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Diritti / Opinioni

Caso Almasri, l’Italia ha frustrato le speranze di giustizia delle vittime dei crimini in Libia

Il ministro della Giustizia Carlo Nordio al programma "Cinque minuti". Sullo sfondo il volto del generale Almasri © Cinque minuti, Rai Play

Nonostante i tentativi maldestri del Governo Meloni di nascondere il suo deliberato impedimento alla giustizia dietro presunti cavilli legali, non c’è alcuna scusa plausibile dal punto di vista giuridico per giustificare la consegna dell’uomo ricercato dalla Corte penale internazionale. Una decisione che espone l’Italia a gravi conseguenze ma soprattutto mina le fondamenta dello Stato di diritto. E calpesta le vittime dei crimini commessi dalle milizie. L’intervento del gruppo Lawyers for Justice in Libya (Lfjl)

Il 17 febbraio 2025 l’Italia è diventata il primo Stato europeo ad affrontare una procedura di mancata cooperazione davanti alla Corte penale internazionale (Cio). Ciò significa che il Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite potrebbe prendere dei provvedimenti per il rifiuto dell’Italia di consegnare Osama Njeem Almasri, su cui pende un mandato d’arresto internazionale.

Lo scorso 17 marzo, poi, è scaduto il termine di trenta giorni dato dalla Corte all’Italia per presentare le proprie osservazioni in merito alla vicenda e alla procedura di mancata cooperazione.

Al momento della pubblicazione di questo articolo, l’Italia sembra non aver ritenuto opportuno rispondere alla Corte: forse proprio perché una spiegazione ragionevole non c’è. Sebbene sia improbabile che questa procedura abbia conseguenze pratiche importanti dovrebbe essere fonte di profonda preoccupazione per gli italiani e per chiunque abbia a cuore un mondo in cui nessuno sia al di sopra della legge.

Si è parlato così tanto del “caso Almasri” che è facile perdersi nei particolari giuridici e nelle accuse politiche. Tuttavia, la questione centrale rimane chiara: l’Italia ha sfrontatamente violato i suoi obblighi internazionali. Questo vanifica le prospettive di giustizia in Libia, mina il ruolo della Cpi -già sotto attacco a causa delle sanzioni statunitensi– e minaccia lo Stato di diritto, tanto in Libia quanto nel resto del mondo.

Nonostante i tentativi maldestri del governo italiano di nascondere il suo deliberato impedimento alla giustizia dietro presunti cavilli legali, non c’è alcuna scusa plausibile per giustificare il rilascio di Almasri dal punto di vista giuridico. Come hanno già spiegato molti avvocati e accademici, il diritto processuale italiano non lo giustifica ne tanto meno il fatto che la Cpi abbia corretto alcuni errori di battitura -minori- nel testo del mandato d’arresto originale. Queste imprecisioni infatti non minano la validità della richiesta di trasferimento di Almasri o la giurisdizione della Corte. E no, il ministro della Giustizia non ha la discrezionalità di decidere chi debba o meno venire trasferito alla Cpi perché significherebbe subordinare la legge alle agende politiche ed è esattamente ciò che è accaduto in questo caso. Come dice il procuratore della Cpi, il rilascio di Almasri è stata una decisione di “apparente natura politica”.

In un certo senso, non c’è nulla di nuovo. Presunti interessi economici e di sicurezza, e soprattutto l’ossessione di fermare i flussi migratori, hanno guidato a lungo il comportamento dell’Italia e di gran parte dell’Europa nei confronti della Libia, a scapito della giustizia, dei diritti umani, della pace e della stabilità. Nel corso degli anni ciò ha potenziato, direttamente o indirettamente, le milizie armate, sempre più integrate nell’apparato di sicurezza dello Stato libico, tanto da diventare indistinguibili dallo Stato stesso. Almasri non è che uno di questi miliziani, lasciato libero di compiere atrocità e di approfittarsi dell’instabilità del Paese.

Quello che è diverso questa volta è che l’Italia ha violato i suoi obblighi internazionali, non indirettamente e per il tramite di altri attori in un Paese straniero, come in passato, ma apertamente e spudoratamente sul proprio territorio, e nella propria giurisdizione. Trovandosi in possesso di Almasri, ricercato dalla Cpi e al tempo stesso esponente di un apparato di sicurezza che l’Italia ha accolto come suo alleato, Roma ha scelto di piegarsi a uno Stato di milizie, violando la legge internazionale per la più miope convenienza politica.

Così facendo, l’Italia ha frustrato le speranze di giustizia per le vittime di orribili crimini internazionali in Libia, e non solo. Se Almasri fosse stato trasferito a L’Aia, dove ha sede la Cpi, il suo processo sarebbe stato il primo legato ai crimini internazionali, come crimini di guerra e contro l’umanità, in Libia, un Paese sotto inchiesta dal 2011. Sebbene la Cpi non sia un’istituzione perfetta, il processo ad Almasri avrebbe potuto finalmente portare giustizia ad alcune delle tante vittime di crimini internazionali. Avrebbe anche fornito un barlume di speranza affinchè l’impunità, ormai radicata, potesse essere erosa.

Il rilascio di Almasri è dunque una grande opportunità mancata per la giustizia e la responsabilità penale in Libia, e più in generale, nel mondo. Strappando Almasri alla giustizia, l’Italia ha voltato le spalle alla Cpi, un’istituzione che aveva contribuito a creare, ospitando la conferenza che ha portato alla sua creazione nel 1998 (da qui, lo Statuto di Roma, appunto). Non solo: il nostro Paese ha anche voltato le spalle ai suoi obblighi internazionali e costituzionali.

Il diritto internazionale non è un concetto astratto che si può decidere di rispettare. I principi del diritto internazionale fanno infatti parte dei valori fondamentali del quadro giuridico e della Costituzione italiana. Tra questi, il rispetto delle norme sovranazionali ampiamente riconosciute (articolo 10), che in quanto tali vincolano tutti gli Stati; l’accettazione delle limitazioni di sovranità necessarie per un ordine internazionale che assicuri la pace e la giustizia e la promozione delle organizzazioni internazionali che favoriscano il raggiungimento di questo scopo (articolo 11).

Il rilascio di Almasri rappresenta un rifiuto di questi valori, tanto più preoccupante visto che il rispetto dei diritti umani sta rapidamente regredendo in tutta Europa. Essenzialmente, si tratta di capire in che tipo di società vogliamo vivere, in quanto italiani ed europei.

Cristina Orsini e Serena Zanirato sono rispettivamente Senior programmes advisor e Programmes officer di Lawyers for Justice in Libya (Lfjl), un’organizzazione non governativa libica e internazionale che promuove l’accesso alla giustizia e la tutela dei diritti delle vittime e delle comunità colpite in Libia. L’obiettivo è perseguire una “una giustizia trasformativa” che generi un cambiamento sistemico a lungo termine, sfidando le condizioni sociali, culturali, economiche, ecologiche e politiche che sono alla base dell’ingiustizia, della corruzione e della violenza in Libia.

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