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Cattive notizie: l’ultimo dispaccio di “Redattore sociale”
A inizio gennaio ha chiuso l’agenzia di stampa quotidiana dell’impegno sociale e del Terzo settore. Ha rappresentato per molti versi un unicum nell’ambito del giornalismo italiano. La fine di questa esperienza nata nel 2001 è un paradosso: avviene infatti nell’epoca in cui è più nitido il riconoscimento del Terzo settore come fulcro della società. Il commento e il ricordo di Massimo Acanfora
Una cattiva notizia. Il 10 gennaio 2025 l’agenzia Redattore sociale ha pubblicato in rete il suo ultimo “take”.
Redattore sociale (Rs) è stata l’agenzia di stampa quotidiana dell’impegno sociale e del Terzo settore in Italia e nel mondo e ha rappresentato per molti versi un unicum nell’ambito del giornalismo italiano.
Era nata nel 2001, all’alba del nuovo millennio, l’anno del G8 di Genova, fondata tra gli altri da un sacerdote atipico, Don Vinicio Albanesi, con la sede “centrale” incardinata in una minuscola contrada marchigiana, Capodarco di Fermo, in coabitazione con una storica comunità di persone del Cnca -oggi Coordinamento nazionale comunità accoglienti-.
La sede centrale, in sintesi, stava su un ermo colle e gli “inviati sociali” nelle grandi città italiane. A Milano era incardinata nella redazione di Terre di mezzo, dove lavoravo. Alla conferenza stampa di presentazione, alle Acli di via della Signora, insieme a un buon numero di giornalisti, al desk si presentarono dei tipi con un borsello e un abbigliamento discutibile e invece del biglietto da visita mi mostrarono il tesserino della Digos.
Quanto eversiva poteva essere un’agenzia di stampa con un’anima cattolica che metteva al centro la diversità sociale, la pace, la cooperazione? Forse più di quello che pensavano i suoi stessi giornalisti, in testa il direttore Stefano Trasatti. E forse era rivoluzionario il pensiero stesso di un’informazione indipendente, lontana dal pietismo e da ogni cliché.
I primi anni di Redattore sociale Umberto, Carlo, Matteo, Pietro, Andrea, Ilaria, Elena, Dario e altri che dimentico -me compreso- hanno sempre ritenuto un onore scrivere ogni giorno quelle 24 righe di lancio o giù di lì. Spesso eravamo gli unici a raccontare quella storia.
Redattore sociale ha pagato però una struttura per certi versi fragile, proprio come le persone e i contesti di cui dava notizia. Con la chiusura, il 10 gennaio, saranno licenziati i dipendenti e gli ultimi cinque giornalisti, che hanno già scontato la crisi con due anni di cassa integrazione e rischiano di non ricevere neppure la buonuscita, legata alla riscossione dei crediti maturati.
Un finale amaro su cui il Comitato di Redazione si è espresso con nettezza. Ma come si è arrivati a questa situazione? Redattore sociale, al netto della difficoltà strutturali per stare su un mercato in larga parte alieno rispetto alle tematiche trattate e deformato dalla tecnologia, ha subìto il colpo di grazia dalla perdita, nel 2022, del maggiore cliente, un ente previdenziale.
La chiusura di Rs è una pessima notizia. Smette di esistere una palestra di giornalisti sociali e artigiani, che hanno seminato buon giornalismo. Non ho mai provato a interpretare il senso del logo di Rs, ma forse oggi si può leggere come “giornalista crocefisso”, mandato a morte dal sinedrio del mercato dell’informazione, oggi tanto ipertrofico nella quantità quanto svilito nella qualità e nel livello dei suoi attori.
Ed è -rileva qualcuno- un paradosso che questo accada nell’epoca in cui è più nitido il riconoscimento del Terzo settore come protagonista sociale ed economico.
A ottobre 2024, l’Istat ha aggiornato il censimento degli enti non profit in Italia: sono 360mila unità, con quasi un milione di dipendenti. Ma la comunicazione nel (e del) Terzo settore non cresce allo stesso ritmo, non ha un’audience proporzionata, anzi stenta e tende a rifugiarsi sul web dove, salvo eccezioni, rischia di rimanere indistinta e talvolta autoreferenziale.
“Ogni giornalista, in particolare chi si pone all’interno del percorso dell’informazione sociale, è debitore di qualcosa nei confronti di Redattore sociale”, ha ben detto Ivano Maiorella nel suo pezzo su articolo21.org.
Redattore sociale ha insegnato, a chi le prestava orecchio, a emanciparsi dal conformismo comunicativo, è stata l’avanguardia di una forte attenzione non solo ai contenuti ma anche al linguaggio, soprattutto nell’accostarsi ai temi di diversità e genere.
Una deontologia, connaturata all’agenzia di Capodarco, che oggi fa parte dell’obbligo formativo. Redattore sociale ha elevato il “giornalismo di strada” a giornalismo tout court, in un’epoca in cui più che tenere la schiena dritta si va verso la scoliosi da scrivania. Ha dimostrato che l’informazione di qualità si può fare dal basso, dalla periferia, con mezzi minimi. Un altro lascito.
Dal 1994 al 2019 si è tenuto, nella Comunità di Capodarco di Fermo, il seminario di formazione “Redattore Sociale”. Un momento che non si può derubricare a semplice convegno. Era un’esperienza comunitaria immersiva in cui -a microfoni spenti- si mangiava e si chiacchierava con le persone con disabilità e con altri giornalisti, attivisti e ricercatori universitari. Si respirava un’atmosfera di epifania e di novità, di anticipazione e di frontiera. Si accendeva un riflettore su mondi invisibili, ignorati o raccontati in modo distorto dai media convenzionali. Si creavano le premesse per un giornalismo “umano”.
Redattore sociale -che dal 1999 era organizzato anche a Trento, Vicenza, Milano, Roma, Napoli, Palermo- resta forse l’unica esperienza di formazione per giornalisti a livello nazionale che abbia messo al centro i temi del disagio e delle marginalità. Ha lasciato anche un patrimonio straordinario di documentazione: ogni anno si attendeva con trepidazione la pubblicazione della storica “Guida per l’informazione sociale” e degli atti del seminario.
Il mio ricordo più vivido di questa esperienza risale al 27 novembre 1999 quando, a Capodarco, Ryszard Kapuściński dialogò sull’essenza del lavoro giornalistico con Maria Nadotti. Da questo incontro nasce il libro, poi ripubblicato e integrato da e/o, “Il cinico non è adatto a questo mestiere. Conversazioni sul buon giornalismo”.
Vi ho sottolineato a matita una delle frasi che meglio esprime l’impegno e la responsabilità di chi fa informazione: “È sbagliato scrivere di qualcuno senza averne condiviso almeno un po’ la vita”. Redattore sociale è stato anche questo.
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