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Il bilancio dello Stato ci dice quello che siamo e quello che scegliamo di essere
Le nuove Camere dovranno gestire gli 800 miliardi di euro del bilancio dello Stato, che comprende anche i 300 miliardi dei costi legati al debito pubblico. Tema scomparso dalla campagna elettorale. In cui si è preferito parlare del “problema” immigrazione. L’editoriale del numero di marzo di Altreconomia del direttore, Pietro Raitano
Le Camere delineate dalle elezioni del 4 marzo avranno il compito di “esprimere” un governo, di valutarne il lavoro, e di adempiere al loro potere legislativo come la Costituzione stabilisce, almeno fino alle prossime consultazioni. È il compito più alto che una democrazia affida a un gruppo di cittadini, meno di mille, che si suppone svolgano questa gravosa incombenza con competenza, responsabilità, saggezza, lungimiranza, altruismo. Che Dio ci aiuti.
Dal lavoro di Parlamento e governo dipende il bilancio dello Stato, che è fatto di entrate -sostanzialmente le tasse- e di uscite. L’entità di queste, la loro ripartizione, dice molto sulla qualità di una classe dirigente messa lì a rappresentare il popolo sovrano.
La Ragioneria generale dello Stato lavora in seno al ministero dell’Economia e delle Finanze, e sta là apposta per supportare -e verificare- Parlamento e governo nelle politiche, nei processi e negli adempimenti di bilancio che mettono in atto. Il suo principale obiettivo istituzionale è quello di “garantire la corretta programmazione e la rigorosa gestione delle risorse pubbliche”. L’occhio della Ragioneria è costante e, puntuale, ogni inizio anno viene pubblicato il resoconto dell’anno appena trascorso: entrate, uscite, saldo.
Sono numeri che tracciano un quadro del Paese, di quello che siamo, di quello che scegliamo di essere. La Ragioneria divide il bilancio dello Stato in 34 “missioni”: giustizia, ordine pubblico, istruzione, difesa, ma anche “regolazione dei mercati” o “giovani e sport”. In totale in termine di “spese correnti” fanno oltre 565 miliardi di euro. La voce più consistente sono le “Relazioni finanziarie con le autonomie territoriali”, ovvero i trasferimenti a Regioni e Comuni come stabilito dal Titolo V della Costituzione: 120 miliardi di euro. A scendere incontriamo ad esempio le “Politiche previdenziali” (87 miliardi di euro circa), l’“Istruzione scolastica” (45,7 miliardi), le “Politiche per il lavoro” (11,2 miliardi di euro). In coda i 566 milioni di euro spesi per la “diversificazione delle fonti energetiche” o i 2,1 miliardi spesi per la “Tutela e valorizzazione dei beni e attività culturali e paesaggistici”. Dall’altra parte, tra entrate tributarie, extratributarie e “alienazione patrimonio e riscossione” lo Stato ha incassato nel 2017 quasi 568 miliardi di euro (a fronte di un Prodotto intermo lordo appena sotto i 1.600 miliardi di euro, non ancora a livelli pre-crisi).
Si tratta di una lettura molto istruttiva e accessibile direttamente dal web. Lo Stato ha speso meno di quanto incassato, e questa è una buona notizia. Anche se non entriamo nel merito di come abbia speso i soldi, per fare che, e tantomeno se le tasse sono giustificate rispetto ai servizi erogati. A novembre, tanto per fare un esempio, l’Osservatorio per l’asse ferroviario Torino-Lione (la Tav, per capirci) in seno alla Presidenza del Consiglio dei ministri ha pubblicato un report in cui, candidamente, ha ammesso che non vi sia “dubbio che molte delle previsioni fatte quasi 10 anni fa […] siano state smentite dai fatti”. L’ammissione che gli ingenti investimenti fatti sull’Alta velocità in Valsusa, con il loro correlato di repressione e ingiustizia, non erano giustificati. Tuttavia, rimane che l’Italia appare un Paese virtuoso. Anzi: il bilancio dello Stato si è chiuso in attivo 27 volte negli ultimi 28 anni, meglio della Germania. Quindi qual è il problema? Il problema è che abbiamo un debito pubblico che vale oltre 2.200 miliardi di euro: siamo quinti al mondo per rapporto debito/Pil (132,6%). Un debito accumulato negli ultimi 40 anni che nel 2017 (i dati sono sempre della Ragioneria dello Stato) ci è costato circa 300 miliardi di euro, tra restituzione di capitale e interessi da pagare. Per coprire questa cifra -la più alta in assoluto del bilancio dello Stato- siamo costretti a ricorrere al mercato, ovvero stipulare ulteriore debito. Un terzo del debito pubblico italiano è detenuto all’estero, oltre il 17% dal sistema bancario italiano. Forse le nuove Camere dovrebbero porsi come obiettivo di affrontare quantomeno il problema, del tutto sparito dalla campagna elettorale. Molto più facile parlare di migranti.
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