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Trieste, è ancora emergenza umanitaria. Senza il silos le persone dormono in strada

Alcune persone in difficoltà, abbandonate dalle istituzioni, trovano riparo nel varco monumentale del Porto Vecchio © Lorena Fornasir

Nei tre mesi successivi alla chiusura della struttura, cioè dal 21 giugno al 20 settembre2024, le organizzazioni sul campo hanno incontrato nella zona della stazione centrale 5.054 persone, il 43% delle quali sono vulnerabili. Dallo sgombero dell’edificio in rovina chi è in transito si vede costretto a passare la notte all’aperto, mentre ricominciano ad allungarsi i tempi di attesa anche per chi ha già chiesto asilo

Le notti d’autunno sono fredde a Trieste, spazzate dalla bora. Eppure, moltissime persone sono costrette a dormire per strada: non c’è più un riparo, nemmeno fatiscente, da quando il 21 giugno è stato sgomberato il Silos, l’edificio in rovina dove si accampavano i migranti in transito o in attesa di entrare nel sistema di accoglienza.

Da quel momento a oggi il monitoraggio di Diaconia Valdese e International rescue comittee Italia ha contato 5.054 nuove presenze, una media di 55 al giorno. Che ne è di queste persone?

Il rapporto “Silos vuoto, strade piene” risponde a questa domanda, attraverso i dati raccolti dalle associazioni della rete solidale di Trieste (Comunità di San Martino al Campo, Diaconia Valdese, Donk humanitarian medicine, International rescue comittee, Linea d’ombra, No name kitchen e Consorzio italiano di solidarietà, Ics).

In un incontro precedente allo sgombero, la prefettura aveva dichiarato che ci sarebbe stato un ampliamento della capacità di accoglienza per richiedenti asilo dell’Ostello di Campo Sacro -una struttura nei dintorni della città- in modo da portare la capienza complessiva a circa 150 posti, che sarebbero stati gestiti secondo un sistema ad alta rotazione, per garantire un costante trasferimento degli ospiti a circa 150 posti. Niente, invece, è stato detto -e fatto- per le persone in transito, la maggior parte delle presenze. 

Di tutti coloro che sono stati incontrati dalle associazioni, infatti, solo il 18% (885) ha dichiarato di voler chiedere protezione internazionale a Trieste. Da sottolineare il fatto che sono in aumento i profili vulnerabili: se il 57% delle persone in arrivo è rappresentato da uomini adulti singoli (2.847), il 21% sono famiglie (189 nuclei), il 19% minori stranieri non accompagnati e il 3% donne singole. Molti dei migranti presenti a Trieste -provenienti soprattutto da Afghanistan, Siria e Kurdistan turco, con profili estremamente diversi tra loro- si trovano a doversi accampare nei pressi di piazza Libertà, davanti alla stazione dei treni, dalle 19 alle otto e mezzo del mattino, quando chiude e riapre il Centro diurno gestito dalla Comunità di San Martino al Campo; da giugno a settembre a dormire all’aperto erano circa 100-120 persone al giorno in media.

Tra questi, anche alcuni che avevano fatto domanda d’asilo a Trieste. Se nelle prime settimane dopo lo sgombero del Silos i trasferimenti e la rotazione hanno funzionato a dovere, tenendo bassi i tempi per entrare nel sistema d’accoglienza, ultimamente l’attesa si è allungata, arrivando a picchi di 20 giorni.

Anche per le famiglie la situazione è drammatica: alcuni dei 32 nuclei richiedenti asilo hanno dovuto attendere più di un mese. Sono 100 al giorno in media coloro che si trovano ad aspettare di entrare in accoglienza. Questo nonostante i trasferimenti (uno a settimana circa) che hanno interessato circa 450 persone.

I dormitori cittadini di bassa soglia, pur svolgendo un servizio prezioso, hanno una capienza estremamente ridotta rispetto all’effettivo bisogno; a parte i pochi posti ricavati nelle strutture per senza fissa dimora, l’unico dormitorio rimasto attivo è quello gestito dalla Fondazione Caritas Diocesana in via Sant’Anastasio, utilizzato solamente per nuclei familiari con bambini e soggetti vulnerabili.

Tutti coloro che sono rimasti fuori dalla bassa soglia, siano essi transitanti o persone in attesa di entrare in accoglienza, si sono ritrovati a dormire in strada. La maggior parte di loro si trova in piazza Libertà a ora di cena, dove gli attivisti dell’associazione Linea d’ombra provvedono ai loro bisogni essenziali (cibo, cure, vestiti, scarpe, socializzazione) fino a mezzanotte circa, anche grazie alla rete dei “Fornelli resistenti”, che portano pasti caldi sulla base di un calendario gestito da Mediterranea Venezia.

Dalle 23 alle cinque del mattino in piazza e nei dintorni sono presenti le volontarie di No name kitchen, che hanno osservato molte famiglie in transito rapido, anche con neonati e bambini molto piccoli. Chi dorme all’addiaccio ha come riparo solo la piazza o il porticato della stazione, ma da questi luoghi viene scacciato verso le quattro o le cinque del mattino dalle forze dell’ordine, dagli steward e dagli addetti alle pulizie.

Per fornire una risposta ai bisogni sanitari delle persone in strada, rimane l’ambulatorio di Donk al Centro diurno di San Martino al Campo, a cui, da metà agosto, si è aggiunto uno sportello di Emergency per l’orientamento socio-sanitario, che ha affrontato i problemi relativi all’accesso ai servizi sanitari, indicato i passi per l’ottenimento dei documenti necessari e a volte ne ha direttamente assicurato l’ottenimento. In totale, all’ambulatorio, ci sono state 424 visite (in leggero calo rispetto al 2023).

Le patologie, in parte, sono variate rispetto allo scorso anno: se prevalgono ancora le malattie dermatologiche, sono lievemente calate quelle da sfregamento da scarpa o da traumi ambientali, anche se persistono i problemi muscoloscheletrici, gastroenterici e dentali. La preoccupazione maggiore dei medici dell’associazione è legata all’aumento dei casi di disagio psichico. Alcuni di questi sono comparsi -e trattati pesantemente- già lungo la rotta, mentre altri insorgono proprio a causa della mancanza di un ricovero e di servizi igienici adeguati. I farmaci, fortunatamente, non sono mancati in ambulatorio, grazie alla fornitura costante da parte dell’Azienda sanitaria giuliana isontina (Asugi) e le pratiche per Stranieri temporaneamente presenti (Stp) sono state più veloci e lineari rispetto al 2023, garantendo a più persone l’accesso agli accertamenti medici necessari. 

Le associazioni chiudono il rapporto con delle raccomandazioni alle autorità, che rimangono sostanzialmente immutate rispetto ai documenti stilati in precedenza; chiedono di potenziare il sistema di dormitori di bassa soglia, garantendo posti separati per i minori, mensa e servizi igienici.

La prefettura, inoltre, viene invitata a terminare nel più breve tempo possibile i lavori all’Ostello di Campo Sacro e a migliorare le condizioni della struttura di prima accoglienza “Casa Malala”, assicurando un posto per i richiedenti asilo e soprattutto per i nuclei familiari. In più, le realtà della rete sollecitano trasferimenti regolari e costanti da Trieste verso altri centri idonei su tutto il territorio nazionale.

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