Diritti
Il mondo continua ad investire sulla guerra
di Francesco Vignarca —
Il totale della spesa militare mondiale (i già ricordati 1750 miliardi di dollari equivalenti al 2.5% del PIL mondiale) costituiscono il massimo storico dal punto di vista del totale nominale, ma sperimentano per la prima volta dal 1998 una leggera derescita in termini reali: 0,5% in meno rispetto all’anno scorso.
Per il SIPRI, nel 2012, i Governi di tutto il mondo hanno speso 1750 miliardi di dollari per mantenere le proprie strutture militari. Sono state rese note in queste ore, come ogni anno, le stime dell’Istituto svedese che tiene sotto controllo gli investimenti e le spese correnti dei bilanci pubblici relative alle forze armate, ai ministeri per la difesa e alle acquisizioni di armamenti. Il nostro paese ritorna, dopo un anno di assenza per il sorpasso brasiliano, nei primi 10 posti della lista. Il totale della spesa militare mondiale (i già ricordati 1750 miliardi di dollari equivalenti al 2.5% del PIL mondiale) costituisce il massimo storico dal punto di vista del totale nominale, ma sperimenta per la prima volta dal 1998 una leggera derescita in termini reali: 0,5% in meno rispetto all’anno scorso.
Dal punto di vista delle valutazioni ciò non deve essere letto e rilanciato come una vera diminuzione delle spese militari mondiali, che in realtà si stanno solamente assestando. L’effetto, come dimostrano le analisi di dettaglio diffuse dal SIPRI (vedi PDF scaricabile a lato), è determinato soprattutto da un rilevante calo messo in opera dai paesi del cosiddetto "blocco occidentale" che, per i loro problemi di budget ormai continuativi, hanno iniziato proprio nel 2012 a limitare le proprie spese in questo ambito. Ricordiamo che la crisi finanziaria ed economia è invece iniziata dal 2008 e ha quasi fin da subito dispiegato i propri effetti su altre voci dei bilanci pubblici. E perciò una spesa militare mondiale che è andata crescendo in maniera robusta negli ultimi 20 anni e che ancora oggi, in termini reali, supera il livelli dei picchi di fine "Guerra fredda" non può certo essere considerata come in effettiva diminuzione.
In termini sostanziali si può dunque dire che il mondo si armi ancora, continuando a scegliere l’opzione armata e di guerra per cercare di risolvere i propri conflitti. Ciò ci porta a leggere i dati appena diffusi più in termini di tendenze che di valori assoluti: l’aspetto rilevante riguarda quindi l’individuazione di chi stia facendo maggiormente crescere la propria scelta armata. Lo stesso SIPRI nota come i numeri relativi al 2012 "possano indicare un allontanamento dall’Occidente dell’equilibrio consolidato nelle spese militari". La lettura proposta è confermata dell’analisi della metodologia da cui i dati di spesa vengono ricavati: va ricordato che si tratta di stime basate su criteri di misurazione che possono anche modificarsi paese per paese, proprio per i diversi criteri di bilancio pubblico e le modalità operative con cui questi soldi vengono spesi.
Sono perciò le tendenze quelle da verificare e, come abbiamo sempre detto, non bisogna fermarsi ai dati di valore assoluto soprattutto nel caso italiano. Tra i primi 10 paesi per la spesa militare mondiale ben quattro, infatti, vedono nei dati SIPRI un totale non riconosciuto in maniera precisa ma solamente stimato. Tra di essi proprio l’Italia (decima) e la Germania che la precede di un posto in classifica, ma soprattutto la Cina e la Russia che si collocano al secondo e al terzo posto dietro gli Stati Uniti. Per il nostro paese questa sottolineatura è rilevante, perché se guardiamo le stime SIPRI abbiamo delle tendenze diverse da quelle desumibili dai dati ufficiali di bilancio rielaborati negli ultimi anni sia con il nostro lavoro (sul blog "I signori delle guerre" o nel libro "Il caro armato") sia con quello delle realtà del mondo del disarmo. Per l’istituto svedese i 34 miliardi di dollari stimati (probabilmente per difetto per motivi di cambio tra euro e dollaro) risultano essere un decremento di circa il 5% rispetto al 2011, mentre i numeri ufficiali ci raccontano di una crescita che sarà ancora maggiore nel 2013.
