Una voce indipendente su economia, stili di vita, ambiente, cultura
Ambiente / Inchiesta

Amazon continua a mangiare la terra. Il caso del Piemonte

© Daniel Eledut - Unsplash

Mentre il colosso della logistica promette di raggiungere l’obiettivo “zero emissioni nette” entro il 2040, nell’hinterland di Torino e ad Asti costruisce nuovi capannoni su suoli liberi, escludendo le comunità e restando vago sulle compensazioni. Intanto l’Antitrust lo sanziona per abuso di posizione dominante

Se fosse un film si intitolerebbe “Il curioso caso del greenwashing di Amazon” e il set sarebbe il Piemonte. Con due progetti in fase di avviamento, infatti, il colosso costruirà due nuovi poli logistici, uno nell’hinterland di Torino, nel Comune di Orbassano, e l’altro nel Sud del Piemonte, nella frazione di Quarto, ad Asti. Consumo di suolo agricolo e compensazioni ambientali inadeguate stridono con gli obiettivi dell’iniziativa “The Climate Pledge – Impegno per il clima”, di cui l’azienda è fondatrice e che si propone di attuare strategie di decarbonizzazione e misure compensative “aggiuntive, quantificabili, concrete, permanenti e con impatto sociale positivo”, come assicura il gigante dell’e-commerce (sanzionato il 9 dicembre per 1,128 miliardi di euro dall’Autorità garante della concorrenza e del mercato per abuso di posizione dominante, ndr).

Quello che verrà realizzato a Orbassano, ai confini con i Comuni di Rivalta e Nichelino, tra l’autostrada Torino-Pinerolo e la strada provinciale 143, è un nuovo centro di distribuzione che coprirà di cemento un’area agricola di circa 135mila metri quadrati. La nuova edificazione prevede un capannone di 35mila metri quadrati con relative aree a parcheggio e spazi per la movimentazione delle merci. Le dimensioni del progetto richiedono una variante al piano regolatore vigente ma per ottenere il parere favorevole del Comune, Amazon Transport Italia Srl ha attivato una procedura semplificata tramite lo “Sportello unico delle attività produttive”: il ricorso al Suap consente di approvare il progetto e la variante di piano insieme, velocemente, e soprattutto senza attendere il parere di una Valutazione ambientale strategica (Vas).

Ma il ricorso al Suap richiede di valutare anche la disponibilità di altre aree potenzialmente idonee in un raggio di dieci chilometri dal sito prescelto. “Esistono diverse aree industriali dismesse o in fase di dismissione -spiega Angelo Porta, vicepresidente di Legambiente Piemonte Val d’Aosta- oppure aree già destinate a scopi industriali o logistici. Ma basta che Amazon alzi l’asticella, chiedendo di evitare le bonifiche o che l’area abbia una forma geometrica precisa, per evitare le alternative. Ad esempio, il sito Embraco di Riva di Chieri avrebbe tutte le caratteristiche richieste ma siccome è più lontana di dieci chilometri dall’area prescelta, questa non rientra. Ma noi non sappiamo perché è stata scelta proprio quell’area da dove partono i dieci chilometri”.

Massimo Mortarino, del comitato torinese di “Salviamo il Paesaggio”, concorda: “Il presupposto per poter effettuare una variante semplificata al Prcg per il tramite dello Sportello unico è una condizione che sovente può essere troppo discrezionale, nonché espressa in modo unilaterale dall’amministrazione proponente, volutamente poco approfondita e non di semplice verifica da parte dei soggetti istituzionali”. Inoltre, “l’emergenza climatica, in pieno sviluppo, dovrebbe impedire a priori qualsiasi consumo di suolo libero, incentivando invece il recupero e riutilizzo di aree già impermeabilizzate e compromesse, che erroneamente e frettolosamente sono state giudicate dal proponente non convenienti dal punto di vista economico rispetto al terreno in questione, tra l’altro attualmente utilizzato in massima parte per produzioni agricole. La paura dell’amministrazione di Orbassano di perdere questa occasione sembra, ancora una volta, avere la meglio non solo sul benessere della collettività ma anche sull’opportunità di ricordare al proponente il progetto d’insediamento che la sostenibilità dell’investimento si dimostra a partire dal terreno scelto per insediarsi”.

E se viene meno la valutazione dell’impatto ambientale, viene meno anche il confronto con la comunità, di cui le associazioni fanno parte. “La procedura semplificata non consente alla società civile di intervenire: le nostre osservazioni sono giunte quando tutti avevano già dato parere positivo”, riprende Porta. Inoltre, tra le molte osservazioni giunte dai gruppi ambientalisti (che sono state accettate dopo due conferenze dei servizi preliminari riservate alle istituzioni interessate e ai proponenti), non si è tenuto in considerazione il parere di Arpa Piemonte, in quanto “documento non parte integrante del verbale” (il virgolettato è tratto dall’ultima conferenza dei servizi). Arpa evidenzia che “gli impatti sulla componente suolo sono da considerarsi significativi, in quanto tale risorsa è da ritenersi non rinnovabile” e che “il consumo della risorsa suolo comporta la perdita di servizi eco-sistemici”, e ancora che “nell’area impermeabilizzata si avrà la perdita della totalità dei servizi, mentre nelle aree disturbate tali servizi verranno persi in funzione del degrado della risorsa”.

