Economia / Opinioni
Turchia: che cosa insegna l’ultima crisi della moneta
Le valute nazionali vengono attaccate da chi scommette sul loro ribasso per obbligare le banche centrali e le singole economie a svenarsi con tassi stellari. Il debito pubblico lievita e si ripetono nuovi attacchi speculativi in un circolo vizioso senza fine. Ma invocare la svalutazione monetaria ha poco senso. L’analisi di Alessandro Volpi
Le difficoltà della lira turca, che ha perso il 45 per cento del suo valore in pochi mesi, e le altrettanto marcate criticità della rupia indiana confermano, se ancora ce ne fosse bisogno, l’ormai evidente insostenibilità delle monete nazionali. Si tratta infatti delle ennesime vicissitudini delle singole divise dopo quelle del peso argentino, del rublo russo e del malatissimo bolivar venezuelano, costantemente sotto pressione da parte dei mercati.
Appare chiaro che nessuna economia, fatta eccezione per quella americana caratterizzata dal fatto di disporre della moneta in cui si fanno quasi tutti i pagamenti internazionali, può garantire la stabilità della propria valuta. Non basta essere grandi esportatori di energia, come nel caso della Russia o del Venezuela, e neppure rientrare nel novero delle potenze emergenti come dimostra la vicenda indiana. Non basta neppure la presenza di un governo forte e in grado di zittire, in misura più o meno legittima, le opposizioni come nel caso turco, la cui moneta, come avveniva per la nostra lira, trae il nome dal latino libra. Per mettere a repentaglio le singole valute sono sufficienti gli squilibri della bilancia commerciale, il peggioramento dei conti pubblici o l’emergere di tensioni politiche, interne o esterne. Qualsiasi fattore può essere interpretato come sintomo di debolezza cronica e dunque scatenare attacchi contro la moneta nazionale che non possiede strumenti di vera difesa. Quando i mercati decidono di aggredire una singola valuta, si scatena sempre il meccanismo del tutti contro uno e la speculazione ribassista ha gioco facile.
A poco servono le munizioni sparate dalle singole banche centrali dei vari Paesi per arginare l’ondata dei ribassi; nessuna di esse dispone ormai delle riserve in grado di incidere su un mercato da migliaia di miliardi e, davvero, come dimostrano le sterili dichiarazioni di Erdoğan, annunciare e porre in essere interventi “nazionali” non produce alcun risultato, in un mondo peraltro che ha abbandonato ogni forma di solidarietà economica per tornare ai più crudi protezionismi. In altre parole, nel caso di attacchi contro una sola moneta, il mercato è sempre “sottile”, non solo a ferragosto quando il volume degli scambi è ridotto, perché gli speculatori sono molto bravi ad isolare la moneta aggredita e a scaricarle addosso la necessaria intensità di fuoco. In quest’ottica la capacità che il singolo Paese ha di rimettere al sicuro la propria valuta con un rialzo dei tassi di interesse è molto limitata perché il rialzo, per avere qualche effetto, deve essere molto alto e dunque costosissimo per il Paese che lo applica attraverso la propria banca centrale. In estrema sintesi, il meccanismo posto in essere contro le monete nazionali è crudelmente semplice; vengono attaccate da chi scommette sul loro ribasso per obbligare le banche centrali e le singole economie a svenarsi con tassi stellari che, anche se riescono a frenare momentaneamente l’emorragia, generano poi una lievitazione del debito pubblico destinata a causare nuovi attacchi speculativi in un circolo vizioso senza fine. Ha poco senso, in un simile quadro, invocare gli effetti benefici della svalutazione monetaria, indotta proprio dalla debolezza delle singole valute; si assisterebbe a svalutazioni continue e pesantissime, dettate dal già ricordato circolo vizioso, che causerebbero un’inflazione costantemente a doppia cifra, con il conseguente impoverimento delle fasce di popolazione con redditi più bassi.
L’unica soluzione possibile, quindi, parrebbe essere quella di un quadro internazionale caratterizzato da grandi monete sovranazionali, capaci di stabilizzare realmente il sistema monetario secondo una logica che assomiglia almeno in parte a quella dei vaccini. Solo se esiste un numero di vaccinati molto alto, si riducono i rischi per tutta la popolazione; così, solo se si ha una gran parte delle economie “coperte” da monete solide, al di fuori delle dinamiche nazionali e nazionaliste, si ridurranno i rischi dei contagi speculativi. In caso contrario, come dimostrano le vicende di questi giorni, anche l’euro risentirà delle fragilità della moneta turca e, purtroppo, come accade per le malattie, ad essere colpiti prima saranno gli organismi più deboli, a cominciare da quelli più indebitati come l’Italia. Una breve nota conclusiva; da questo schema non si esce riducendo la dipendenza del singolo Paese dall’estero sia in termini monetari sia in quelli del debito pubblico che dovrebbe essere tutto in mano ai soggetti residenti nel Paese. Sarebbe come se, per evitare di ammalarsi, piuttosto che vaccinarsi, ci si chiudesse perennemente in casa.
* Università di Pisa
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