Diritti / Opinioni
La democrazia sembra “affievolirsi”. L’unico argine è dirsi: “Non darò il mio consenso”
Oggi il mondo è costellato da guerre -35 quelle ancora in corso- mentre continua a diminuire il numero di Stati che possono essere considerati democratici. Di fronte a questa situazione è ancora valido l’ammonimento della giornalista Martha Gellhorn: ciascuno di noi deve opporsi ai mali del proprio tempo. L’editoriale del direttore di Altreconomia, Pietro Raitano
Martha Gellhorn è una sorta di mito nel mondo del giornalismo. Nata in Missouri nel 1908, è considerata l’antesignana dei corrispondenti di guerra a partire da quando, ventottenne, documentò la guerra civile spagnola. Molti la considerano la più grande reporter di tutti i tempi per via dei reportage dai fronti più sanguinosi del mondo, a partire dalla Seconda guerra mondiale: fu tra i primi a testimoniare l’orrore del campo di sterminio di Dachau, in un lungo viaggio che la portò in tutta Europa, dall’Olanda all’Italia. Ancora oggi impressiona leggere le sue corrispondenze dalla guerra in Cina (1941), da quella a Giava (1946), dal Vietnam (1966), il racconto della Guerra dei Sei giorni (1967), i conflitti dell’America centrale (a partire dal 1983 e fino ai primi anni 90). Fu sempre un’esponente del movimento pacifista, ma morì suicida, esattamente 20 anni fa, malata e quasi cieca.
A ottanta anni suonati è ancora battagliera e affida all’appendice di un libro una delle sue frasi più significative, ancor valida dopo 30 anni: “Tendo ad applicare alla Storia la teoria della ‘corsa a staffetta’: il progresso nel campo delle relazioni umane dipende dall’accettazione, di generazione in generazione, del dovere individuale di opporsi ai mali del proprio tempo. I mali del tempo cambiano, ma non si esauriscono mai e avrebbero libero corso se non vi fossero persone coscienziose disposte a dire: non darò il mio consenso”.
Oggi il mondo è ancora costellato di guerre, anche se il numero di morti diminuisce (in quattro anni la Prima guerra mondiale, di cui a novembre celebreremo il centenario della fine, fece circa 17 milioni di vittime). Tuttavia non possiamo darci pace di fronte agli almeno 35 conflitti in corso, e non possiamo non far altro che indignarci e protestare di fronte ai massacri compiuti dall’esercito israeliano contro i manifestanti a Gaza a maggio, o alla strage terroristica di Kabul di aprile, dove tra gli altri ha perso la vita Shah Marai, il fotografo a capo dell’ufficio di Afp della città. Martha Gellhorn conosceva i rischi che correva, ma sapeva anche i giornalisti sono spesso dei target, e vengono presi di mira.
Vale anche in situazioni non conflittuali ma dove gli spazi di libertà vanno restringendosi, come in Turchia, dove a fine aprile i giornalisti del quotidiano indipendente Cumhuriyet sono stati condannati a vari anni di carcere per “terrorismo”.
È la democrazia stessa che sembra “affievolirsi” nel mondo. Freedom House, organizzazione indipendente di Washington, ne monitora lo stato di salute a livello globale. Nell’ultimo rapporto -pubblicato a gennaio- si spiega che sono ormai 12 anni che sistematicamente diminuisce il numero di Stati che possono essere considerati democratici. E anche che molti tra quelli che ancora lo sono vedono regredire pericolosamente la tutela di diritti civili ed essere minacciata la libertà. In cima ai Paesi che hanno visto peggiorare significativamente la situazione tra il 2007 e il 2017 c’è proprio la Turchia, seguita da Repubblica Centrafricana e Mali. Ma il problema riguarda anche il Venezuela, l’Ungheria, la Polonia, ovvero Paesi dove ormai l’impianto democratico sembrava saldo. Oggi, raccontano i numeri di Freedom House, solo il 45% degli Stati può essere considerato “libero”: in controtendenza rispetto al periodo tra il 1987 e il 2007, durante il quale la percentuale era salita dal 35 al 48%. Tradotto in persone, vuol dire che 37 abitanti su 100 del Pianeta vivono in regimi non democratici e non possono essere considerati “liberi”, 24 sono “parzialmente liberi” e solo 39 godono di tutele sufficienti.
Non bisogna fraintendere, sottolinea Freedom House: la perdita di democrazia non implica necessariamente dittatura, o l’assenza di un governo democraticamente eletto. La perdita di democrazia ha piuttosto a che fare con misure antidemocratiche intraprese dai detentori del potere, pur se legittimati democraticamente. Misure -aggiungiamo noi- come le discriminazioni nei confronti dei migranti, o quelle a favore della porzione più ricca della popolazione nazionale, o gli attacchi alla stampa non allineata.
© riproduzione riservata