A proposito di questo, “Salviamo il Paesaggio” ha comunicato i danni da consumo di suolo: se si considera che un ettaro produce mediamente cibo in un anno per sei persone (si legga il professor Paolo Pileri del Politecnico di Milano) e che il presente progetto prevede un consumo di 195.600 metri quadrati (circa 20 ettari) di suolo agricolo, questo corrisponde a una perdita della capacità di produzione alimentare media annua sufficiente per soddisfare circa 120 persone. Se poi consideriamo che 1 metro quadrato di terreno permeabile come quello agricolo in questione assorbe circa 375 litri di acqua e che il presente progetto prevede una impermeabilizzazione di 145.363 metri quadrati, questo corrisponde a un mancato assorbimento di oltre 54 milioni litri di acqua. E considerato che 1 metro quadrato di terreno agricolo contiene circa 25 chilogrammi di anidride carbonica (CO2) e che il presente progetto prevede l’impermeabilizzazione di 145.363 metri quadrati, questo corrisponde a circa 3.634 tonnellate di CO2 liberate in atmosfera.

Per questi motivi, le associazioni che si oppongono al progetto ritengono che le compensazioni proposte, oltre a non essere sufficienti, non sono idonee, perché non in grado di recuperare gli stessi valori e le funzioni ecologiche sottratte. Per inciso, gli interventi previsti in compensazione riguardano esclusivamente la riforestazione (messa a dimora di alberi e arbusti) di alcune aree, la realizzazione di un’area verde urbana per tempo libero e la realizzazione di una scala di risalita per i pesci.

Ma è di nuovo Arpa a evidenziare come l’intervento rivolto ai pesci del torrente Sangone “non è riconducibile al concetto di compensazioni omologhe, inteso come tanto suolo consumato debba corrispondere ad altrettanto suolo recuperato”. Inoltre, Arpa ha anche chiesto che venissero analizzati i flussi di traffico direttamente connesso all’opera e di quello indotto. Tale richiesta è stata ignorata. “A nostro parere la presente variante al piano regolatore avrebbe dovuto essere assoggettata alla Vas e non scambiata con limitate opere di compensazione” conclude Mortarino. “Se non facciamo una Vas per una variante che prevede di occupare 130.000 metri quadrati in prossimità della Reggia di Stupinigi, che prevede il passaggio giornaliero di 500 mezzi pesanti, 360 furgoni, 700 mezzi leggeri e parcheggi per i 500 dipendenti, quando la facciamo?” si interroga Porta. “È un interessante paradosso, perché se una scelta urbanistica prevede delle mitigazioni e compensazioni ambientali, vuol dire che prevede dei danni. Ma se ci sono dei danni ambientali allora la Vas è obbligatoria”.

E poi c’è Asti. Nella seduta del 22 novembre 2021, Giunta e Consiglio comunale hanno approvato la delibera che permetterà un insediamento logistico di 30mila metri quadrati (e di altezza fino a 20 metri, il doppio rispetto a quanto previsto dal vigente limite) a Quarto, alle porte della città piemontese, di nuovo destinato alla logistica di Amazon. Per i comitati del territorio si tratta di un terreno libero e fertile, nonostante sia compreso nel piano regolatore come edificabile. E le compensazioni, in questo caso, non sono state nemmeno menzionate

Nonostante le informazioni siano poche a riguardo, l’iter è stato già approvato. Non solo perché la “deliberazione non necessita di copertura finanziaria”, come si trova scritto nella convenzione stipulata tra la società proponente e l’ente locale, ma anche perché la ditta titolare del progetto (in questo caso Vailog, che ha tra i suoi principali clienti, oltre ad Amazon, Ikea, Zalando, Leroy Merlin, Decathlon) riconoscerà alle casse comunali -come si legge dalle carte- una cifra “di 234.917 euro superiore all’ammontare dovuto per oneri di urbanizzazione primaria e 34.761,08 euro per oneri di urbanizzazione secondaria”. A tale cifra si aggiungerebbe un contributo straordinario per il rilascio del permesso di costruire pari a 123.943,29 euro.

“Non siamo contrari a nuovi insediamenti. Ma questo deve essere fatto senza consumare nuovo suolo”, conclude il vicepresidente di Legambiente Piemonte e Val d’Aosta. “La legge 113 del 29 gennaio 1992 impone ai Comuni di mettere a dimora un albero per ogni bambino nato, non un metro quadro di cemento. Abbiamo bisogno di nuove aree boschive e non di nuovi capannoni o nuovi supermercati”.

© riproduzione riservata

Newsletter

Iscriviti alla newsletter di Altreconomia per non perderti le nostre inchieste, le novità editoriali e gli eventi.


© 2024 Altra Economia soc. coop. impresa sociale Tutti i diritti riservati