Economia / Inchiesta
Bilanci e consulenza: in Italia il mercato è in mano alle “Big four”
I colossi Deloitte, EY, KPMG e PricewaterhouseCoopers sono i leader globali nella revisione e advisory (anche tributaria) dei conti delle grandi aziende. Il nodo dell’indipendenza professionale e il rischio di conflitti di interessi
“Su cento revisioni di bilancio basta che ne vada storta una per finire in cattiva luce. Ma il nostro mondo è più complesso”. L’ufficio stampa italiano di KPMG, colosso della revisione e della consulenza globale, mostra una certa diffidenza. Il “caso Vicenza” brucia ancora. La disastrata banca popolare del Veneto, infatti, era un suo cliente e i suoi bilanci erano materia di revisione in capo proprio a KPMG. Ma qualcosa è andato storto e il 6 dicembre 2017 la società è stata sanzionata dalla Consob, che per legge è chiamata a vigilare sul settore: diverse “irregolarità” e “la violazione di numerosi principi di revisione” sui conti 2014 le sono costati 300mila euro.
Se la finanza fosse un gioco e i bilanci delle società le pedine che si muovono sul tabellone, la revisione contabile sarebbe in cima al regolamento. I suoi “principi”, infatti, rappresentano lo snodo decisivo dell’economia. E i principali, al di là del caso specifico, sono l’indipendenza e il cosiddetto “scetticismo professionale”. Perché? Semplice: il bilancio, cioè i conti patrimoniali ed economici di un’impresa, è la carta d’identità contabile. E la normativa comunitaria chiarisce che la sua “integrità ed efficienza” influisce profondamente sulla fiducia, sull’interesse e sulle scelte pubbliche e individuali. Investireste mai in una società al collasso? Forse, a patto d’aver chiaro il suo stato di salute. Quindi il revisore -armato del dovuto scetticismo e dell’assoluta indipendenza- gioca un ruolo chiave che per legge dev’essere impermeabile a qualsiasi tipo di conflitto di interessi. In Italia, infatti, è in vigore l’obbligo di esclusività dell’oggetto sociale per le società di revisione. Tradotto: chi volesse offrire anche altri servizi diversi dalla revisione -ad esempio la consulenza in materia tributaria e fiscale- dovrebbe dar vita a società separate. È un requisito di indipendenza. E così accade, o dovrebbe accadere. “Non si può assistere qualcuno a scrivere un bilancio e poi verificare che quel lavoro sia stato fatto correttamente”, sintetizza bene Gian Gaetano Bellavia, commercialista e consulente della Procura di Milano in materia di riciclaggio.
La revisione quindi è un mestiere delicato, ma molto redditizio. Per l’ultimo bilancio dello Ior (Istituto per le opere di religione), ad esempio, il revisore ha incassato 121mila euro. Si trattava di Deloitte, una delle “Big four” del mercato della consulenza e della revisione contabile mondiale. “Big” il giro d’affari, come confermano i fatturati aggiornati al 2017: 38,8 miliardi di dollari per la statunitense Deloitte, seguita dalle britanniche PricewaterhouseCoopers (PwC), con 37,7 miliardi di dollari dichiarati, ed EY (un tempo Ernst & Young), 31,4 miliardi, e dall’olandese KPMG, 26,4 miliardi.
E come nel resto del mondo, anche in Italia il settore è nelle mani delle “quattro”. “Il mercato della revisione -scrive la Commissione nazionale per le società e la Borsa nella sua ultima relazione annuale- continua a presentare caratteristiche di elevata concentrazione”. Rispetto ai soli incarichi di revisione dei bilanci delle società quotate in Borsa (230 in tutto nel 2016), le “Big four” si assicurano l’88% del mercato. Qualche esempio: nell’esercizio sociale chiuso al 30 giugno 2017, la EY Spa ha curato la revisione dei bilanci di colossi come Eni, Enel, le multiutility A2a e Acea, il Monte dei Paschi di Siena, Mediaset fino alla Juventus Football Club Spa. L’elenco è sterminato e per la sola EY oltrepassa il centinaio di società. Aver revisionato i bilanci di tutti questi “enti di interesse pubblico” (EPI) le ha garantito ricavi per 81,1 milioni di euro.
