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Adolescenti in fuga dal mondo. A Torino si stimolano i loro desideri

Un'attività svolta dai giovani che partecipano al progetto Nove e ¾ promosso dal Gruppo Abele a Torino © Nove e 3/4 - Gruppo Abele

A giugno 2020 il Gruppo Abele ha lanciato un progetto per aiutare i ragazzi che trascorrono tutta la giornata chiusi in casa tra smartphone e computer: scelgono la resa di fronte a una società sempre più competitiva e performativa

Tratto da Altreconomia 249 — Giugno 2022

Alberto, nome di fantasia, da oltre un anno non frequenta più la scuola superiore. L’offerta degli insegnanti di seguire le lezioni a distanza non è bastata. Il giovane trascorre la maggior parte della sua giornata chiuso nella sua stanza, tapparelle abbassate, computer a tre schermi sempre acceso. Rifiuta di parlare con i genitori e non frequenta il suo vecchio gruppo di amici. Proprio per rispondere alle difficoltà di giovani come Alberto, l’associazione Gruppo Abele di Torino ha dato vita nel giugno del 2020 al progetto Nove e ¾ per accompagnare e sostenere ragazzi e ragazze che vivono una condizione di ritiro sociale.

“Al nostro sportello di accoglienza arrivavano numerose richieste di aiuto da parte di genitori che chiedevano aiuto per i figli per presunte dipendenze da videogiochi, computer e smartphone -spiega Milena Primavera, psicoterapeuta e responsabile del progetto-. Approfondendo le loro situazioni ci siamo accorti però che dietro l’utilizzo di questi dispositivi c’era ben altro: l’abbandono scolastico, il rifiuto della socialità e l’isolamento. Abbiamo così deciso di fare qualcosa”.

L’obiettivo, fin da subito, era strutturare un intervento che potesse seguire le numerose situazioni di disagio soprattutto di chi, raggiunta la maggiore età, usciva dalla sfera di competenza dei servizi riservati ai minori. “Il taglio che abbiamo dato al nostro intervento -spiega Primavera- è basato su una presa in carico psico-educativa socializzante che, per intenderci, è diversa da quella che potrebbe avere un servizio di neuropsichiatria, piuttosto che un centro che si occupa di dipendenze”. Tre anni dopo la nascita del progetto circa 50 ragazzi si sono rivolti allo sportello del Gruppo Abele e 35 sono stati presi in carico: la maggior parte ha un’età compresa tra i 16 e i 25 anni. “Nove e ¾” prevede inizialmente un’attività di educativa territoriale: gli operatori fanno visita ai giovani nelle loro case per cercare di avvicinarsi e creare un rapporto di fiducia.

“Non partiamo dalla sofferenza ma dalle risorse positive -precisa Primavera-. I genitori spesso ci dicono: ‘Il computer è il loro unico interesse’. Non è vero. Hanno un mondo dentro, pieno di passioni e spesso sono molto informati sui temi di attualità. Sono ragazzi attivi nella loro stanza e noi cerchiamo di stimolare i desideri che hanno accantonato pensando di non essere in grado di realizzarli”. Nel secondo step entra invece in gioco il centro laboratoriale allestito in una struttura dell’associazione nel centro di Torino. Una sorte di ponte tra la camera e il mondo esterno in cui i giovani incontrano altri coetanei, volontari, operatori ed esperti “maestri di mestiere”. Qui si sperimentano in diversi ambiti individuali e di gruppo: dal laboratorio di ceramica, al corso di cucina o di murales, fino al giardinaggio in un orto urbano curato proprio dai beneficiari che frequentano il centro.

Sono 50 i ragazzi di età compresa tra i 16 e i 25 anni che si sono rivolti allo sportello del Gruppo Abele. Quelli presi in carico attualmente sono 35

“La maggior parte delle volte sono attività proposte dai ragazzi e talvolta da noi operatori. Spesso ci vogliono mesi per capire cosa può piacere e interessare: cerchiamo di aiutarli in questo processo con attività creative e manuali che possano stimolare la loro fantasia”, spiega Primavera. Il progetto ha voluto dare risposta a un fenomeno in crescita. È difficile avere stime numeriche precise: l’associazione di genitori “Hikikomori Italia” (termine giapponese che identifica il fenomeno) ipotizza circa 100mila ragazzi “ritirati” ma secondo Leopoldo Grosso, psicoterapeuta e vicepresidente del Gruppo Abele, sono stime da prendere con cautela.

