Economia / Approfondimento
Anche “fuori Milano” abitare è diventato un problema

L’Osservatorio casa abbordabile torna a esaminare il rapporto tra il costo della casa e gli stipendi medi a Milano e nei 300 Comuni in un raggio di 60 chilometri. I poli urbani più vicini o meglio collegati al capoluogo presentano prezzi maggiori, mentre in quelli più remoti i costi minori sono compensati dalle spese economiche e temporali per i trasporti. Agire sulle abitazioni non basta: è necessaria una politica che potenzi il complesso dei servizi
Il nuovo rapporto dell’Osservatorio casa abbordabile (Oca) s’intitola “Abitare fuori Milano. L’abbordabilità della casa tra Città attrattiva e regione urbana”. Nella ricerca, pubblicata questo marzo, il coordinatore Massimo Bricocoli e i ricercatori Marco Peverini e Lorenzo Caresana sono tornati a monitorare l'”abbordabilità” delle case nel Capoluogo lombardo, confrontando i costi abitativi con le capacità economiche dei cittadini. Questa volta, però, lo sguardo degli autori si è allargato al territorio che circonda Milano entro un raggio di 60 chilometri, costituito da 300 Comuni a cavallo di sette province: Milano, Varese, Como, Monza-Brianza, Bergamo, Lodi e Pavia.
L’attenzione degli ultimi anni su Milano ha oscurato quello che succede nei Comuni della regione urbana, ma estendere lo sguardo al mondo che esiste al di fuori dei suoi confini permette di ridefinire in modo più articolato la questione abitativa, con la consapevolezza che i perimetri amministrativi non bastino a contenere le dinamiche residenziali attuali.
Dallo studio emerge che, seppur economicamente più sostenibile rispetto a Milano, l‘hinterland resta comunque poco accessibile per redditi che si aggirano intorno ai 1.500 euro lordi al mese, tradizionalmente considerati fuori dal rischio di povertà. Identificando un indice di abbordabilità “interna”, cioè un rapporto inferiore al 30% tra valori immobiliari residenziali e reddito medio netto nel singolo Comune, gli autori hanno dimostrato che un reddito medio non è sufficiente per acquistare un’abitazione di 50 metri quadrati in gran parte della cintura milanese, nei poli urbani come Pavia, Lodi e Treviglio, in tutta la Brianza e lungo le principali direttrici infrastrutturali.
Per calcolare l’abbordabilità nei Comuni della regione urbana non bastano infatti le sole spese abitative, a queste vanno aggiunti i costi di spostamento, economici e temporali. Parliamo di un territorio che, nella sua eterogeneità demografica e socio-economica, ha una forte relazione con Milano. Basti pensare che ogni giorno 650mila pendolari raggiungono la città per lavorare o per fruire di servizi.
“Quando si esce dal confine di Milano, l’accessibilità al trasporto pubblico cala nettamente, con poche eccezioni, e i luoghi che sarebbero più accessibili economicamente per acquistare o affittare un’abitazione diventano anche i meno accessibili alle infrastrutture. Il risparmio in termini di costi abitativi -spiega Marco Peverini- porta così con sé un corollario di costi aggiuntivi di trasporto e pendolarismo”.
La geografia dell’hinterland è dunque “Milano-centrica”: la vicinanza al capoluogo, ai trasporti e al lavoro si deve pagare. Ne sono esempi i Comuni di prima e seconda cintura, dove i costi abitativi sono praticamente doppi rispetto al resto del territorio. La dipendenza lavorativa della regione urbana da Milano può essere in parte spiegata, come teorizzava l’economista Roberto Camagni, dal fatto che per un lungo periodo Milano è cresciuta lavorativamente ed economicamente insieme al suo hinterland, ma in un’ultima fase la funzione residenziale si è staccata da quella lavorativa e le opportunità professionali si sono concentrate sempre di più nel polo centrale, con il conseguente aggravamento delle condizioni di pendolarismo.
“Il solo spostamento delle abitazioni ‘fuori Milano’ rischia di creare delle dinamiche di polarizzazione maggiori. Al contrario -continua Peverini- l’allargamento della prospettiva andrebbe gestito con politiche di trasporto e rilocalizzazione delle opportunità lavorative, che permetterebbero di rendere tutta la regione urbana più viva e attrattiva in un’ottica di policentrismo”.
Ma come si è arrivati a questo punto? In linea con i risultati del primo rapporto, a Milano la forbice tra salari e costi abitativi continua ad allargarsi, con valori immobiliari che salgono più velocemente delle retribuzioni. Tra il 2015 e il 2023 i prezzi di compravendita e degli affitti a Milano si sono alzati rispettivamente del 58% e del 45%, mentre i salari di operai e impiegati solo del 9% e del 10%. L’incremento dei prezzi ha inoltre ridotto i metri quadrati “abbordabili”. Si tratta di una tendenza generalizzata che tocca tutte le categorie professionali, ma che ha avuto un impatto particolarmente pesante per le qualifiche medio-basse, le quali, dal 2015, hanno visto diminuire i metri quadrati acquistabili del 17%. L’aumento dei prezzi ha fatto sì che nel 2023 un operaio con un mutuo ventennale potesse permettersi di acquistare a Milano 19 metri quadrati, un impiegato 25, un “quadro” 48 e un dirigente 105. E nella stessa città in cui crescono i prezzi di vendita e affitto, aumentano i provvedimenti di sfratto, principalmente per morosità o per “finita locazione”, legata al mancato rinnovo del contratto, spesso a causa del rialzo dei canoni.
“I dati della ricerca si riferiscono a condizioni lavorative relativamente buone, ma i cui salari non permettono di accedere a un’abitazione adeguata. Ciò dimostra che a Milano il lavoro da solo difficilmente basta per accedere a un alloggio e chi non ha una disponibilità finanziaria, immobiliare o parentale extra, ne rimane escluso o si trova in condizioni di grande disagio”, racconta Peverini.
Queste condizioni, unite a un’offerta residenziale pubblica stagnante e a una “sociale” insufficiente, rendono sempre più plausibile immaginare una migrazione verso l’esterno di chi Milano non se la può più permettere, richiedendo analisi e interventi di scala sovracomunale.
“Quello che abbiamo notato è che i Comuni vivono la questione abitativa in maniera isolata, senza che ci sia un serio coordinamento sul fenomeno alla scala della regione urbana o almeno metropolitana. Dal 2016 sono stati introdotti i ‘Piani di Zona’ che permettono ad amministrazioni locali limitrofe di unirsi in consorzi e coordinare alcune delle politiche abitative sugli ambiti intercomunali. Si tratta sicuramente di un primo passo, ma -conclude Peverini- come emerge dalle nostre mappe, le dinamiche residenziali rappresentano una questione relazionale e territoriale su cui deve esserci uno sguardo unitario su scala ancora più ampia. La risposta ricevuta da parte dei Comuni alla pubblicazione del report ci dà speranza e dimostra che, se da un lato c’è una mancanza in termini di istituzioni metropolitane sulla casa, dall’altro c’è l’interesse dei Comuni a colmarlo per poter fare meglio”.
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