PricewaterhouseCoopers ha lavorato sui conti di Cassa depositi e prestiti, Poste Italiane, Iren, Terna e tante altre, assicurandosi così 54 milioni di euro. E poi c’è Deloitte con i suoi 76,7 milioni di euro: tra i clienti spiccano Alitalia, Atlantia, Erg, Gavio o Unicredit. Astaldi, Cementir, Credito Valtellinese, Deutsche Bank, Ferrovie dello Stato, l’ex Gruppo editoriale l’Espresso, Intesa Sanpaolo (che ha inglobato anche Banca Popolare di Vicenza) o Salini Impregilo -fino alla Banca Popolare Etica- si sono rivolte invece alla KPMG Spa: 53,8 milioni di euro di ricavi alla voce “revisione legale”.
Il giro d’affari delle quattro Spa nel nostro Paese è impressionante: i loro ricavi complessivi superano quota 985 milioni di euro (dati dalle Camere di Commercio). Ma guardare alle “Big four” come fossero solamente “controllori” di bilanci sarebbe un errore. La revisione legale “pura”, infatti, rappresenta solo una parte dei loro modelli di business. Ed è qui che sta il punto.
Per capirlo prendiamo il caso di EY Spa. Un terzo dei suoi ricavi è garantito da “servizi diversi dalla revisione contabile prestati ad altri enti” (93,8 milioni di euro). Cioè consulenza finanziaria, tributaria, strategica. Non è finita. Un quinto del suo fatturato deriva da “servizi diversi dalla revisione resi a clienti di revisione”.
EY lo fa in parte direttamente e in parte attraverso la Ernst & Young Financial Business Advisors Spa, che si occupa esplicitamente di consulenza e analisi su scelte strategiche organizzative e gestionali. È la legge che la obbliga a separarsi. Allo stesso modo KPMG ha la sua distaccata KPMG Advisory, Pwc la PricewaterhouseCoopers Advisory così come Deloitte la Deloitte Consulting Srl. Sommando i ricavi di questi quattro “satelliti” a quelli delle società centrali si sfiorano i 2 miliardi di euro. Ma c’è un problema: quanto sono stagni i due compartimenti “revisione” e “consulenza”?
La revisione è un mestiere delicato, ma molto redditizio. Per l’ultimo bilancio dello Ior (Istituto per le opere religiose) Deloitte ha incassato 121mila euro
La risposta l’ha data l’Autorità garante della concorrenza e del mercato (Agcm) che nel marzo 2016 ha avviato un’istruttoria sui compartimenti “consulenza” delle “Big four” italiane. Il sospetto era che fosse stata messa in piedi una “intesa restrittiva della concorrenza” per spartirsi i lotti di un’importante gara pubblica di Consip per dei servizi di supporto e assistenza tecnica in alcuni programmi cofinanziati dall’Unione europea. Chiusa l’istruttoria, nell’ottobre scorso è arrivato il provvedimento finale: 135 pagine durissime. Le quattro realtà avrebbero infatti definito un “disegno spartitorio finalizzato ad annullare tra tali soggetti il confronto concorrenziale per ciascun lotto di interesse”. Un comportamento accostato alle “violazioni più gravi della normativa antitrust” perché “idoneo e destinato ad alterare […] il normale gioco della concorrenza”. C’è di più: secondo l’Autorità, EY, PWC, Deloitte e KPMG -che hanno fatto ricorso al Tar contro il provvedimento- avrebbero sì dato vita a vettori formalmente distinti ma nella prassi questi avrebbero continuato a muoversi come una “singola unità economica”, in perfetta sinergia, condividendo uffici, personale, nonché l’azione dei soci che operano per entrambe le “entity e/o attraverso strutture giuridiche che ne assicurano il coordinamento”. “Emblematica -scrive l’Autorità- risulta la descrizione che dei rispettivi network forniscono le parti nei propri siti internet”. È il caso di Pwc: “Siamo organizzati in quattro linee di servizio -si legge sul portale-: Assurance, Consulting, Deals, Tax and Legal. L’approccio ‘one firm’, che prevede la collaborazione e l’interazione tra le linee di servizio, permette a PwC di ottenere un forte vantaggio competitivo e consente alle nostre persone di partecipare a progetti trasversali e di sviluppare competenze ed esperienze diverse”. “One firm”, cioè una cosa sola.
