Diritti / Opinioni
Il Novecento presenta ancora il conto
A settant’anni dalla Dichiarazione universale dei diritti umani, l’Onu è ridotta all’impotenza e i nazionalismi rinascono. Una speranza c’è, a Sud
La carovana partita nel mese di ottobre dall’Honduras, con migliaia di persone decise a raggiungere gli Stati Uniti, è uno dei fatti politici più importanti dell’ultimo periodo. Singoli, famiglie, persone di tutte le età hanno rotto gli indugi e indicato un obiettivo al tempo stesso antico e nuovissimo. Antico, perché gli Stati Uniti sono da più di un secolo la terra promessa per le masse diseredate del Vecchio e del Nuovo Mondo; nuovissimo, perché sfida l’isolazionismo che ha trasformato la federazione nordamericana in una fortezza militarizzata.
Il muro fisico e immateriale costruito lungo il confine col Messico ha segnato un punto di rottura per la stessa identità statunitense. Da terra d’accoglienza e di infinite opportunità -il cosiddetto “sogno americano”- a nazione disposta più di ogni altra a sacrificare i proclamati princìpi di libertà e democrazia pur di difendere i propri cittadini dallo straniero.
La marcia dei centroamericani si propone a sorpresa di cambiare tutto. Rivendica un diritto di emigrazione (e di immigrazione negli Usa) che (s)travolgerebbe gli attuali equilibri geopolitici, basati sui divieti, i muri, le persecuzioni. Già si parla di democrazie illiberali senza suscitare scandalo -tutt’altro- nelle popolazioni e fra gli elettori. I marciatori rivendicano per sé un diritto d’espatrio e di insediamento che è stato praticato dagli occidentali attraverso i secoli ed è all’origine degli Stati Uniti, un Paese fondato da immigrati.
Ora la storia presenta il conto, ma è un conto che i governanti attualmente al potere in Occidente non vogliono pagare. Il presidente di quello che una volta era considerato il Paese guida per le democrazie di tutto il mondo, ha risposto alla marcia, ancora lontanissima fisicamente, annunciando lo schieramento dell’esercito con facoltà di sparare. Donald Trump ha deriso e negato l’esistenza stessa di un diritto d’asilo o di una legittima aspirazione a entrare negli Stati Uniti.
È la certificazione -condivisa ben oltre la Casa Bianca- del tramonto della dottrina dei diritti umani, che compie in questi giorni settant’anni, quanti ne sono passati dalla Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo (dicembre 1948). Questo documento -come oggi capiamo meglio- si limitava a mitigare, senza però cancellare, gli effetti degli errori compiuti trent’anni prima, alla fine della Grande Guerra. Cominciò allora una fase storica nella quale siamo tuttora immersi. I fallimentari trattati di pace firmati nel 1919 sono all’origine delle tragedie del Novecento per le questioni che non affrontarono (l’enorme espansione degli armamenti) e per gli errori che furono compiuti, dall’eccessiva punizione inflitta alla Germania al debole statuto della Società delle Nazioni.
15.000 i militari che il presidente degli Stati Uniti ha promesso di inviare al confine con il Messico per impedire alla carovana partita dall’Honduras di entrare nel Paese
Ancora oggi paghiamo un prezzo altissimo per l’insipienza politica di chi non seppe gestire la pace un secolo fa: una terza guerra mondiale “a pezzi” che semina distruzione, l’Onu ridotta all’impotenza, i nazionalismi che rinascono. Se c’è ancora una speranza di invertire la rovinosa tendenza in atto, va cercata in basso (socialmente) e a Sud (geograficamente), non certo nelle capitali e nei palazzi di governo delle grandi potenze. Perciò la marcia dei centroamericani è un fatto politico importante. Potrebbe rivelarsi l’atto imprevisto che rompe l’incantesimo e innesca un risveglio generalizzato delle coscienze e delle volontà. Visti i rapporti di forza, è improbabile che questo avvenga, ma intanto migliaia di persone si sono messe in marcia e una strada è stata indicata.
Lorenzo Guadagnucci è giornalista del “Quotidiano Nazionale”. Per Altreconomia ha scritto, tra gli altri, i libri “Noi della Diaz” e “Parole sporche”.
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