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Racket, usura e il mercato che piace alle mafie
Il 29 agosto 1991 veniva assassinato Libero Grassi, imprenditore che rifiutò la “tassa dei mafiosi”. Quasi trent’anni dopo, l’Italia si scopre ancora esposta
“Volevo avvertire il nostro ignoto estortore di risparmiare le telefonate dal tono minaccioso e le spese per l’acquisto di micce, bombe e proiettili, in quanto non siamo disponibili a dare contributi e ci siamo messi sotto la protezione della polizia”. Così scriveva sul Giornale di Sicilia, nel gennaio 1991, sette mesi prima di essere assassinato a Palermo il 29 agosto, l’imprenditore Libero Grassi, in una lettera aperta indirizzata ai mafiosi che gli chiedevano il pizzo. Il suo coraggio di denunciare pubblicamente, anche in televisione, il rifiuto di pagare la “tassa dei mafiosi”, insieme alla solitudine in cui visse anche a causa dell’assurdo atteggiamento tenuto a quel tempo dall’associazione degli industriali di Palermo, decretarono la sua condanna a morte. Tuttavia, la testimonianza di Libero Grassi continuò a camminare sulle gambe di altre persone.
A Capo d’Orlando, in Sicilia, un altro commerciante, Tano Grasso, fondò un’associazione antiracket da cui, successivamente, nacque e si sviluppò un vasto movimento che spinse diversi imprenditori a mettersi in rete e a denunciare i loro estorsori, forti della presenza dello Stato e della vicinanza dei loro colleghi che partecipavano a tutte le udienze dei processi.
Dopo l’approvazione della legge antiusura 108/96, nel 1999 il Parlamento approvò la legge 44 che ha istituto la figura del Commissario straordinario del Governo per il coordinamento delle iniziative antiracket ed antiusura e un fondo di solidarietà per le vittime che, da allora, elargisce contributi economici a titolo di ristoro del danno patrimoniale subito o tentato. Condizione fondamentale per ottenere questo beneficio è che gli imprenditori e i commercianti denuncino alle forze di polizia e alla magistratura.
Cosa è accaduto negli ultimi cinque anni rispetto alla lotta a racket e usura? Il punto lo ha fatto recentemente SOS Impresa di Confesercenti. Il comitato di solidarietà che si occupa del Fondo si è riunito 225 volte, ha esaminato 4.560 istanze ed elargito più di 106 milioni di euro. Si tratta di cifre importanti, tuttavia, quello che emerge, è un calo sensibile delle denunce da parte degli imprenditori. Perché? Secondo SOS Impresa è una combinazione di diversi fattori. Prima di tutto le mafie sono cambiate rispetto agli anni 90. Oggi le cosche agiscono sempre di più come imprese, preferendo corrompere e prestare denaro agli imprenditori in difficoltà piuttosto che sparare (aspetto tuttora agito quando ritenuto necessario).
106,2 milioni di euro elargiti tramite il Fondo di solidarietà per le vittime del racket e dell’usura negli ultimi 5 anni dal ministero dell’Interno. Nel 52% dei casi sono stati contributi per ristoro di danni da estorsione, la parte restante come ristoro mutui per usura (Fonte: SOS Impresa).
Una seconda ragione del calo delle denunce risiede nella crescente sfiducia di diversi imprenditori e commercianti verso lo Stato, le istituzioni, le forze di polizia e, anche, verso il mondo dell’antimafia e dell’antiracket, recentemente attraversato da scandali e indagini che hanno toccato, a torto o a ragione, simboli e icone fino a qualche anno fa considerati paladini. A queste ragioni, la storia insegna che vanno aggiunte anche la paura e l’omertà, la complicità e la connivenza. Fa riflettere quanto accaduto alcune settimane fa presso l’aula di Rebibbia, nell’ambito del processo contro il clan Spada di Ostia. In questo caso, né gli operatori economici vessati né le associazioni categoria si sono costituite parte civile. Nel XXI secolo, come ha scritto Isaia Sales, le mafie hanno dimostrato di essere incompatibili con le leggi dello Stato ma non con quelle di mercato, una parte del quale si alimenta di denaro di provenienza illecita e opera adottando procedure illegali quando non addirittura criminali. Liberare mercato e società dai criminali è un atto che salvaguardia la democrazia e la libertà di tutti.
Pierpaolo Romani è coordinatore nazionale di “Avviso pubblico, enti locali e Regioni per la formazione civile contro le mafie”
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