Se la lettura dell’Antitrust fosse confermata, vorrebbe dire che l’indipendenza sarebbe pura facciata, mentre revisione, consulenza e questioni tributarie sarebbero una sola miscela. Che sarebbe decisamente problematica. Interpellato sul punto, il viceministro dell’Economia uscente Enrico Morando ha riconosciuto la delicatezza della questione: “Se quest’ultima (ovvero la separazione societaria, ndr) è stata imposta per evitare che si determinino conflitti di interesse altrimenti insuperabili, non ha senso considerare questi ultimi superati da un mero maquillage sopra l’assetto societario”.
“Il mercato della revisione continua a presentare caratteristiche di elevata concentrazione” – Commissione nazionale
per la società e la Borsa (Consob)
A proposito di assetto societario è interessante tornare alla galassia Ernst & Young. Considerando tutte le sue ramificazioni, EY in Italia realizza ricavi aggregati per 596,6 milioni di euro. Nel suo “network” c’è anche lo Studio Legale Tributario (SLT) che è composto da 90 avvocati e centinaia di collaboratori. Pur avendo la partita Iva non è tenuto a depositare alcun atto societario o di bilancio in Camera di commercio. Quindi conoscerlo nel dettaglio è complicato ed EY non ha trasmesso l’elenco completo dei suoi associati. Tra i personaggi più in vista c’è Stefania Radoccia, l’“Italian Law leader” dello studio nonché consigliere di amministrazione della Global shared services Srl, un’altra tessera del mosaico EY.
Studio tributario ha sede a Milano, proprio come gli uffici dei pubblici ministeri Paolo Filippini e Giovanni Polizzi che a fine novembre 2017 hanno concluso le indagini relative alla presunta corruzione di Susanna Masi, consigliera del ministero dell’Economia dall’agosto 2013. Secondo i pm, Masi avrebbe venduto informazioni segrete sulle normative fiscali in discussione proprio alla branca tributaria di EY, che durante l’incarico ministeriale le riconosceva uno “stipendio” di 5mila euro al mese. Lo studio è stato perciò accusato di corruzione insieme al consulente Marco Ragusa.
A bolla esplosa, il ministero dell’Economia ha interrotto la collaborazione con Masi, che però risulta ancora oggi (metà marzo 2018) sindaco di Ferrovie dello Stato e presidente del collegio sindacale della Investimenti immobiliari italiani Sgr Spa (Invimit), una società il cui capitale è interamente detenuto dal ministero dell’Economia e che ha l’obiettivo “cogliere le opportunità derivanti dal generale processo di valorizzazione e dismissione del patrimonio immobiliare pubblico”. Inoltre Masi presiede il collegio sindacale della Dea capital real estate facente capo al Gruppo De Agostini. Nonostante l’inchiesta milanese, all’inizio di quest’anno lo studio di consulenza tributaria di EY ha ricevuto un premio (il “Law Firm of the Year in Italy”) da Corporate Intl. Motivo: essersi “distinto per l’eccellenza nelle competenze e nel servizio dimostrato con particolare riguardo all’approccio metodologico ed al supporto operativo per l’adeguamento al nuovo Regolamento europeo in materia di protezione dei dati personali”.
“Se la separazione societaria è stata imposta per evitare che si determinino conflitti di interesse, non ha senso […] un mero maquillage” – Enrico Morando
Il riconoscimento avrà inorgoglito il presidente di EY Spa, Simone Scettri, che oltre ad essere membro del consiglio direttivo di Assirevi -l’Associazione italiana revisori contabili che riunisce 15 società di revisione- insegnante al dipartimento di Impresa e management dell’università LUISS Guido Carli, sarebbe tra i docenti della Scuola di polizia economico-finanziaria (un tempo “tributaria”) della Guardia di Finanza. Lo stesso corpo militare che a metà marzo 2018 ha perquisito la sede barese di Deloitte nell’ambito di un’inchiesta -coordinata dalla Procura di Agrigento- in merito a un presunto giro di false fatturazioni intorno al gestore del servizio idrico ad Agrigento e provincia, Girgenti Acque.
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