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Ambiente / Reportage

La comunità complessa che si mobilita per la salute, i boschi e le acque di Vicenza

L'abbattimento di una casa abbandonata in via Ferreto de Ferreti a Vicenza per i cantieri dell'Alta velocità - Alta capacità © Andrea Rosset - Ubif

Singoli, associazioni e comitati -in altre occasioni divisi sulle vicende politiche locali- si sono riavvicinati da alcuni mesi di fronte al pericolo che delle aree boschive fondamentali per la vita stessa della città siano cancellate a favore della costosissima linea Alta velocità – Alta capacità Verona-Padova. Dal bosco dell’ex Lanerossi a quello di Ca’ Alte. Con la minaccia dell’inquinamento da Pfas

“Potremmo chiamarla ‘comunità complessa’: a tenerla insieme sono le relazioni che le piante instaurano tra loro”. Quando il forestale e scrittore Daniele Zovi parla del bosco dell’ex Lanerossi, a Ovest di Vicenza -che rischia l’abbattimento per fare spazio al cantiere Tav-, nasce spontaneo un paragone con quello che sta succedendo in città anche tra gli esseri umani.

Un’altra “comunità complessa”, in altre occasioni divisa sulle vicende politiche locali, si è riavvicinata da alcuni mesi di fronte al pericolo che delle aree boschive fondamentali per la vita stessa della città siano eliminate a favore della linea Alta velocità – Alta capacità Verona-Padova.

La “grande opera”, commissionata da Rete ferroviaria italiana al consorzio Iricav Due, nel tratto vicentino -tecnicamente il secondo lotto funzionale “Attraversamento di Vicenza”- dovrebbe correre per 6,2 chilometri da Ovest a Est della città, e costare 2,2 miliardi di euro. Il progetto definitivo sarebbe già stato approvato nel 2023, ma grazie alla mobilitazione di cittadini, associazioni e comitati, alcuni cambiamenti sono ancora in corso. 

Lo scorso 24 luglio, ad esempio, il Tribunale amministrativo regionale (Tar) del Lazio ha accolto parzialmente il ricorso presentato da Italia Nostra contro il progetto, fermandone una parte che prevede la realizzazione di un bacino di laminazione sul torrente Onte, a Sovizzo (VI).

Pochi giorni dopo, il 31 luglio, a Vicenza è stata comunque abbattuta una prima casa (abbandonata), nel quartiere dei Ferrovieri, come previsto dai lavori propedeutici alla costruzione dell’alta velocità. In quegli stessi giorni, in due grandi boschi urbani a poche decine di metri dalla casa abbattuta, si sono trapiantati girasoli e raccolte zucchine, scambiati libri e vestiti, organizzati corsi di arrampicata sugli alberi e mangiate di angurie all’ombra delle fronde. 

Dall’inizio di maggio di quest’anno singoli cittadini e associazioni vicentine sono in mobilitazione permanente per proteggere dal cantiere Tav queste due importanti aree naturali: il bosco dell’ex Lanerossi (dal nome della pettinatura Lanerossi, la fabbrica chiusa nel 1994 che qui aveva sede) e il bosco di Ca’ Alte. Nel tempo, la mobilitazione in difesa dei boschi è diventata sempre più strutturata e partecipata, anche da fuori città, riuscendo fino a ora a impedirne l’abbattimento, in nome dello slogan: “Noi abbiamo bisogno di queste piante e ora queste piante hanno bisogno di noi”. 

Per la costruzione del “lotto 2” del progetto Tav a Vicenza sono previsti nove anni di cantieri: “Oltre a essere uno dei progetti Tav più costosi d’Italia, il problema ambientale è ben più grave di quello economico”, sottolinea Elena Guerra, attivista dell’Assemblea del bosco e del Comitato di quartiere dei Ferrovieri. Tra le altre cose, si prevede l’abbattimento di 50mila metri quadrati di verde urbano, per far spazio a 16 aree di cantiere, e il consumo di 360mila litri di acqua al giorno. Per questo l’Assemblea del bosco -di cui fanno parte diverse associazioni cittadine- resta unita nel chiedere una moratoria e una seria revisione del progetto Tav a Vicenza, affinché sia meno impattante e meno costoso. 

Il bosco Lanerossi -che si estende su 11mila metri quadrati-, ad esempio, sarebbe disboscato per fare spazio a un cantiere funzionale alla costruzione dell’attraversamento vicentino. L’area è recintata ed era chiusa da molto tempo; fino allo scorso maggio questo bosco era praticamente sconosciuto agli abitanti. A una prima impressione, Daniele Zovi lo descrive come un intricato paesaggio di “alberi, arbusti e cespugli, quasi invalicabile, spinoso”. Quando è entrato per la prima volta, gli era stato detto che c’era un albero monumentale del quale ancora non si conosceva la specie.

