Economia / Opinioni
A quando un cibo senza agricoltura?
Le nuove scelte alimentari sono condizionate dal marketing, dalla paura e dall’ignoranza dei sistemi agroalimentari. Un frutto avvelenato del capitalismo. La rubrica di Riccardo Bocci
Giunto alla sua trentaseiesima edizione quest’estate è uscito l’annuale Rapporto Italia che indaga i cambiamenti nella nostra società, pubblicato da Eurispes. Uno dei capitoli del Rapporto è dedicato alla dieta degli italiani, utile per comprendere le nuove tendenze alimentari.
Al di là di registrare un aumento di vegetariani e vegani, rispettivamente il 7,2% e il 2,3% composto soprattutto da donne e da persone che abitano nel Nord Italia, è interessante notare la diffusione dei cosiddetti alimenti “senza”. Si tratta di una serie di prodotti che troviamo sempre più nei supermercati e che ci vengono proposti dal marketing agroalimentare. Il rapporto presenta una situazione dove un italiano su tre consuma abitualmente alimenti senza lattosio (30,9%), uno su quattro alimenti senza zucchero (25%), uno su cinque senza glutine (21%) e senza lievito (18,3%), e quasi uno su dieci senza uovo (13,8%). È interessante notare che tutte queste scelte alimentari non sono frutto diretto di altrettante intolleranze o allergie a questi prodotti. Infatti, il rapporto fa presente che meno della metà di chi le fa ha un problema medico certificato che lo spinge a un’alimentazione senza. Ma allora perché rinunciare ad alcune cose della nostra dieta mediterranea, come ad esempio i latticini, se non si è obbligati a farlo per motivi medici?
Per rispondere a questa domanda è utile rifarsi a un saggio del 2014 dell’antropologo Marino Niola, “Homo Dieteticus. Viaggio nelle tribù alimentari” (il Mulino). Il primo capitolo si intitola “Siamo quello che non mangiamo”, parafrasando il filosofo Ludwig Feuerbach che, nel XIX secolo, invece, affermava “noi siamo quello che mangiamo”’. Già dieci anni fa, Niola raccontava un’Italia in cambiamento in cui il cibo assume un ruolo sempre più importante per plasmare i nostri Io, non più in un’ottica di tradizione o memoria condivisa, ma come strumento per autodefinire il proprio sé all’interno di precise tribù alimentari. Mangiare senza qualcosa delimita queste tribù, in cui “la sacralità si è ormai trasferita nel corpo che è diventato il simulacro del Dio assente”.
Se l’antropologia ci aiuta nel capire l’esplosione della cucina “senza”, centrale nella creazione dell’Io, il mercato ci fornisce l’altra parte della spiegazione. Infatti, i messaggi sull’importanza del legame tra cibo e salute, sull’agricoltura biologica, e le critiche al cibo ultra-processato e all’agricoltura industriale sono stati in qualche modo recepiti e digeriti dall’industria agroalimentare che li ha trasformati in marketing di nuovi prodotti, alimentando determinate scelte di consumo. Prendiamo un bene come il latte, fino a ieri uguale a sé stesso nella storia dell’uomo. Per l’economia si tratta di un settore poco remunerativo con bassi margini di profitto, ma quando il liquido bianco può essere venduto senza lattosio, oppure diventare di soia, avena o simili, o addizionato di varie vitamine, ecco che diventa un prodotto su cui puntare.
Il 30,9% degli italiani consuma abitualmente alimenti senza lattosio secondo l’annuale Rapporto Italia sui cambiamenti nella nostra società di Eurispes.
Ovviamente con un marketing dedicato che fa leva sulla nostra paura del cibo e sulla nostra ignoranza dei sistemi agroalimentari. Infatti, l’assenza di legame tra persone intolleranti e quelle che seguono una certa dieta “senza”, denota come non sia la necessità a motivare la scelta ma piuttosto un misto di cultura e mercato.
Il cittadino, diventato consumatore solitario in un mondo che mette sempre più paura, si rifugia in scelte di consumo alimentare individuali governate da un preciso marketing commerciale. Il sistema capitalistico ha così interiorizzato la critica al modello agricolo industriale, attraverso la catarsi del presunto cibo naturale e senza quelle cose che di volta in volta ci mettono paura, chiamate zucchero, poi lattosio o glutine. A quando un cibo senza agricoltura?
Riccardo Bocci è agronomo. Dal 2014 è direttore tecnico della Rete Semi Rurali, rete di associazioni attive nella gestione dinamica della biodiversità agricola
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