Una voce indipendente su economia, stili di vita, ambiente, cultura
Diritti

Le banche nucleari

BNP Paribas e Deutsche Bank tra i gruppi europei più attivi nel finanziare l’industria degli armamenti nucleari. Coinvolte anche Intesa Sanpaolo e Unicredit. Finmeccanica è uscita dal settore nel 2012. La ricerca dell’International Campaign to Abolish Nuclear Weapons. I libri di Altreconomia sul tema: "Armi, un affare di Stato" e "L’economia armata"

Due tra i principali gruppi bancari attivi in Italia figurano nella lista degli istituti di credito che finanziano l’industria degli armamenti nucleari: si tratta del gruppo francese BNP Paribas e della tedesca Deutsche Bank che con le statunitensi Bank of America, BlackRock e JP Morgan Chase e la giapponesi Mitsubishi UFJ Financial e la britannica Royal Bank of Scotland formano il gruppo delle realtà finanziare “most heavily involved” (più pesantemente coinvolte) nel sostegno ai produttori di armi nucleari. Lo afferma a pagina 5 il Rapporto “Don’t Bank on the bomb” diffuso oggi a livello mondiale dalla campagna ICAN (International Campaign to Abolish Nuclear Weapons) di cui la Rete Italiana per il Disarmo è partner italiano.  
 
La ricerca è stata sviluppata da IKV Pax Christi Olanda e Profundo per la coalizione internazionale ed è in grado di dettagliare come 298 istituzioni finanziarie pubbliche e private continuino ad investire circa 314 miliardi di dollari a vantaggio di 27 compagnie ed industrie internazionali coinvolte nella produzione, manutenzione e modernizzazione delle armi nucleari.
Queste banche ed istituti di credito sono inseriti nella “Hall of shame” con provenienze principali da Stati Uniti, Gran Bretagna, Svizzera ma anche con importanti nomi Indiani, Giapponesi e Tedeschi.  Tutti attori coinvolti direttamente (con vari strumenti finanziari) nel sostegno alle aziende attive nel settore delle armi nucleari.
 
Tra le aziende che erano coinvolte nella produzione di armamenti nucleari e loro vettori il precedente rapporto di ICAN (2012) citava anche Finmeccanica, la compagnia italiana di cui il Ministero dell’Economia e delle Finanze (MEF) è il maggiore azionista (detiene il 30,204% delle azioni). A seguito di quella pubblicazione, nell’agosto 2012, Finmeccanica fece sapere di “non essere coinvolta nella produzione di armi nucleari”. Ricerche indipendenti degli autori del report hanno confermato la scadenza dei contratti relativi ad armi nucleari, da parte del colosso militare italiano, proprio nel 2012. Ciò ha portato all’esclusione dalla lista, ma con l’impegno di un continuo monitoraggio e la ricerca di conferme da parte dell’azienda, per non dover giungere in futuro a inserire nuovamente Finmeccanica nella lista di produttori/sviluppatori di armamento nucleare.
 
Questa scelta ha ovviamente inciso sulla presenza nel rapporto di istituti di credito del nostro Paese. Nella precedente edizione, infatti, venivano elencate 13 banche italiane o aventi sedi principali in Italia che contribuivano al finanziamento di aziende produttrici di armamenti nucleari. Esclusa Finmeccanica, solo due figurano nel nuovo rapporto: si tratta di Intesa Sanpaolo  e UniCredit.  Intesa Sanpaolo con prestiti o finanziamenti a Bechtel, Boeing, EADS, Fluor, Honeywell International, Northrop Grumman e Thales) per un valore complessivo di 819 milioni di dollari ed UniCredit, con prestiti finanziamenti a EADS, Honeywell International, Northrop Grumman, Thales e ThyssenKrupp) per un valore complessivo di 1,43 miliardi di dollari.  
 
