280 morti e oltre mille feriti. Questo il provvisorio bilancio dopo il crollo di una palazzina nella zona di Savar, a pochi chilometri dalla capitale, Dacca. Sotto le macerie, lavoratori della filiera dell’abbigliamento, dove salari bassi, condizioni di lavoro inaccettabili, ritmi serrati e repressione di ogni pretesa sindacale rappresentano la normalità. Come denunciato da Clean Clothes Campaign
Ancora una tragedia in Bangladesh, dove mercoledì è crollato il Rana Plaza, edificio di otto piani nella zona di Savar. Quasi 300 i morti, oltre un migliaio i feriti. All’interno della palazzina, infatti, erano presenti tre stabilimenti tessili, avamposti di un settore di mercato, quello dell’abbigliamento, che rappresenta circa l’80% dell’export del Paese, per un valore di 17 miliardi di dollari -grazie anche ai 200 milioni di paia di jeans esportati nel 2012, 86 milioni di questi sottoposti alla tecnica della sabbiatura, che pur di rendere il denim invecchiato stravolge la vita di chi li produce.
Stando alle agenzie, il ministro degli Interni Muhiuddin Khan Alamgir avrebbe ricondotto il collasso dell’edificio ad un “difetto strutturale". Lo stesso “difetto strutturale” che caratterizza la filiera dell’industria tessile del Bangladesh, dove salari bassi, condizioni di lavoro inaccettabili, ritmi serrati e repressione di ogni pretesa sindacale rappresentano la normalità. Una situazione denunciata da anni dalla Clean Clothes Campaign, campagna internazionale volta a promuovere i diritti dei lavoratori del settore, responsabilizzando i committenti, ovvero le grandi firme del mercato europeo e statunitense. Dopo la tragedia di Savar, è tornata a farsi sentire anche la rappresentante italiana del network internazionale, “Abiti puliti”, attraverso la coordinatrice, Deborah Lucchetti (autrice per Altreconomia de “I vestiti nuovi del consumatore”): “Tragedie come questa mostrano la totale inadeguatezza dei sistemi di controllo e delle ispezioni condotte dalle imprese senza il coinvolgimento dei sindacati e dei lavoratori. Non possiamo continuare ad assistere ad un tale sacrificio di vite umane dovuto alla totale irresponsabilità di un sistema produttivo basato sulla competizione al ribasso”. E ha aggiunto: “Le famiglie delle vittime e i feriti rimaste senza reddito e supporto ora hanno diritto a cure adeguate e risarcimento appropriato da parte delle imprese coinvolte per gli irreparabili danni subiti, oltre a giustizia immediata e assunzione di responsabilità da parte di tutti colore che dovevano prevenire questa carneficina”.
Tragedia annunciata, secondo “Abiti puliti”, che ha riproposto ai marchi coinvolti nel rifornimento in Bangladesh il “Bangladesh Fire and Building Safety Agreement”, memorandum messo a punto da Clean Clothes Campaign e le principali sigle sindacali che ha messo al centro un programma specifico di azione che include ispezioni indipendenti negli edifici, la formazione dei lavoratori in merito ai loro diritti, l’informazione pubblica e la revisione strutturale delle norme di sicurezza.
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