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La Banca mondiale non è al di sopra della legge. Una vittoria per la società civile

Un pescatore a Tragadi Bandar - © Sami Siva

La Suprema Corte degli Stati Uniti ha rigettato la pretesa della World Bank di avere una completa immunità legale. D’ora in poi l’istituto finanziario sarà passibile di richieste di risarcimenti per i fallimenti del suo modello di sviluppo, purtroppo fin troppo ricorrenti nei suoi oltre 70 anni di storia

Alla fine di febbraio di quest’anno la Suprema Corte degli Stati Uniti, con un verdetto di 7 a 1, ha rigettato la pretesa della Banca mondiale di avere una completa immunità legale. In particolare, i giudici americani hanno stabilito che il ramo della World Bank che presta ai soggetti privati, la International Finance Corporation (IFC), può essere perseguita per le attività correlate ai suoi prestiti.

Alla luce di questo provvedimento, l’IFC dovrà difendersi dalla denuncia dei pescatori di Mundra, nello Stato indiano del Gujarat, pesantemente colpiti da un progetto sostenuto dall’istituzione finanziaria. Nel 2008, tramite l’IFC, i banchieri di Washington staccarono un assegno di 450 milioni di dollari per la costruzione dell’impianto a carbone denominato Tata Mundra, sulla costa Nord-occidentale del Paese. Secondo lo statuto dell’IFC, tali prestiti prevedono il rispetto di determinati standard ambientali. Standard che sarebbero stati violati, tanto che l’altissimo livello di inquinamento causato dalla centrale aveva pregiudicato le abitazioni e i mezzi di sostentamento della comunità di Mundra. L’ecosistema marino è stato praticamente distrutto dagli scarichi delle acque provenienti dal sistema di raffreddamento dell’impianto e dalla polvere di carbone che ha contaminato l’aria.

Per questa ragione, nel 2015, il pescatore Budha Ismail Jam, seguito poi da diversi suoi colleghi e contadini della zona, fece ricorso a un tribunale di Washington, dove ha sede la Banca mondiale. Per decidere sull’ammissibilità della causa, è stata quindi interpellata la Corte Suprema, che ha chiarito come l’International Organizations Immunity Act (normativa statunitense promulgata nel 1945) possa prevedere delle eccezioni -in questo caso per l’IFC- così come delle deroghe erano state individuate per i Paesi stranieri ai sensi del Foreign Sovereign Immunities Act del 1976.

Marco Simons, avvocato di EarthRights International, un gruppo di legali che rappresenta i querelanti, ha dichiarato che la decisione è molto significativa per quanto riguarda la protezione dell’ambiente e della salute delle persone in tutto il mondo perché potrebbe costringere le organizzazioni internazionali a prestare maggiore attenzione al finanziamento e al monitoraggio dei progetti.

“Queste organizzazioni hanno un enorme impatto sulle decisioni di sviluppo in tutto il mondo, e per decenni hanno operato essenzialmente al di sopra della legge”, ha detto Simons in un’intervista ripresa dal New York Times. Il caso tornerà ora in un tribunale di primo grado, che sarà chiamato a pronunciarsi sulla sostanza dei fatti e non più sull’ammissibilità o meno della causa.

A prescindere dall’esito di questa azione civile, quella di ieri è stata una vittoria storica per la società civile internazionale che ha combattuto per decenni affinché anche la principale agenzia di sviluppo a livello mondiale non agisse infischiandosene della legge. D’ora in poi sarà passibile di richieste di risarcimenti per i fallimenti del suo modello di sviluppo, purtroppo fin troppo ricorrenti nei suoi oltre 70 anni di storia.

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