L’unica altra banca italiana citata nel rapporto è Banca Etica, ma per una buona notizia. L’istituto di credito popolare è infatti inserito – insieme ad altri 11 – nella “Hall of fame” delle banche che hanno adottato, implementato e pubblicato una “policy” in grado di prevenire in maniera completa e complessiva qualsiasi coinvolgimento finanziario con compagnie che producano armi nucleari.
Tra le banche estere operative nel nostro Paese, il rapporto segnala appunto il gruppo francese BNP Paribas (che svolge servizi o offre prestiti e finanziamenti a 20 ditte internazionali produttrici di armamenti nucleari) per un valore complessivo di oltre 5,36 miliardi di dollari; e la tedesca Deutsche Bank (che svolge servizi o offre prestiti e finanziamenti ad una decina di ditte produttrici di sistemi nucleari) per oltre 4,76 miliardi di dollari.  
 
"Proprio questi due gruppi bancari – ha detto Giorgio Beretta, coordinatore della Campagna di pressione alle ‘banche armate’ – sono anche i più attivi nelle operazioni di sostegno all’export di sistemi militari convenzionali dal nostro paese. Nonostante le reiterate richieste della nostra campagna, questi due gruppi non si sono ancora dotati di direttive rigorose e di rapporti trasparenti circa tutta la loro attività di finanziamento e servizi all’industria bellica".
Tra i principali gruppi bancari europei che offrono prestiti o finanziamenti alle ditte internazionali produttrici di sistemi nucleari, il rapporto segnala anche le britanniche Royal Bank of Scotland (oltre 5,6 miliardi di dollari), HSBC (4 miliardi),  Barclays (3,4 miliardi), i gruppi francesi Crédit Agricole (4,5 miliardi), AXA (3,6 miliardi) e  Société Générale (3,3 miliardi), la svizzera UBS (3,3 milairdi) e la tedesca  Commerzbank (2,4 miliardi).  
 
“I clienti di queste banche dovrebbero rendere chiaro ai propri istituti di credito che non vogliono assolutamente che i propri risparmi siano utilizzati per finanziare l’industria militare nucleare” – ha commentato Daniela Varano, del coordinamento internazionale di ICAN. “E’ importante e urgente, quindi, che i correntisti scrivano a queste banche per chiedere direttive che escludano il finanziamento alle industrie produttrici di armi nucleari e affinché gli istituti di credito rendano trasparente la propria partecipazione e i servizi che offrono alle aziende che producono sistemi sia civili che militari” – ha concluso Varano.
Diversamente dalle armi chimiche e biologiche, quelle nucleari sono gli unici armamenti di distruzione di massa non ancora messi al bando dal diritto internazionale nonostante sia chiaro ed accettato da tutti che per loro stessa natura operino uccisioni indiscriminate. Lo stesso Presidente degli Stati Uniti (il maggiore possessore di armi nucleari) Barack Obama ha affermato quest’anno che “finché esisteranno armi nucleari, non saremo completamente sicuri”.
 
Per questo, la Rete Italiana per il Disarmo ha chiesto al Governo Italiano di sostenere le iniziative internazionali per la messa al bando delle armi nucleari, come l’Iniziativa Umanitaria che andrà a breve in discussione alle Nazioni Unite.
 
L’idea è stata avanzata l’anno scorso dalla Croce Rossa Internazionale e portata avanti principalmente da Norvegia e Sudafrica: “L’intenzione – ha spiegato Lisa Clark dei Beati i Costruttori di Pace – è convincere i Paesi riluttanti per fedeltà atlantista a sostenere il disarmo nucleare non più per motivazioni ‘ideologiche’ di stampo pacifista, ma su basi pragmatiche di carattere eminentemente umanitario: le armi nucleari vanno bandite semplicemente perché, se venissero usate, gli Stati non potrebbero far fronte alla catastrofe umanitaria che ne seguirebbe”.

 

Newsletter

Iscriviti alla newsletter di Altreconomia per non perderti le nostre inchieste, le novità editoriali e gli eventi.


© 2024 Altra Economia soc. coop. impresa sociale Tutti i diritti riservati