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Dalla surreale calma di Stromboli, “roulette russa turistica” del Mediterraneo

Alcuni turisti e residenti in piazza a Stromboli, punto di raduno delle emergenze, dopo il parossismo dell'11 luglio per la distribuzione di mascherine e acqua © Andrea de Franciscis

È uno dei vulcani più attivi e studiati del Pianeta e richiama ogni anno turisti da tutto il mondo. Dal 2003 l’attività è cambiata, facendo registrare esplosioni molto forti. L’11 luglio di quest’anno un potente episodio parossistico ha prodotto una colonna di fumo alta quattro chilometri e una corrente piroclastica lungo la sciara. L’isola è stretta così tra stato di allerta e un’economia turistica in crisi. Il nostro reportage

Sull’isola regna una calma surreale. È fine luglio ma a Stromboli, Isole Eolie, ci sono pochi turisti. La gente del posto -soprattutto chi con il turismo ci lavora, ossia gran parte dell’isola- teme che la stagione sia ormai compromessa. Già da fine giugno il livello di allerta era passato ad arancione in seguito all’intensificarsi dell’attività vulcanica: i vulcanologi erano in attesa che accadesse qualcosa.

Stromboli, uno dei vulcani più attivi e studiati del Pianeta che richiama ogni anno turisti da ogni dove, è noto per la sua attività continua detta “stromboliana”: esplosioni frequenti di modesta entità. Ogni tanto, avvengono colate di lava lungo la “Sciara del fuoco” ed esplosioni “maggiori”, ossia di potenza più elevata. Ci sono poi i “parossismi” (gli ultimi a luglio e agosto 2019 e l’11 luglio scorso): si tratta di episodi di attività vulcanica molto più forti che possono formare alte colonne eruttive.

Sebbene iddu (“egli”, come viene chiamato dagli abitanti) sia stato relativamente calmo nell’ultimo mezzo secolo, negli scorsi venti anni si è assistito al ritorno delle esplosioni più violente: dopo le parossistiche del 2019, ad esempio, le escursioni in vetta sono state vietate. Inoltre, gli ultimi tre parossismi si sono verificati nel pieno della stagione turistica. “Dalla seconda metà del Ventesimo secolo, il turismo è diventato gradualmente l’attività principale. Come si è arrivati a fare uno dei vulcani più attivi del Pianeta un punto di riferimento turistico internazionale?” si chiede Rèmy Knafou, geografo francese, nello studio “Stromboli, una roulette russa turistica”.

Una serie di aumenti nei parametri di monitoraggio già da aprile, insieme alle valutazioni condivise dai centri che gestiscono il rischio vulcanico sull’isola -Istituto nazionale di geofisica e vulcanologia (Ingv), Cnr-Irea e Laboratorio di geofisica sperimentale (Lgs) dell’università di Firenze, etc.-, il 23 giugno scorso hanno fatto scattare il livello di allerta “arancione”. Il 3 luglio, la frana di una parte del cratere di Nord-Est innescata da un trabocco lavico ha prodotto una valanga di materiale incandescente lungo la sciara e una nuvola di cenere che ha lambito il centro abitato.

Il giorno dopo, la rete di monitoraggio ha registrato prima un’esplosione “maggiore” e poi una nuova frana del cratere innescata dalla spinta del magma che ha aperto una bocca effusiva a quota 500 metri. Sulla base delle valutazioni dei centri di competenza, la protezione civile ha disposto il livello di allerta “rosso” e il passaggio della fase operativa nazionale da “attenzione” a “preallarme”. Il turismo dell’isola, presidiata di forze dell’ordine, ha subito una prima, importante battuta di arresto.

L’economia turistica è andata in crisi tra disdette, stop alle escursioni sul vulcano e agli sbarchi delle crociere giornaliere. E mentre si valutava la possibile riapertura alle mini-crociere che giornalmente portavano migliaia di turisti mordi e fuggi, il vulcano è tornato a farsi sentire. L’11 luglio una potente esplosione parossistica ha prodotto una colonna di fumo alta quattro chilometri e una corrente piroclastica lungo la sciara. Le sirene -che però sono suonate a eruzione in atto per un problema ai server della protezione civile- hanno avvisato abitanti e turisti mentre in piazza venivano distribuite mascherine e acqua.

