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Ambiente / Opinioni

È il decennio chiave per abbandonare i combustibili fossili. Certi “No” non aiutano

© Allison Saeng - Unsplash

La produzione di energia elettrica rinnovabile deve necessariamente e fortemente aumentare per potersi liberare di gas, petrolio e carbone da qui al 2030. Non è tempo di “negazionismo di ritorno” od opposizioni “preconcette” a pale e pannelli, sostiene Mario Grosso, docente di Mitigazione dei cambiamenti climatici al Politecnico di Milano, prendendo parte al dibattito aperto su Altreconomia dal prof. Paolo Pileri

È veramente singolare come, nel bel mezzo dell’emergenza climatica diventata talmente cronica da non fare quasi più notizia (se c’è un record ogni mese per così tanti mesi, a chi interessa più?), ci si trovi ad affrontare non solo un negazionismo di ritorno (persone che ancora nel 2024 affermano che i ghiacciai non stanno fondendo), ma anche la sua versione opposta, ovvero l’integralismo ambientalista del “No” a prescindere. Distogliendo in questo modo preziose energie dall’unica cosa che oggi davvero conta: lavorare tutti insieme per provare a venirne fuori come umanità intera.

Con questa premessa mi inserisco nel dibattito aperto su Altreconomia dall’ultimo editoriale di Paolo Pileri, cercando di fornire alcuni ulteriori elementi, con particolare riferimento al tema dell’eolico. Mi soffermo in particolare sulla risposta data da Pileri a Nicola Armaroli, di cui riprendo e cito tra virgolette alcuni passaggi, aggiungendo man mano le mie considerazioni.

Pileri: “Ben venga un dibattito sul tema delle ‘aree idonee’ per le rinnovabili e quindi ringrazio Nicola Armaroli per aver inviato, a nome di Energia per l’Italia, un testo in reazione al mio intervento. Risponderò punto per punto per aiutare il lettore a non perdersi. Prima però voglio di nuovo ricordare che non sono mai stato contrario alla transizione energetica verso le rinnovabili. Semmai sono contrario alla deregolazione con la quale fino a oggi si è gestita la partita della localizzazione degli impianti solari e delle pale eoliche”.

Mi dispiace, ma per come funziona oggi il mondo della comunicazione, tutti questi editoriali sul tema delle energie rinnovabili trasmettono inequivocabilmente un messaggio di forte contrarietà alle stesse, e come tali sono facilmente strumentalizzabili. Chi conosce i meccanismi della comunicazione dovrebbe comprenderlo facilmente.

Pileri: “Il mio mestiere è tutelare e dare voce a suolo, ecosistemi e paesaggio e queste norme stanno imbavagliando gli ecosistemi. La deregolazione che propongono mi preoccupa sia per gli impatti ambientali verso il suolo, le specie animali, l’agricoltura, la biodiversità e sia per il costante irrobustimento di quell’approccio culturale che vede nella natura una risorsa da continuare a sfruttare, supporto e nulla di più, qualcosa a nostro indiscutibile servizio. Ancor più aberrante quando la pretesa d’uso della natura avviene in nome di una qualche emergenza, distorsione che in Italia conosciamo bene e che spazza via ogni capacità di ragionare e migliorare perché, furbescamente, mette davanti l’emozione alla ragione, mandando in pappa qualsiasi ragionamento”.

L’espressione “in nome di una qualche emergenza” è pesantissima, e potrebbe essere stata scritta da un negazionista climatico. Sul fatto che l’emergenza climatica sia un’emergenza assoluta qui ed ora, e che richieda interventi immediati e uno sforzo senza precedenti di abbandono dei combustibili fossili, rimando alla lettura di un qualsiasi rapporto Ipcc.

Pileri: “Vengo al testo di Armaroli. Non so chi abbia scritto quel virgolettato sulla scuola ma non c’entra nulla, metodologicamente parlando. Già perché una volta che realizzo una pala eolica ho già espropriato la terra a qualcuno, ho già consumato suolo, ho già fatto immensi movimenti terra e spianato sentieri trasformandoli in strade camionabili. Quindi non potrò migliorare tutto ciò durante il tempo di vita e funzionamento della pala. Semmai potrò migliorare la tecnologia con la quale funziona. Ma nulla di ecologico che riguarda l’ambiente potrò ripristinare durante la vita della pala”.

