Diritti / Opinioni
L’uso di manganelli elettrici denunciati da Amnesty? C’erano già al G8 del 2001
Le reazioni indignate che hanno fatto seguito al rapporto di Amnesty sul trattamento dei migranti negli hotspot dovrebbe colpire le forze di polizia. Sappiamo -dopo il G8 del 2001- che le pratiche di tortura sono “normali”, ma lo Stato non ha saputo intervenire per limitarle o punirle. Il commento di Lorenzo Guadagnucci
Ieri Amnesty International ha diffuso il rapporto “Sistema Hotspot”, i cui contenuti abbiamo descritto qui. È stato definito da alcuni “un insieme di cretinaggini e di falsità“, l’organizzazione ha diffuso un comunicato stampa, spiegando di aver scritto da mesi “al ministro Alfano e ad alti funzionari del ministero dell’Interno chiedendo informazioni e sollecitando un confronto sulla materia ma ad oggi il ministero dell’Interno non ha risposto alle nostre sollecitazioni”. Pubblichiamo, in seguito, un commento di Lorenzo Guadagnucci, editorialista di Altreconomia, vittima di violenza all’interno della scuola Diaz durante il G8 di Genova 2001, quando venne colpito anche con un manganello elettrico, arma che -almeno formalmente- non risultava in dotazione alle forze di polizia italiane. (lm)
Amnesty International in un specifico rapporto diffuso ieri ha denunciato abusi, violenze, umiliazioni inflitti da esponenti delle nostre forze dell’ordine ad alcuni migranti e richiedenti asilo nel cosiddetto “Sistema Hotspot”. I media hanno riportato la notizia, visto il credito di cui gode l’organizzazione, ma la reazione è stata a senso unico, con un deciso rifiuto delle denunce: “Siamo un Paese democratico”, “i nostri agenti non fanno certe cose”, “non siamo il Paese della tortura” e così via: le frasi e l’indignazione di facciata sono le stesse ascoltate tante volte, dal G8 di Genova del 2001 in poi.
Si accusa magari Amnesty di esagerare, si mette in dubbio la veridicità delle denunce e il caso è chiuso, senza scendere nello specifico, senza dubitare di nulla.
Quest’attitudine a minimizzare, se non a negare, abusi, falsi e vessazioni, in qualche caso anche di fronte all’evidenza (vedi i casi Diaz e Bolzaneto a Genova) ha avuto esiti catastrofici per la credibilità delle nostre forze dell’ordine.
Sugli abusi commessi durante il G8 genovese si è cercato di soffocare le inchieste e far dimenticare tutto, garantendo una granitica copertura politica ai vertici delle forze di polizia (e in qualche caso agli stessi imputati), ottenendo risultati disastrosi: la magistratura è riuscita a concludere le sue inchieste e i tribunali hanno scritto parole pesantissime sulle torture inflitte a cittadini inermi e sulle falsificazioni compiute per arrestare senza motivo decine di persone. Funzionari di altissimo livello sono stati condannati e sospesi dai pubblici uffici e i giudici hanno scritto chiaramente di dover infliggere pene lievi a causa dell’assenza nell’ordinamento di una specifica legge sulla tortura (legge peraltro avversata dalla forze dell’ordine e tuttora assente nel nostro ordinamento).
La già bassa credibilità del nostro sistema di sicurezza è stata ulteriormente minata dalla condanna inflitta nell’aprile 2015 all’Italia dalla Corte europea per i diritti umani, nel caso Cestaro, relativo alla vicenda Diaz, esplicitamente definito dalla Corte “caso di tortura”. L’Italia è stata giudicata “strutturalmente incapace” di tutelare i diritti fondamentali e tuttavia, passato un anno e mezzo, nessuna delle misure consigliate dalla Corte a fini preventivi è stata presa: né l’allontanamento degli agenti condannati; né l’introduzione di una legge sulla tortura; né l’obbligo per gli agenti di avere sulle divise codici di riconoscimento personale.
Di fronte al “caso hotspot”, visti questi desolanti precedenti, sarebbe più saggio -e più utile alla credibilità delle nostre istituzioni- prendere sul serio le denunce e compiere le opportune verifiche in vista di eventuali provvedimenti, invece di respingere sdegnosamente il rapporto di Amnesty International.
E a chi indica indignato quanto sia poco credibile un dettaglio contenuto nel rapporto -l’uso di manganelli elettrici- consiglio di guardare nuovamente la foto che accompagna questo articolo: raffigura la mia schiena, in uno scatto di fine luglio 2001, dieci giorni dopo il pestaggio che mi capitò di subire alla scuola Diaz: oltre agli ematomi, sulla spalla sinistra si nota una crosticina perfettamente circolare, frutto, come certificato da un dermatologo, di una scossa elettrica, inflitta durante il pestaggio da uno degli agenti, munito, evidentemente, di un manganello elettrico, che non era nella dotazione ufficiale della polizia italiana, ma che, altrettanto evidentemente, veniva tollerato.
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