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A Modena una sartoria circondariale in cui poter cucire un futuro diverso
Nel marzo 2023 “Manigolde” -un progetto di Mani Tese- ha portato la sua attività all’interno del penitenziario femminile Sant’Anna. Sono sei le detenute al lavoro e gli ordini dall’esterno, tra shopper e vestiario, sono in crescita
C’è un filo sottile -ma robusto- che lega la sezione femminile del carcere Sant’Anna di Modena con il Festival Utopia di Pesaro: un ristorante nato a luglio 2023 per promuovere l’inclusione sociale e lavorativa delle persone con disabilità. Le detenute nella casa circondariale emiliana hanno infatti confezionato gli oltre cento grembiuli, indossati da cuochi e camerieri per tutta l’estate, su cui spicca il logo di “Sartoria circondariale”, l’ultimo progetto (in ordine di tempo) dei volontari di Mani Tese di Finale Emilia (MO).
“Quella di entrare in carcere era un’idea che Gaia Barbieri, la nostra responsabile, aveva in mente già da tempo -spiega Cristiana Cesari, stilista e volontaria di Manigolde, la sartoria sociale avviata nel 2019-. Nel nostro progetto è molto forte l’idea della rinascita: sia quella dei tessuti e dei capi d’abbigliamento, che recuperiamo e riportiamo a nuova vita, sia quella delle donne che si trovano in un momento di fragilità e che lavorano con noi”.
La partenza di questa nuova iniziativa è stata fulminea: dopo il primo incontro con la direzione dell’istituto penitenziario, in poche settimane sono state sbrigate tutte le pratiche burocratiche e a marzo 2023 le volontarie hanno varcato i cancelli del Sant’Anna con le braccia cariche di scampoli di tessuto e bobine di filo colorato.
Ad accoglierle una stanza piccola ma luminosa in cui erano già presenti alcune macchine da cucire e sei donne ansiose di mettersi all’opera. “È stato tutto molto naturale: ci siamo sedute, abbiamo iniziato a prendere le misure, tagliare e cucire. Il tutto chiacchierando e parlando dei nostri figli -ricorda Cristiana-. Abbiamo dedicato il primo mese alla formazione: c’era da capire bene come utilizzare tutti gli strumenti e le abbiamo lasciate libere di sperimentare e realizzare qualche semplice oggetto per sé e le altre detenute”.
“L’idea della rinascita è centrale: sia quella dei vestiti che riportiamo a nuova vita, sia quella delle donne che si trovano in un momento di fragilità” – Cristiana Cesari
Le volontarie hanno l’autorizzazione a entrare nel penitenziario per una mattina a settimana, ma in poco tempo le aspiranti sarte hanno ottenuto la possibilità di poter frequentare la sartoria in autonomia per continuare i propri lavori. “Questo ci ha fatto capire che era arrivato il momento di strutturarci maggiormente, perché le ragazze avevano bisogno di un progetto -continua Cristiana-. Così abbiamo commissionato loro la confezione di una trentina di bustine in similpelle: si sono organizzate in autonomia, hanno organizzato il lavoro come una piccola catena di montaggio e una settimana dopo ci hanno mostrato con grande orgoglio il prodotto finito. Sinceramente non mi aspettavo ci sarebbero riuscite al primo tentativo: loro invece ci hanno creduto e ci hanno dimostrato di avere le potenzialità per diventare una vera sartoria”.
Così dopo quel primo ordine ne sono arrivati altri: 120 shopper per una realtà del terzo settore, i grembiuli per il “Festival Utopia” e altri cento in taglia small per una commessa destinata a dei bambini. I ricavi delle vendite vengono divisi tra le lavoratrici che si segnano scrupolosamente le ore impegnate per ciascuna lavorazione. L’obiettivo di Manigolde ora è quello di aumentare il numero delle commesse per garantirsi un flusso costante per la confezione di prodotti relativamente semplici da affidare alle sarte “ristrette”. Donne italiane e straniere, di età diverse, che pur nelle differenze hanno trasformato quello che avrebbe potuto essere un semplice passatempo in un’occasione di ripartenza. Anna (nome di fantasia, come tutti quelli delle detenute che seguiranno) aveva già un po’ di esperienza nel settore della sartoria ed è diventata la leader naturale di questo piccolo gruppo. Katia e Daniza, due donne molto precise, hanno contribuito a organizzare le attività del laboratorio mentre Sara, che non sapeva cucire, si è affidata alle altre e nell’arco di pochi mesi ha fatto importanti miglioramenti.
Ovviamente non è tutto rose e fiori. Il turnover all’interno del carcere rappresenta spesso un problema: due delle donne che avevano iniziato il percorso nella “Sartoria circondariale”, infatti, sono state trasferite ed è stato necessario sostituirle. “Questo significa che ogni volta dobbiamo ricominciare da capo, non solo per quanto riguarda la formazione ma anche valutare se le nuove arrivate sono in grado di restare a lavorare in autonomia nel laboratorio e di farlo in sicurezza”, spiega Cristiana. Per tutte loro la possibilità di trascorrere le giornate tra scampoli di tessuto e macchine da cucire rappresenta un’occasione per dare un senso al tempo altrimenti vuoto del carcere, oltre all’occasione di costruirsi un piccolo reddito. Le volontarie di Manigolde sono particolarmente soddisfatte del lavoro svolto da marzo 2023 a oggi: in pochi mesi il laboratorio è stato avviato e adesso si tratta di ingranare una marcia in più. E c’è anche chi, come Anna, inizia a pensare al dopo e sogna di aprire una piccola sartoria quando uscirà dal carcere. Riaccendendo così un barlume di progettualità che sembrava sopito.
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