Una voce indipendente su economia, stili di vita, ambiente, cultura
Interni / Opinioni

Al funerale di Toni Negri, genius loci degli anticorpi del capitale

Toni Negri a Milano © Silvano Del Puppo / Fotogramma

Il 3 gennaio si sono svolti i funerali di Toni Negri al Père-Lachaise di Parigi. C’era anche Cecco Bellosi, che racconta le quattro generazioni presenti all’ultimo saluto per ritessere le “molte cose” che il filosofo è stato e ha attraversato. Come la “battaglia epocale tra operai e capitale, vinta in maniera dirompente dal capitale”. Il suo ricordo

Mercoledì 3 gennaio 2024 si sono svolti i funerali di Toni Negri al Père-Lachaise di Parigi. Vi hanno preso parte centinaia di compagni e compagne, nonostante l’intenzione, comprensibile, che fosse una cerimonia per pochi intimi: familiari e amici di una vita.
Densa, questa ansia di partecipazione al saluto fraterno a un avversario storico del potere costituito, del dominio capitalista nelle sue trasformazioni prevaricatrici, nervose e isteriche degli ultimi sessant’anni, ossessionato dal bisogno di distruggere la classe operaia e di ripristinare un mondo di servi della gleba nell’ultima versione digitale. Apparentemente vincente, come tutte le controrivoluzioni. Senza mai fare i conti, come ogni virus letale, con gli anticorpi che costruisce dentro di sé. Ecco, Toni Negri è stato un genius loci degli anticorpi del capitale.

Non a caso al suo funerale erano presenti i rappresentanti di quattro generazioni. La prima, quella degli anni Sessanta e della poetica di “Classe operaia”: un capolavoro estetico, grafico (come qualche anno dopo sarebbe stato il giornale “Potere operaio”), ricco di titoli affascinanti, costellato di contenuti innovativi e immaginativi. “Classe operaia” ha generato, tra l’altro, quella grande narrazione che è stata “Operai e Capitale” di Mario Tronti. Così dissacrante da poter richiamare come provocazione la “Merda d’artista” di Piero Manzoni.

Poi è stata la stagione di Potere operaio, il canto rapsodico dell’operaio massa, di cui Negri è stato allo stesso tempo teorico e militante. In quel periodo il mio apprendistato si è svolto all’Alfa Romeo con Oreste, Toni e gli altri compagni arrivati a Milano dal Veneto. La vita scorreva frenetica: prima delle sei del mattino dovevamo essere davanti alle porte di Arese per volantinare il primo turno; quindi, in sede; poi, prima delle due del pomeriggio, ancora ad Arese, a volantinare il secondo turno e a fermarci a parlare con gli operai che uscivano dal primo, alcuni dei quali cominciavano ad avere rapporti più stretti con il nostro gruppo; quando il termometro delle lotte saliva, si tornava anche all’uscita delle dieci di sera per fare il punto della situazione e discutere degli sviluppi dei giorni successivi. Ci furono anche i primi blocchi sull’autostrada e cominciava a prendere forma l’assemblea autonoma, che avrebbe inciso fortemente sulla situazione in fabbrica negli anni successivi. Alla sera, quando era possibile, andavamo a consumare l’unico pasto da Nino, una delle trattorie di cui Milano era piena e che adesso non ce ne sono più. Nino era un vecchio compagno socialista, da cui spesso cenava Corrado Bonfantini, che nella Resistenza era stato comandante delle Brigate Matteotti e che in quel periodo era parlamentare del Partito socialista. Ci aveva preso in simpatia e quando non avevamo i soldi ci pensava lui a saldare il conto. Anche questo succedeva nella Milano popolare di quegli anni: la nostra sede, in via Maroncelli, era vicina all’Isola, il quartiere di Ezio Barbieri e della ligera. Sono stati anni in cui lo scontro di classe si concentrava sul salario come chiave per scardinare il sistema capitalistico, ma anche sul passaggio alla città con le lotte sulla casa. Corso Traiano a Torino era stato quella cosa lì.

Poi Negri, anticipando la dissoluzione della grande fabbrica in mille rivoli frammentati come risposta del capitale alle lotte di quegli anni, ha intuito la figura dell’operaio sociale, diffuso nel territorio e protagonista del movimento del Settantasette dentro il magma incandescente dell’autonomia operaia. Il punto più alto toccato da una ingovernabile spontaneità creativa, dall’antagonismo collettivo ed esistenziale, dall’estraneità radicale al dominio capitalistico. Il mitico e mai sufficientemente rimpianto assalto al cielo, ripiombato brutalmente sulla terra dai blindati dello Stato, con la miope connivenza del Pci. Vocato alla cupio dissolvi.

Gli anni Settanta sono stati in Occidente, e in particolare in Italia, il fulcro di una battaglia epocale tra operai e capitale, vinta in maniera dirompente dal capitale. Un dato su tutti: in quel periodo, fatta uguale a cento la ricchezza prodotta, i due terzi andavano al lavoro, un terzo al capitale. E a noi sembrava poco, per la sproporzione numerica tra classe operaia e capitale. Oggi ben oltre i due terzi vanno al capitale, ben meno di un terzo al lavoro, con i salari ridotti al di sotto della fame dal nuovo modello schiavistico del neoliberismo, per il quale la povertà è una colpa.