“Spesso le famiglie fanno fatica a comprendere che la sofferenza che provano i ragazzi non è causata dal dispositivo” – Milena Primavera

“Non ci sono ancora rilevazioni condotte con i canoni della ricerca scientifica -spiega-. Con il Consiglio nazionale delle ricerche (Cnr) stiamo conducendo una ricerca quali-quantitativa ma la pandemia non ha consentito ancora di conseguire i risultati. Certo è che da una decina d’anni gli ‘eremiti metropolitani’, come li definisce lo psicoterapeuta Gustav Charmet per sottolineare la caratteristica ‘cittadina’ del fenomeno, sono in aumento”. Le ragioni sociali che incidono sull’incremento dei casi sono diverse. “In generale possiamo dire che è un indicatore della fragilità narcisistica della società d’oggi, competitiva, richiedente, che ha sostituito i canoni dell’etica con quelli dell’estetica -continua Grosso-. Apparire, essere di gradimento, sembrare piacevoli con standard sempre più elevati su tutti i piani dell’esistenza: aspetto fisico, prestazioni, relazioni, tempo libero, sport. L’asticella si è alzata sempre di più, lo stress di conseguenza aumenta a dismisura e a un certo punto si preferisce la resa, ci si tira fuori dai ‘giochi’”.

Nel 2020 il progetto “Nove e ¾” si è aggiudicato il premio Antonio Feltrinelli assegnato a “imprese di alto valore morale e umanitario” e conferito dal presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, in occasione della chiusura dell’anno accademico dell’Accademia dei Lincei (lincei.it) © Nove e 3/4

A questo si aggiunge il tema del cambiamento del modello familiare. “Da una famiglia allargata si è passati a un modello nucleare: spesso con figlio unico, a volte monogenitoriale, con i nonni non sempre a portata di mano. Un ambiente in cui circola sempre la stessa aria che rischia di chiudere l’esperienza dei bambini in un guscio dorato da cui si mette fuori la testa senza la preparazione necessaria. Diversa era la famiglia allargata: i cugini e i bambini erano molti, ed era possibile costruire adattamenti e difese che sarebbero serviti per quel periodo criticissimo che è diventata oggi la preadolescenza”. Proprio per questo motivo una terza linea di intervento del progetto prevede un sostegno per i genitori che vengono accompagnati nel loro percorso di presa di consapevolezza rispetto alle difficoltà che vive il figlio, soprattutto nell’ambito familiare. “Spesso le famiglie fanno fatica a comprendere che la sofferenza che provano i ragazzi non è causata dal dispositivo”, sottolinea Primavera. Internet e lo smartphone non sono quindi il fattore scatenante di questa condizione.

Un’attività laboratoriale svolta all’interno del Centro. Per entrare in contatto è sufficiente inviare una mail a novetrequarti@gruppoabele.org © Nove e 3/4 – Gruppo Abele

“Il punto centrale sono i rapporti con i coetanei vissuti nella fase pre-ritiro come insostenibili -conclude Grosso-. Non ci si reputa ‘capaci e meritevoli’ della considerazione dei compagni di classe, ci si sente perennemente rifiutati, scartati, derisi e ignorati. La sofferenza diventa insopportabile e ci si difende con la fuga, rintanandosi nella propria stanza. A quel punto subentra internet, a ritiro compiuto, come conforto e sollievo per sostenere la propria scelta di autoisolamento”.

Una scelta rispetto a cui Nove e ¾ prova pazientemente a costruire alternative concrete. Come è nato il nome del progetto? “L’hanno scelto i primi ragazzi che hanno partecipato alle nostre attività -conclude Primavera-. Ci hanno spiegato che il nostro centro è come il binario Nove e 3/4 con cui Harry Potter raggiunge il treno per Hogwarts: per arrivarci devi trovare il coraggio di scontrarti contro un muro. Ma se riesci a buttarti, dietro trovi qualcosa di bello e prezioso”.

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