Ambiente / Opinioni
La distruzione del suolo e del futuro della Palestina
L’invasione israeliana ha reso impossibile l’agricoltura e l’allevamento nella Striscia di Gaza. L’ecocidio si somma all’eccidio. La rubrica di Paolo Pileri
Ripeterlo è un giusto dovere: la guerra fa schifo. Ma c’è chi questo schifo lo peggiora: uccidendo persone e natura. Accade certamente a Gaza, ma non solo là. Agli occhi di alcuni può sembrare poco importante l’ecocidio rispetto all’eccidio di bambini e donne palestinesi. Eppure la cosa non va trascurata perché distruggere colture, boschi e soprattutto il suolo significa amputare il diritto alla rinascita dei sopravvissuti. Significa prolungare la sofferenza oltre ogni soglia già intollerabile e scatenare altre emigrazioni di massa. Significa affamare preventivamente un popolo.
L’esercito israeliano è responsabile non solo della morte di quasi 50mila persone per inseguire la sua idea di guerra giusta, ma anche della devastazione dell’ambiente già fragile di quella povera Striscia. Le oltre 25mila tonnellate di bombe (un potenziale di energia più o meno rilasciabile da un paio di bombe atomiche tipo Hiroshima) hanno compromesso decine di migliaia di ettari agricoli.
L’ufficio stampa della Fao ha fatto una stima delle coltivazioni e delle infrastrutture agricole cancellate. A febbraio 2024 gli ettari distrutti erano già 6.694, ma al primo settembre sono saliti a 10.183 (il 67,6% del totale coltivato). Più in dettaglio, sono stati rasi al suolo il 71,2% dei frutteti (compreso ciò che è stato nel frattempo ripiantato), il 67,1% dei seminativi e il 58,5% delle orticole. Anche gli allevamenti sono stati decimati. È rimasto vivo solo il 43% circa delle pecore (meno di 25mila unità), il 37% di capre (circa 3mila unità) e addirittura solo l’1% del pollame.
Per non crepare a causa della mancanza di cibo, la popolazione superstite si è nutrita di foglie. Come se non bastasse, i satelliti hanno documentato la distruzione del 44,3% di serre e tunnel per la produzione di cibo. Una devastazione che non ha precedenti nella storia recente, come ha commentato la direttrice generale della Fao, Beth Bechdol. Ed è questa stessa agenzia che sta cercando di tamponare alla meglio, ma è molto difficile e gli aiuti agli agricoltori rimasti sono ancora troppo scarsi. A settembre 2024 aveva distribuito mangime a circa 4.400 allevatori a Rafah, Khan Younis e Deir al-Balah e kit veterinari a circa 2.400 allevatori.
Sono state 25.000 le tonnellate di bombe lanciate su Gaza. Non solo un crimine contro l’umanità, ma anche contro suoli e natura che aggrava la responsabilità di Israele e affama il futuro dei palestinesi
Una goccia nell’oceano, ma pur sempre fondamentale per tenere accesa un minimo di speranza. La distruzione delle terre e delle colture risponde a un piano ben preciso messo a punto da Israele fin dall’ottobre scorso, secondo l’agenzia Euro-Med human rights monitor, la quale sostiene che Israele vuole annettere a se stesso una “buffer zone” profonda due chilometri per un totale di 96 chilometri quadrati, pari a circa il 27,5% della striscia palestinese, una delle zone più fertili e con un elevato numero di aziende agricole. Ma le distruzioni dei suoli agricoli si sono spinte anche ben oltre questa zona, radendo al suolo altri 34 chilometri quadrati.
Sempre secondo EuroMed con la distruzione dei terreni e delle aziende sono stati uccisi intenzionalmente anche centinaia di agricoltori: braccia tolte alla futura ripresa. L’impatto di tutto questo ha tolto suolo e cibo a oltre due milioni di palestinesi e coloro che sopravviveranno a questa pulizia etnica, perché di questo si tratta, saranno costretti a chiedere la carità a Israele per mangiare, visto che controlla tutti i varchi. Tutto questo è aberrante e aggiunge al crimine contro l’umanità quello contro natura e suoli. La lista si allunga e si appesantisce.
Paolo Pileri è ordinario di Pianificazione territoriale e ambientale al Politecnico di Milano. Il suo ultimo libro è “Dalla parte del suolo” (Laterza, 2024)
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