”. Il nuovo catasto è tornato fantasma. —

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