È un Liquidambar styraciflua, una specie esotica usata nei giardini, che in una prima fase è diventato il simbolo della mobilitazione. L’albero ha una struttura vegetale imponente e una chioma di 30 metri di diametro. “Alcuni suoi rami, inclinandosi, hanno radicato a terra, esprimendo altri fusti e radici, un fenomeno raro negli esemplari italiani”, spiega Zovi. Grazie alla mobilitazione cittadina, il Comune si è attivato per la sua iscrizione nell’elenco -regionale e poi anche nazionale- degli alberi monumentali, che ne impedirebbe l’abbattimento.

Ma oltre a questo albero maestoso è tutto il bosco ad avere un grande valore ecosistemico, con un effetto positivo sulla salute dei cittadini -in una delle città più inquinate d’Italia-, anche per la sua collocazione a ridosso della città e per la presenza di alberi maturi e sani, di pregio ornamentale, oltre che di grande rilevanza paesaggistica e di conservazione della biodiversità. “L’ambiente intorno sostiene l’albero stesso -sottolinea Romana Caoduro dell’associazione Civiltà del Verde ricordando l’articolo 9 della Costituzione-. Va salvaguardata la pianta monumentale insieme a tutto il contesto che la fa vivere”.

Qui molte specie diverse si sono cercate e consociate, osserva lei: piante ricche di bacche, come il biancospino o la sanguinella, fuori e dentro la vecchia fabbrica, come la paulonia o la buddleia, cresciute sopra all’asfalto. “La natura mette in atto meccanismi che l’uomo non ha e non conosce -sottolinea ancora Zovi-. Noi come specie non saremmo in grado, partendo da una superficie in parte asfaltata e fatta di terra battuta e ghiaia, di costruire una foresta con 78 specie diverse”.

Per tranquillizzare gli abitanti, l’amministrazione comunale ricorda che, al termine dei lavori per il Tav, è prevista la restituzione alla città dell’area adibita a cantiere (e nel frattempo disboscata), “in forma di parco pubblico, una volta terminata la ripiantumazione”. Ma è ormai risaputo che, per come funzionano le comunità vegetali, “rimboschire non è la stessa cosa”, come dice Zovi: “Gli effetti benefici pari a quelli di un bosco come questo si ritroverebbero forse tra 150 anni, a essere ottimisti, una prospettiva troppo lontana”.

Secondo l’agronomo Daniele Zanzi, che nel giugno 2024 ha firmato una relazione sul valore ambientale dell’area ex Lanerossi, per ridare ai cittadini di Vicenza gli stessi benefici degli alberi abbattuti per il cantiere “si dovrebbero mettere a dimora 3.115 alberi di dimensioni notevoli (irreperibili sul mercato) oppure 274.654 giovani alberi”, per i quali servirebbe una superficie difficilmente reperibile. Per questo è importante salvare il bosco che esiste. 

Un’altra area verde, ancora più estesa (14mila metri quadrati), si trova a 500 metri di distanza, sempre nel quartiere dei Ferrovieri: è il bosco di Ca’ Alte, che si estende lungo la sponda Ovest del fiume Retrone e che dovrebbe essere abbattuto per costruire, tra le altre cose, una sopraelevata, impermealizzando il terreno. Anche per la sua collocazione più centrale rispetto al collegamento con il resto della città, il terreno di Ca’ Alte è diventato in breve tempo un luogo di aggregazione, dove -in collaborazione con la Comunità vicentina per l’agroecologia– sono stati messi a dimora degli orti collettivi con delle cisterne per la raccolta dell’acqua piovana, costruiti rifugi di legno sugli alberi (come nel bosco Lanerossi), altalene e altre piattaforme di diverse dimensioni e altezze sulle quali periodicamente si svolgono dei laboratori per imparare ad arrampicare in sicurezza. Su un albero è anche stata collocata un’arnia, all’interno della quale le api hanno costruito sette favi naturali, e altre colonie sono in arrivo.

Il fiume Retrone e il bosco di Ca’ Alte © Lara Vedovato – Ubif

Siamo lungo un’ansa del Retrone, un fiume fortemente antropizzato che con le abbondanti piogge della primavera è parzialmente esondato, e gravemente inquinato. Secondo l’ultima “Operazione fiumi” svolta da Legambiente, l’inquinamento più grave è quello da batteri fecali: l’escherichia coli è particolarmente alto nel fiume Retrone, superiore di 115 volte al limite consentito per la balneazione. Un inquinamento causato dall’area urbana e dalle attività agricole, come spiega Andrea Bertazzo di Legambiente Vicenza.