Con questi avvertimenti in testa, ciò che conta davvero sono le linee di tendenza che si intravedono per il futuro e che potrebbero confermare intuizioni già fatte in passato. Importante è rilevare il fatto che gli Stati Uniti, proprio per i motivi di problemi di budget e le scelte dell’amministrazione Obama, abbiano visto cadere la loro spesa militare del 6% in termini reali nel 2012 registrando comunque una crescita totale di quasi il 70% rispetto al livello del 2001. Una tendenza comune ai paesi dell’Europa centroccidentale che tra il 2008 e 2012, almeno nella maggior parte, hanno ridotto la loro spesa militare di circa il 10% in termini reali. A ciò fa da contraltare l’esplosione della spesa militare russa che in un solo anno è salita del 16% ed il continuo incremento di quella asiatica anche se con un tasso un poco più rallentata. La Cina è stata tra i leader anche in questa speciale classifica aumentando, ma sempre come stima, la propria spesa militare di circa il 7,8% in termini reali. Un ultimo elemento deriva dal significativo incremento registrato dal Medioriente e dal Nordafrica, anche se è ancora presto per capire se gli effetti della cosiddetta "primavera araba" si stiano o almeno dispiegando anche sulla spesa militare della regione.
Lo stesso approccio di analisi, basato sui trend piuttosto che sui valori assoluti, si riscontra nelle altre due importanti serie di dati già rilasciati dal SIPRI per il 2013 (e che saranno parte integrante dello Yearbook di quest’anno). Si è già visto infatti come sia andata cambiando la geografia dei grandi esportatori di armi, con la Cina che ha sopravanzato il Regno Unito come quinto più grande esportatore mondiale. La classifica vede al comando gli Stati Uniti con il 30% delle vendite mondiali di materiale d’armamento, poi la Russia al 26% seguita poi a distanza da Germania (7%) e Francia (5%). Ma più che dai "venditori" l’elemento rilevante è quello degli acquirenti: negli ultimi cinque anni (cioè nel periodo 2008-2012) sono state Asia e Oceania a fare la parte del leone. Circa il 47% degli acquisti di armi è responsabilità di quest’area con l’India, la Cina e il Pakistan, oltre che Sud Corea e Singapore ad essere in testa alla lista. Gli stessi elementi che abbiamo visto prima incidere sull’ambito delle spese militari hanno provocato una diminuzione del mercato di armi in Europa: comparando i due periodi 2003-2007 e 2008-2012 le vendite di armi hdi tali paesi sono cadute del 20%. Un effetto combinato della crisi finanziaria, che ha impattato sulla spesa pubblica europea, e delle scelte di ritiro dall’Iraq ed Afghanistan che hanno determinato una minore necessità in termini di equipaggiamento militare. L’assestamento del mercato, in termini relativi, si avuto anche con i dati, diffusi a metà febbraio, riguardanti le vendite complessive delle maggiori 100 aziende del settore militare. Anche in questo caso il valore assoluto complessivo è stato il massimo della storia con 410 miliardi di dollari di ricavi, anche se ciò corrisponde a un leggera decrescita in termini reali (circa il 5%). In questo caso, come per le spese militari, sarebbe un grave errore andare subito a pensare che il business degli armamenti stia contraendosi. Diversamente da quanto sottolineato da diversi commentatori siamo solo di fronte a un assestamento riguardante le spese militari che di conseguenza si ripercuote anche sul fatturato complessivo delle 100 maggiori aziende. Inoltre il trend in questo caso è ancora più difficile da valutare, perché stiamo solo parlando delle prime aziende per ricavi e non del valore complessivo di fatturato dell’industria degli armamenti: basterebbe quindi che un’azienda uscisse o meno da questa classifica per far variare il totale. Entrando nel dettaglio dei dati, a far la parte del leone sono ancora le aziende con sede negli Stati Uniti, responsabili del 60% delle vendite di armi seguite dal 29% delle aziende di provenienza Europea occidentale. Va notato come in questa lista non vengano incluse compagnie cinesi per le quali non esistono dati di riferimento e come comunque una grossa crescita provenga sempre dal mercato e dalla situazione russa.
Proprio per inquadrare meglio questi dati ricordiamo che le vendite di armi per il SIPRI equivalgono alle vendite di beni e servizi militari a qualsiasi tipo di cliente, incluse vendite per acquisizioni interne dei singoli Stati e quelle relative all’export fuori dei confini. Altra annotazione riguarda la base temporale: i numeri riguardanti le aziende a produzione militare sono un anno in ritardo rispetto quelli della spesa militare, proprio per la difficoltà di recupero di tali informazioni. Finmeccanica si assesta anche nel 2011 all’ottava posizione con una produzione militare pari a circa il 60% del proprio fatturato, una quota molto alta per una azienda così grande e che mantiene sistema di produzione ben differenziato. Nonostante le problematiche derivanti da tutti gli scandali, anche di natura processuale, del colosso italiano nel 2011 c’è stata una crescita minima del fatturato che per quanto riguarda la parte militare si attesta 14,5 miliardi. I contraccolpi degli errori e dei problemi aziendali si sentiranno maggiormente con i dati relativi al 2012.
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