Economia / Approfondimento
“Blackout”: inchiesta sul ruolo di Eni nella crisi energetica e sociale del Pakistan
Nel 2017 la multinazionale si è aggiudicata una commessa di lungo termine per la fornitura di gas al Pakistan fino al 2032. Ma da quando i listini energetici si sono impennati, la società avrebbe mancato diverse consegne di Gnl al Paese, mettendone a repentaglio gli approvvigionamenti. “Ora si trova allo stremo”, denuncia ReCommon
Le mancate consegne di gas “naturale” liquefatto (Gnl) da parte di Eni in Pakistan potrebbero avere contribuito a causare o a peggiorare la grave crisi economica ed energetica che colpisce il Paese. Sono le conclusioni a cui è giunta un’indagine realizzata da ReCommon in collaborazione con il team di investigazione giornalistica SourceMaterial e pubblicata a fine aprile 2023.
Secondo le informazioni ottenute dai ricercatori, e in alcuni casi confermata dalla stessa multinazionale fossile, Eni avrebbe cancellato tra l’agosto del 2021 e il febbraio del 2023 otto forniture sulle venti promesse. “In Pakistan la crisi energetica sta già colpendo milioni di persone e potrebbe avere conseguenze ancora più profonde, ora che il governo locale sembra intenzionato a fare ritorno al carbone per supplire alla carenza di gas. Eni afferma continuamente di voler contribuire alla sicurezza energetica ma il vero obiettivo della multinazionale italiana è mettere al sicuro i propri profitti, anche se a discapito di intere popolazioni”, ha spiegato Alessandro Runci di ReCommon.
Veniamo ai fatti. Nel 2017 Eni si è aggiudicata una commessa di lungo termine per la fornitura di Gnl al Pakistan fino al 2032. “Ma da quando i listini energetici si sono impennati, la multinazionale italiana ha mancato diverse consegne di gas, mettendo a repentaglio gli approvvigionamenti del Paese, che ora si trova allo stremo -si legge nella relazione-. Sebbene la crisi pakistana abbia radici profonde e sistemiche, Eni ha una responsabilità diretta per quanto sta accadendo lì”. Il sospetto dei ricercatori è che Eni avrebbe consegnato altrove il gas destinato al Pakistan, approfittando degli elevati prezzi del combustibile sui mercati e delle basse penalità inserite nel contratto. Il tutto per vendere il “carico” a un prezzo superiore e di conseguenza ottenere così maggiori guadagni. “Eni ha sempre negato di aver tratto benefici da questi default, scaricandone la colpa sui suoi fornitori, o appellandosi a cause di forza maggiore. La nostra inchiesta getta però delle ombre sulla ricostruzione della società”, continua ReCommon.
L’accordo siglato nel 2017 tra l’azienda italiana e Islamabad, della durata di 15 anni, prevede una consegna mensile di gas per un totale di 11 milioni di tonnellate di combustile. Di conseguenza, secondo l’analisi, ogni carico corrisponderebbe a circa 60mila tonnellate per un totale di poco meno di 500mila tonnellate di Gnl non consegnato al Paese a causa delle otto spedizioni annullate. Per tracciare i flussi di gas relativi a Eni, ReCommon e SourceMaterial hanno iniziato individuando i principali snodi per il Gnl utilizzati dall’azienda. Secondo quanto dichiarato nel 2018, Eni si sarebbe servita dei terminal di Bonny Island (Nigeria) e Ras Laffan (Qatar) per rifornire di Gnl il Pakistan. Nel 2021, il terminal di Damietta (Egitto), operato da Eni, è tornato in attività dopo essere rimasto bloccato per diversi anni. A partire dal 2021 è stato proprio quest’ultima infrastruttura a fungere da base per le spedizioni in Pakistan.
Ma nell’autunno del 2021, ben prima dell’inizio dell’invasione russa dell’Ucraina, i prezzi del gas sui mercati internazionali raggiungono livelli record. A ottobre del 2021 le spedizioni dal terminal egiziano verso il Pakistan iniziano a diminuire e nel frattempo Eni organizza una serie di spedizioni di Gnl verso la società turca Botas. Dall’autunno del 2021 a oggi Botas avrebbe ricevuto ben 15 carichi di gas egiziano da parte di Eni, tutti provenienti dal terminal di Damietta. Nello stesso arco di tempo, la società italiana notificherà al Pakistan la cancellazione di otto delle consegne previste.
L’aumento vertiginoso dei prezzi del gas può indurre i fornitori a cancellare le consegne previste e a vendere invece quel gas sul mercato. Nel caso in esame, rivendendo alla Turchia i carichi destinati al Pakistan, Eni (che nel 2022 ha segnato utili record per un totale di 20,4 miliardi di euro) avrebbe potuto realizzare un guadagno di circa mezzo miliardo di euro. Gli accordi siglati dal Pakistan prevedono infatti penali molto basse in caso di default e nessuna sanzione aggiuntiva in caso di inadempienza volontaria o reiterata. Il guadagno è stato calcolato confrontando il prezzo pagato dai pakistani con quello invece retribuito dall’azienda turca e basato sul listino unico europeo. Un indizio a favore della tesi di ReCommon emerge da questo confronto: i default da parte di Eni iniziano proprio quando il prezzo del gas sul listino unico europeo supera quello contrattato con il Pakistan, mentre due delle mancate consegne sono avvenute in un momento in cui il prezzo era circa tre volte superiore.
Il contratto di fornitura dovrebbe durare almeno altri nove anni ma, come riporterebbero alcuni media locali, il governo del Paese avrebbe intenzione di aprire un contenzioso con Eni a causa proprio delle continue e ripetute inadempienze. Tuttavia le fonti governative hanno smentito questa ipotesi. “Intanto, gran parte della popolazione è costretta a fare i conti con continui blackout e razionamenti, che hanno anche portato alla chiusura di industrie strategiche come quelle del tessile e lasciato migliaia di persone senza lavoro. A peggiorare le cose, la scorsa estate il Paese è stato prima investito da un’ondata di calore estremo, con picchi di 50 gradi, e poi da copiose alluvioni, che hanno sommerso interi villaggi e causato oltre mille morti -conclude ReCommon-. Il Pakistan è ora a un passo anche dal default finanziario, anche a causa della crisi energetica che lo attanaglia e da cui fatica a trovare vie di uscita. Lo scorso febbraio il ministro dell’Energia ha annunciato l’intenzione di quadruplicare l’utilizzo del carbone, una mossa disperata per ridurre il prezzo dell’elettricità, ma che avrà gravi conseguenze sulla salute delle persone e sul clima”.
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