Ma a preoccupare da alcuni anni e ancor più in vista dell’avvio del cantiere Tav è soprattutto il grave inquinamento da Pfas, sostanze perfluoroalchiliche che in alcune zone del vicentino sono arrivate a contaminare la falda. Durante i lavori questo inquinamento potrebbe peggiorare, con pesanti conseguenze sulla salute dei cittadini: il cantiere richiede infatti grandi quantitativi d’acqua, che potrebbe essere prelevata dalla falda -inquinata da Pfas- o dal fiume Retrone, ugualmente inquinato: per effetto dell’evaporazione, le particelle potrebbero contaminare anche l’aria. 

Proprio la qualità dell’aria è uno degli elementi su cui si sta concentrando l’attenzione dell’associazione Medici per l’ambiente (Isde Italia), dato il preoccupante aumento registrato in città nelle patologie respiratorie, in particolare in pediatria. “Il progetto Tav a Vicenza non ha previsto un’analisi accurata dell’aumento delle polveri sottili e, oltre ai PM10, abbiamo pochissimi dati sulle particelle fini, comprese tra 0,1 e 2,5 micrometri (μm, milionesimi di metro, ndr)”, spiega Claudio Lupo, medico Isde. Per ridurre le polveri sottili prodotte dal cantiere Tav si prevede, appunto, l’uso di centinaia di migliaia di litri d’acqua (molto probabilmente inquinata) al giorno.

È scientificamente provato che i Pfas causano problemi oncologici: il Pfoa, l’acido perfluoroottanoico, nel dicembre 2023 è stato classificato come “sicuramente cancerogeno” dall’Agenzia internazionale per la ricerca sul cancro (Iarc). “Si tratta di particelle che persistono nell’ambiente, sono bioaccumulabili e vengono trasferite anche per via aerea: si diffondono per aerosol -continua Lupo-. Quindi, se finora abbiamo concentrato gli studi sui Pfas nell’acqua, dobbiamo ricordare che troviamo i Pfas anche nel cibo e in qualsiasi polverizzazione avvenga per la lavorazione di materiali che li contengono, come sarà probabilmente nel cantiere Tav. È un lento avvelenamento”.

Intanto, per fermare questo disastro ambientale, la mobilitazione continua e si apre a una comunità sempre più complessa: dal 5 all’8 settembre 2024 Vicenza ospiterà il campeggio climatico internazionale tradizionalmente organizzato al Lido di Venezia, che per l’occasione si chiamerà “Woods Climate Camp”.

Il bosco dell’ex Lanerossi, a Ovest di Vicenza © Martina Laverda – Ubif

Quattro giornate dedicate “alla resistenza contro grandi opere e cementificazione, alla condivisione di esperienze e pratiche, e alle riflessioni più generali sulla crisi ecologica che coinvolgono persone da tutta Europa”, come si legge nell’appello. L’obiettivo, attraverso tavole rotonde, laboratori, manifestazioni e anche momenti conviviali è “riportare al centro del dibattito la necessità di combattere un modello di sviluppo che, per riprodursi, si basa sempre di più sulla distruzione sistemica di luoghi vitali”. 


IN DETTAGLIO
Le immagini che accompagnano l’articolo vengono dal progetto fotografico che il collettivo Ubif (acronimo di “Una breve indagine fotografica”) sta svolgendo sul paesaggio del quartiere dei Ferrovieri a Vicenza. Avviata nel febbraio 2024, questa esperienza nasce dalla volontà di documentare le profonde trasformazioni paesaggistiche e ambientali in corso in questa parte della città di Vicenza, indagando il tempo presente e soffermandosi non solo sulla presenza umana, ma anche su altre specie viventi, sulle architetture e sul paesaggio. All’indagine di Ubif sui Ferrovieri hanno aderito una quindicina di fotografi/e, professionisti/e e non: una comunità artistica che si confronta quasi quotidianamente con la comunità abitante del quartiere ed è aperta alle sue sollecitazioni.

Per proseguire questa indagine, nel settembre 2024 Ubif collaborerà con la rassegna Di sana piantacostruita come un dialogo su natura, filosofia e arte- proponendo un laboratorio fotografico (14 settembre) e un laboratorio sonoro (21 settembre) nel paesaggio fluviale del Retrone. I laboratori saranno a partecipazione libera, con un numero limitato di posti: tutti i dettagli usciranno nella seconda parte di agosto sul sito www.disanapianta.org.

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