La vacuità del male. La vediamo traboccare in ogni tipo di relazione: da quelle familiari a quelle internazionali, sino al rapporto con la natura. Hannah Arendt aveva individuato la banalità del male. Per lei “banale” (cioè piatto e acritico) non è il male come tale, ma la coscienza umana che si spegne di fronte alla pressione del male organizzato e normalizzato in una certa epoca, come accadeva ad Adolf Eichmann nella Germania nazista.
Ancor più grave è la vacuità del male: è il vuoto di senso, di relazioni d’amore, di intelligenza e di futuro in cui rischia di precipitare chi vive nella violenta “normalità” del XXI secolo. Qui non è solo la coscienza a spegnersi, è tutta la persona che sperimenta un vuoto che la travolge: molti soffrono in silenzio, qualcuno invece reagisce sprigionando una violenza omicida che può colpire sia gli sconosciuti sia i propri congiunti. Consumato il crimine, l’assassino dichiara di non sapere perché l’ha fatto. È vero: il vuoto spinge ad agire ma è in
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