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Diritti / Attualità

Lavoro minorile in Uzbekistan. La Banca Mondiale sotto accusa

©Human Rights Watch

Ogni anno nel Paese tre milioni di persone sono obbligate a lasciare il proprio lavoro per dedicarsi alla raccolta del cotone. Un rapporto di Human Rights Watch denuncia lo sfruttamento di lavoratori (anche minorenni) all’interno di progetti di sviluppo agricolo finanziati dall’istituzione finanziaria internazionale

La Banca Mondiale finisce nuovamente sotto accusa. Alcuni progetti agricoli finanziati dall’istituzione finanziaria in Uzbekistan (per un valore complessivo di oltre 500 milioni di dollari) sarebbero legati a casi di sfruttamento lavorativo e lavoro forzato, in alcuni casi anche a danno di bambini. Le accuse sono contenute in un rapporto della Ong internazionale Human Rights Watch, realizzato in collaborazione con la “Uzbek-German Forum”, dal titolo “We can’t refuse to pick cotton” (“Non possiamo rifiutarci di raccogliere il cotone”) in cui si accusa la Banca Mondiale di aver chiuso un occhio su alcune situazioni di sfruttamento. Si tratta di un documento dettagliato, frutto di oltre due anni di lavoro sul campo in cui sono raccolte le testimonianze dirette di un centinaio di lavoratori, oltre ad atti ufficiali del governo e documenti riservati.

Lo sfruttamento forzato della manodopera, anche minorile, è prassi comune in Uzbekistan ed è stata denunciata da diverse associazioni per i diritti umani tra cui la stessa Human Rights Watch e da “Cotton campaign”. Per questo motivo nel corso degli ultimi anni sono state lanciate diverse campagne di boicottaggio del cotone uzbeko, sia da parte di aziende private, sia da parte di organismi internazionali come l’Unione europea. Questo però non ha impedito alla Banca Mondiale di investire centinaia di milioni di dollari, sotto forma di prestiti per sostenere il settore nel 2015 e 2016. Parte di queste risorse (337 milioni di dollari) sono servite per finanziare un progetto di irrigazione nei distretti di Turtkul, Beruni ed Ellikkala.

Ed è proprio in queste aree che il report documenta casi di lavoro forzato (anche minorile) in almeno un’area dove è in corso un programma di finanziamento della Banca mondiale. Inoltre “è altamente probabile” che queste prassi siano diffuse anche in altri progetti finanziati dall’istituzione internazionale con sede a Washington.

A fronte di questi finanziamenti, il governo di Tashkent si era impegnato a non utilizzare più manodopera coatta, pena la cessazione del prestito. Ma così non è stato. “Il Governo ha continuato a forzare gli abitanti delle regioni di Turtkul, Beruni ed Ellikkala a lavorare nei campi di cotone. A volte anche i bambini sono stati costretti a farlo. Anche nelle aree in cui è attivo il progetto della Banca Mondiale”, si legge nel report.

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Progetti agricoli e irrigui finanziati dalla Banca Mondiale e collegati a casi di sfruttamento lavorativo ©Human Rights Watch

Inoltre, tra il 2015 e il 2016 “Uzbek-German Forum”, Human Rights Watch e gli attivisti di Cotton Campaign hanno “ripetutamente portato alla Banca Mondiale prove di sfruttamento dei bambini e lavoro forzato”.  Invece di sospendere il prestito -denunciano Hrw e “Uzbek-German Forum”- la Banca mondiale avrebbe aumentato gli investimenti nel Paese attraverso l’International Finance Corporation (Ifc).

Con un milione di tonnellate di fibre prodotte ogni anno, l’Uzbekistan è il quinto produttore al mondo di cotone che, per il 60 per cento, viene esportato grezzo verso Cina, Bangladesh, Turchia e Iran. Per un fatturato di oltre un milione di dollari, pari a un quarto del prodotto interno lordo del Paese. Quella del cotone è un’industria rigidamente controllata dallo Stato, lungo tutta la filiera. E il ricorso alla manodopera forzata è la regola: sono circa 3 milioni ogni anno i dipendenti pubblici, gli studenti e normali cittadini che devono trascorrere i mesi della semina e del raccolto nei campi. Sotto la minaccia di perdere il lavoro, i sussidi pubblici o la possibilità di frequentare l’università.

Nemmeno i bambini sono esentati da questo impiego. Sebbene dal 2013 il governo di Tashkent abbia ridotto in maniera significativa il numero di bambini reclutati per la raccolta del cotone, la loro presenza nei campi durante la raccolta del 2016 è stata ampiamente documentata da Human Rights Watch e dal “Uzbek-German Forum” in numeri molto maggiori rispetto agli anni precedenti. “Nel 2015 e nel 2016 alcune scuole hanno costretto bambini anche di 10 e 11 anni a lavorare nei campi -si legge nel report -. Sebbene il governo abbia messo in atto provvedimenti che vietano il lavoro dei bambini nei campi la pressione esercitata per raggiungere le quote di produzione (stabilite sempre dal governo, ndr) hanno spinto alcuni ufficiali locali a ricorrere al lavoro minorile”. Inoltre, nel 2015 il governo ha ordinato di mobilitare gli studenti del terzo anno di college (ciclo di studi che va dai 16 ai 18 anni, ndr) e gli studenti universitari per la raccolta del cotone. In alcuni casi, sono stati reclutati anche 17enni.

 Una situazione di sfruttamento che penalizza fortemente i bambini e ragazzi uzbeki. Non solo per le conseguenze sulla loro salute (il lavoro nei campi è faticoso) ma anche per quelle sul loro percorso scolastico: “La qualità dell’istruzione a tutti i livelli è seriamente minacciata anche quando i bambini non vengono mandati nei campi, perché i loro insegnanti vengono allontanati dalle classi per lavorare altrove”, ha spiegato Jessica Evans, ricercatrice di HRW.

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