Ambiente / Attualità
I bilanci delle assicurazioni e i danni dei cambiamenti climatici
L’aumento dei premi assicurativi dove il rischio uragani è più alto porterà ingenti benefici economici alle compagnie. “Faranno ciò che i politici non vogliono fare -ha scritto il Los Angeles Times dopo Harvey-, e cioè costringere chi non può permettersi di vivere in zone a rischio ad andarsene”. Ma nel lungo periodo gli “affari” si sgonfieranno
Lo scorso agosto la banca d’affari JP Morgan ha calcolato che il rovinoso uragano Harvey sarebbe costato al comparto assicurativo tra i 10 e i 20 miliardi di dollari. Poco meno di quello che l’intero settore incamera in un trimestre. Poi sono arrivati anche Irma e Maria a devastare i Caraibi e a far schizzare alle stelle il conto dei danni. La domanda è spontanea: si tratta di una sciagura per le assicurazioni, costrette a pagare cifre da capogiro ai loro clienti? Andiamoci piano. Senza dubbio la Munich Re a fine anno si ritroverà con i profitti completamente azzerati per colpa dell’“effetto uragani”, e questo nonostante la prima metà del 2017 sia stata più che positiva. Nel breve periodo, quindi, gli alti dirigenti delle compagnie assicurative del mondo avranno più di un semplice grattacapo. Stando però a quanto ha scritto in un interessante editoriale il Los Angeles Times, da qui a poco le cose potrebbero mutare. I prossimi fenomeni atmosferici estremi provocati dall’acuirsi dei cambiamenti climatici, infatti, saranno un affare, ma nemmeno Irma o Harvey -in prospettiva- si riveleranno solamente un bagno di quattrini.
Andiamo con ordine, partendo dalle parole del massimo dirigente di Lloyd’s di Londra, Inga Beale. Mentre Irma seminava distruzione tra le Antille Francesi e Florida, Beale ha candidamente affermato al Times che l’aumento dei premi assicurativi lì dove il rischio uragani è più alto porterà notevoli benefici economici alle assicurazioni. E ci sono sempre i fondi pubblici ad accorrere in soccorso, se proprio necessario. È quanto accaduto proprio nei casi di Harvey e Irma con il National Flood Insurance Program degli Stati Uniti pronto ad aprire i cordoni della borsa per avviare la ricostruzione sui tratti di costa sconvolti dagli uragani. Ironia della sorte, i ristoranti o i resort rimessi a nuovo con denaro pubblico poi si riassicureranno, ovviamente con premi più ingenti.
Inoltre, evidenzia sempre il Los Angeles Times, le assicurazioni “faranno quello che i politici non vogliono fare”, ovvero costringere chi non può “permettersi di vivere in zone ad alto rischio” ad andarsene altrove. Il ragionamento non fa una grinza. È quanto accaduto a New Orleans dopo il dramma dell’uragano Katrina, con le fasce di popolazione più debole scacciate dalla città: una prova evidente di come questo processo sia già avvenuto e anche su larga scala. Affari assicurati? Non è detto.
Le assicurazioni dovranno affrontare dei problemi sul lungo termine dal momento che le conseguenze dei cambiamenti climatici saranno sempre più catastrofiche. Il business model di varie compagnie tiene già abbondantemente conto del problema, che però rimane. Anche perché finché le assicurazioni, in primis l’italiana Generali, continueranno a investire risorse nel settore dei combustibili fossili -addirittura nell’estrazione dell’obsoleto e inquinante carbone- la situazione ha del paradossale. È come un cane che si morde la coda, con un effetto domino globale.
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