Finanza / Opinioni
Trump è l’occasione per un’Europa ancor più dominata dalla finanza e ancor meno sociale
Alla destra statunitense l’Ue di Lagarde, Draghi e von der Leyen, dopo anni di disastrose politiche monetarie, risponde con una destra che vuole vincere la guerra finanziaria. Con la presidente della Banca centrale europea che vuole apparire meno “dura” nei confronti della potenza d’Oltreoceano, arrivando a esprimere dichiarazioni commerciali che ormai superano ogni immaginazione. L’analisi di Alessandro Volpi
Il successo elettorale di Donald Trump e la composizione della sua squadra sembrano aprire un varco nello strapotere dei fondi Big Three -BlackRock, Vanguard e State Street- e rendono molto più critica l’idea di un’Europa delle esportazioni verso gli Stati Uniti.
In questa prospettiva, i vertici della finanza europea paiono intenzionati a reagire e dare corpo a un pezzo del “Piano Draghi”, non a caso immaginato come possibile presidente della Commissione europea in caso di eccessiva debolezza di Ursula von der Leyen. Prima l’allarme lanciato dalla Banca centrale europea (Bce) sulla possibile bolla, sul punto di esplodere, generata dall’eccessiva concentrazione del valore azionario delle Borse americane, poi l’insistenza, sempre a opera di Christine Lagarde, sull’urgenza di creare un mercato unico dei capitali europei, superando l’attuale frammentazione.
L’obiettivo di queste mosse è possibile che sia quello di evitare la costante trasmigrazione dei 33mila miliardi di euro di risparmio europeo verso i titoli degli Stati Uniti. Il messaggio di Lagarde è chiaro: i colossi del risparmio gestito Usa dovranno fare i conti, dopo anni, con un governo non troppo amico, e quindi saranno più deboli, meno in grado di garantire super dividendi, come del resto sta dimostrando il caso Nvidia, a cui sembra svanita la patina di imbattibilità.
Dunque, i risparmiatori europei dovrebbero affidare le loro risorse a “campioni” del Vecchio continente, magari rafforzando i monopoli già esistenti, a partire dalla Francia, ai quali dovrebbe essere messo a disposizione un mercato unico e senza troppi vincoli così da costruire una vera e propria “industria” della finanza europea.
A ciò dovrebbe contribuire la difficoltà in cui potrebbe incorrere la già ricordata vocazione all’esportazione verso gli Stati Uniti che potrebbe essere “sostituita” nella logica Lagarde-Draghi-von der Leyen da una finanziarizzazione dell’economia europea -più risorse gestite in termini finanziari- e dalla “rinascita” di una manifattura bellica e dell’innovazione tecnologica, finanziata proprio dalla mobilitazione del risparmio europeo.
L’impressione è che la “nuova” maggioranza che sostiene la Commissione von der Leyen si muova in tale direzione: smontare la spesa sociale degli Stati, trasformare il maggior numero di cittadini e cittadine in “clienti”, “pressoché obbligati” dei grandi fondi e procedere all'”europeizzazione” di tale risparmio, sfruttando possibili debolezze americane e anticipando gli effetti dei dazi di Trump. Naturalmente allo stesso scopo sono orientate le regole di bilancio dell’austerità e il rifiuto di un debito comune finanziato dalla Bce.
La vittoria di Trump diventa così l’occasione per un’Europa ancora più dominata dalla finanza e ancora meno sociale. Alla destra statunitense l’Europa di Lagarde, Draghi e von der Leyen risponde con una destra che vuole vincere la guerra finanziaria. Peraltro Lagarde, in termini commerciali, sembra meno “dura” nei confronti della potenza d’Oltreoceano, arrivando a esprimere dichiarazioni che ormai superano ogni immaginazione.
La presidente della Bce, infatti, per scongiurare i dazi di Trump, ha invitato gli europei a “comprare americano”, in maniera da riequilibrare la bilancia commerciale con gli Stati Uniti. Ha affermato, con perentoria convinzione, che la strada da seguire è questa perché le “guerre commerciali” sono sbagliate. Lagarde non ha specificato che cosa comprare, quanto ciò possa incidere sull’inflazione e quanto pesi sulle filiere produttive europee; si è limitata allo slogan “buy american”.
Del resto queste estemporaneità sono lo specchio di un’Europa dove le politiche monetarie stanno facendo solo danni e ora, in maniera incredibile, rischiano persino di indebolire troppo l’euro senza toccare i tassi d’interesse al ribasso, minacciando una guerra finanziaria e, al contempo, auspicando una sottomissione commerciale.
Alessandro Volpi è docente di Storia contemporanea presso il dipartimento di Scienze politiche dell’Università di Pisa. Si occupa di temi relativi ai processi di trasformazione culturale ed economica nell’Ottocento e nel Novecento. Il suo ultimo libro è “Nelle mani dei fondi” (Altreconomia, 2024)
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