Da allora la ricerca inquieta di Negri si è orientata verso i nuovi, possibili anticorpi: le esperienze alterglobaliste contrapposte all’Impero. Dal bene comune dello zapatismo a Genova 2001. La disobbedienza globale. E in seguito su, fino a oggi, con il protagonismo della moltitudine delle nuove generazioni: multitudo come alternativa diffusa al potere dominante e non come vulgus asservito al potere dei diversi sovranismi, nella contrapposizione tra il general intellect sussunto nel capitale cognitivo e la possibile liberazione delle singolarità all’interno di una dimensione collettiva. Le singolarità fraterne contrapposte all’individualismo dominante, in un’epoca in cui comunque la fiamma della lanterna di Diogene è ancora troppo fioca per intravedere la luce. Ma il paradigma operaista, quando ti è entrato dentro, non fuoriesce più: è un metodo di pensiero spiazzante, a volte anche per sé stessi, una forma di riflessione e di conoscenza originali, un riconoscersi sempre, anche a distanza di tempo e di spazio.

Toni Negri è stato molte cose. Un filosofo critico nell’analisi, la ricerca e lo sviluppo creativo tra il general intellect di Marx e la multitudo di Spinoza. Interprete coerente dell’XI “Tesi su Feuerbach”: “I filosofi finora hanno interpretato il mondo, quando invece si tratta di trasformarlo”. Coerentemente, Negri è stato un cospiratore, nel senso letterale del termine, “chi respira con l’altro”, e un sovversivo, “chi sovverte le cose dal basso”. Il potere costituente dei movimenti contrapposto al potere costituito delle istituzioni.

Toni non era innocente, perché semplicemente nessun rivoluzionario lo è mai stato. Tuttavia, contro di lui e il gruppo assemblato attorno a “Potere operaio” e all’“Autonomia operaia” è stata orchestrata un’autentica persecuzione giudiziaria, mirata ad attribuire loro il governo del partito armato in Italia negli anni Settanta. Un teorema costruito sul piano giudiziario dal giudice Pietro Calogero, su quello repressivo dal generale Carlo Alberto Dalla Chiesa e su quello politico dal Partito comunista italiano, fondato sull’assioma che solo degli intellettuali potevano guidare un fenomeno politico importante come quello della lotta armata per il comunismo. Quell’assioma disconosceva la realtà: le Brigate rosse, ma anche Prima linea, erano sorte dentro le fabbriche, come organizzazioni operaie. Nell’accanimento del Pci, fattosi istituzione, c’era però anche il bisogno di distruggere il vento nuovo portato dalle lotte di quegli anni, con il proletariato giovanile del lavoro precario, le femministe, l’ecologia rossoviva accompagnata dalla lotta di classe: “L’ambientalismo senza lotta di classe è puro e semplice giardinaggio” diceva Chico Mendes, i diritti delle minoranze, le prime istanze per i beni comuni.

Il Partito comunista in Italia, in quel periodo, è diventato il paladino della conservazione dell’esistente, senza più fuoriuscire da quella dimensione nelle sue progressive trasformazioni nominali, fino alla riduzione del termine “sinistra” a un vuoto flatus vocis. Proprio per questo Toni Negri non era, non è di “sinistra”. Come molti di noi era, è un comunista attento alle nuove forme della lotta di classe, alla lotta di genere, alle migrazioni da guerra e da fame, alle guerre scatenate dall’Impero, alle istanze ecologiche radicali delle nuove generazioni. Ai beni comuni contro le privatizzazioni dell’acqua, dell’aria, della terra. Verso il Comunismo, nel Comune, per la Comunità.

Anche nella nuova valorizzazione del francescanesimo, come nella chiusura di “Impero”: “Per denunciare la povertà della moltitudine, Francesco ne adottò la condizione comune e vi scoprì la potenza ontologica di una nuova società. Il militante comunista fa lo stesso nel momento in cui identifica nella condizione comune della moltitudine la sua enorme ricchezza. In opposizione al capitalismo nascente, Francesco rifiutava qualsiasi disciplina strumentale, e alla mortificazione della carne (nella povertà e nell’ordine costituito) egli contrapponeva una vita gioiosa che comprendeva tutte le creature e tutta la natura: gli animali, sorella luna, fratello sole, gli uccelli dei campi, gli uomini sfruttati e i poveri, tutti insieme contro la volontà di potere e la corruzione. Nella postmodernità, ci troviamo ancora nella situazione di Francesco, a contrapporre la gioia di essere alla miseria del potere. Si tratta di una rivoluzione che sfuggirà al controllo, poiché il comunismo, la cooperazione e la rivoluzione restano insieme semplicemente nell’amore, e con innocenza. Queste sono la chiarezza e la gioia di essere comunisti”.

Toni Negri è morto e riposa da esule, rispetto a un Paese irriconoscibile anche a se stesso. Lo ha accompagnato un saluto che ha unito le diverse generazioni nell’inno di “Potere operaio”: parole di Oreste Scalzone sull’aria della “Warszawianka”. Ciao Toni.

Cecco Bellosi da oltre trent’anni lavora come coordinatore dell’Associazione Comunità Il Gabbiano, che si occupa di tossicodipendenti, persone con problemi di sofferenza psichica, detenuti, minori in difficoltà, malati di Aids, ed è attiva in Lombardia dal 1983. Ha pubblicato Il paese dei contrabbandieri (Nodo Libri, 1995), Piccoli Gulag (DeriveApprodi, 2004), Con i piedi nell’acqua (Milieu, 2013), Sotto l’ombra di un bel fiore (Milieu, 2018), L’orlo del bosco (DeriveApprodi, 2022).

© riproduzione riservata

Newsletter

Iscriviti alla newsletter di Altreconomia per non perderti le nostre inchieste, le novità editoriali e gli eventi.


© 2024 Altra Economia soc. coop. impresa sociale Tutti i diritti riservati