La colata lavica sulla sciara del fuoco presidiata dalla guardia costiera il giorno prima del parossismo © Andrea de Franciscis

Per quanto le eruzioni siano imprevedibili, la vulcanologia rileva e studia i segnali che danno i vulcani prima di esplodere e lo Stromboli è tra i più monitorati al mondo. “Dal 2019 abbiamo sviluppato un sistema di early warning collegato alle sirene della protezione civile che dà un’allerta con tre minuti di anticipo -spiega il professor Maurizio Ripepe, a capo dell’Lgs-. Il sistema è basato su segnali che si ripetono continuamente a Stromboli, quindi, hanno una base statistica molto robusta”. È un sistema molto complesso e l’unico totalmente automatico al mondo, spiega il vulcanologo; a Stromboli ce ne sono due: uno per i parossismi e uno per gli tsunami, come quello innescato nel 2002 da una frana.

L’Lgs sta testando anche un sistema che possa prevedere un episodio eccezionale, come il parossismo dell’11 luglio, con maggiore anticipo. “Il tilt è una livella che misura la posizione di equilibrio del suolo; quando il vulcano inizia a deformarsi noi vediamo quest’inflazione -spiega ancora Ripepe-. Durante gli ultimi due parossismi abbiamo riconosciuto un pattern di deformazione 50 minuti prima. L’idea, condivisa dalla protezione civile, è di renderlo operativo ma la paura è dei falsi positivi, motivo per cui non è ancora a regime”.

Come si fa a combinare l’incapacità di prevedere, la conoscenza dei meccanismi acuti come le fasi precedenti agli eventi eccezionali e la preoccupazione di non danneggiare l’economia di un’isola che vive di turismo, si chiede Knafou e la risposta non è semplice. Ci sono tanti interessi in gioco e molti enti che fanno parte della macchina in caso di emergenze. Gli isolani -che con il vulcano e il rischio ci convivono- tendono a minimizzare. “Il vulcano fa il vulcano” è la frase che si ripeteva più spesso in quei giorni di adrenalina e incertezza.

“È vero, ma non sta facendo il vulcano a cui siamo abituati, ossia uno che non aveva parossismi ed emetteva pochissima lava. Dal 2003 invece fa parossismi e lava, così come era a inizio secolo -spiega Ripepe-. Purtroppo bisogna fare i conti con il fatto che lo Stromboli è un vulcano attivo. Dal 2003 ci sono stati cinque parossismi mentre dal 1959 al 2003 neanche uno. È un segnale di un’attività che è cambiata”.

In seguito alla riunione della Commissione grandi rischi del 23 luglio e all’analisi dei parametri di monitoraggio che evidenziano segnali di graduale ritorno alla normale attività, la protezione civile ha decretato l’abbassamento dell’allerta ad “arancione”. Il sindaco ha emesso un’ordinanza che consente la riapertura contingentata e controllata dello sbarco delle minicrociere mentre il tavolo tecnico dell’Unità di crisi ha voluto dare un segnale di apertura e incoraggiamento all’economia in difficoltà allentando i divieti.

La recente attività esplosiva ha causato un drastico calo nel turismo: gli operatori del settore hanno chiesto alle istituzioni interventi urgenti. Secondo un’indagine di Federalberghi il fatturato del settore ricettivo è diminuito del 30% a luglio e si prevedono ulteriori cali. Ristoranti, bar, noleggi e guide vulcanologiche hanno registrato un calo del 40% a luglio, con previsioni di un decremento del 30% per agosto e settembre.

Dopo la messa in sicurezza dei sentieri, è stata aperta anche la scalata al vulcano fino a quota 290. “Da anni chiediamo un tavolo tecnico per il mantenimento della riserva e della sentieristica: ora il sentiero l’abbiamo sistemato noi, è una questione di prevenzione, anche per gli incendi -racconta Renzo Zaia, guida vulcanologica-, l’emergenza, gestita in maniera discutibile, da una parte ci ha tolto tantissimo ma ha rinstaurato un rapporto tra vulcanologia e operatori escursionistici che mancava: un inizio di collaborazione verso un approccio più consapevole e collaborativo, che è l’unico modo per convivere con il vulcano”.

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