Espressioni di questo genere (“immensi movimenti di terra”, “sentieri spianati”) denotano un approccio ideologico del tutto destituito di fondamento. Per due anni, in qualità di Commissario della Commissione Via ministeriale, referente del gruppo istruttore degli impianti eolici onshore, ho avuto l’occasione di girare per l’Italia nelle zone vocate alla produzione eolica (Puglia, Sicilia, Basilicata, in particolare). Questo mi ha permesso di visionare gli impianti esistenti e di analizzare i progetti di quelli nuovi, proposti per la valutazione di impatto ambientale. Ebbene non ho visto nulla di tutto ciò negli impianti esistenti, mentre per gli impianti in progetto tutti i nostri pareri favorevoli hanno sempre incluso robuste prescrizioni relative non solo al ripristino dei luoghi, ma al loro miglioramento. A titolo di esempio, le compensazioni richieste potevano riguardare il completo ripristino e mantenimento in ordine di tutte le vie di accesso agli aerogeneratori, la rimozione dei (frequenti) depositi incontrollati di rifiuti, il ripristino del consumo di suolo mediante interventi di depavimentazione con un fattore superiore a uno rispetto a quanto consumato, il monitoraggio continuo di avifauna e flora, etc. Il tutto non dettato dal sottoscritto, modesto ingegnere ambientale che di biodiversità non capisce nulla, ma dal meglio di naturalisti e forestali del nostro Paese. I pareri sono disponibili sul portale Via del ministero dell’Ambiente, chiunque li può consultare. Ciò non significa che la Commissione Via abbia sempre approvato tutto, infatti nel corso del mio mandato abbiamo bocciato circa un terzo dei progetti presentati. Il problema riguarda semmai il ruolo di altri attori del processo, e non parlo tanto delle Regioni, quanto del ministero della Cultura che, pregiudizialmente contrario a qualsiasi forma di energia rinnovabile, ha messo in atto tutte le possibili strategie per ostacolare la transizione energetica ed ecologica. Ultima in ordine di tempo il deliberato ritardo nell’emissione dei pareri, allo scopo di tenere bloccato tutto l’iter di approvazione. Pareri che, naturalmente negativi, spesso venivano emessi solo a seguito di sentenze del Tar. Questo mi sembra tutto tranne che una “deregolazione”. Anzi, direi l’esatto opposto.

Ho visto con i miei occhi l’emissione di decreti di compatibilità ambientale dopo cinque (ripeto, cinque) anni dalla presentazione dell’istanza, con il rischio concreto che il progetto prevedesse macchine neanche più reperibili sul mercato. Nelle lunghe discussioni all’interno della Commissione, molto spesso si lamentava l’assenza di una pianificazione sovraordinata, che definisse  inle aree idonee a livello regionale. Dunque, ben venga.

Pileri: “Quell’esempio confonde il contenitore con il contenuto e non aiuta il ragionamento. Convincerci che prima faccio urgentemente le cose come posso (‘meglio così che nulla’) e poi si migliorerà, è un vecchio adagio che non ha mai funzionato. Veniamo al contestato ‘errore clamoroso e devastante’. Vorrei che fosse chiaro a tutti che l’errore potrebbe essere anche quello di spazzare via terre ed ecosistemi alla spicciolata (visto che il decreto permette questo, come ho spiegato), senza pensare alle conseguenze a partire dalla riduzione della produzione cibo (perché gli stessi criteri del ministero ammettono questa evenienza anche nel caso dell’agrivoltaico) con conseguente aumento del condizionamento dalla produzione estera e con buona pace della scomparsa di aziende agricole (e dei loro posti di lavoro). Perché non dovrebbe essere un errore clamoroso e devastante privarsi di criteri davvero sostenibili ed equi per decidere le aree idonee? Purtroppo sul sito di Energia per l’Italia non ne ho trovate, ma se sono stati stilate, ben vengano: mostratecele e discutiamone. Se non lo sono, il mio appello da tempo che rivolgo agli energetici rinnovabili è di non perdere tempo e definirle insieme a tutte quelle altre discipline coinvolte, dall’agraria, alla sociologia, alla ecologia, al governo del territorio, etc. Peccato non abbiano raccolto gli allarmi mio e di altri che da tempo solleviamo: si sarebbe potuto guadagnare tempo ed evitare questa ingiusta transizione energetica che forse risolverà un po’ il problema energetico (chissà), ma al prezzo di ingiustizie e impatti ecologici, sociali e paesaggistici non irrilevanti. Vengono citati molti Paesi esteri ma sarebbe stato utile portare all’attenzione del lettore i criteri localizzativi più innovativi ed ecologicamente protettivi di quei Paesi. Dato che siete del settore, perché non ce li mostrate? Così abbiamo modo di apprendere e pure migliorarli. Tralascio la caduta di stile nell’uso dell’aggettivo ‘contadina’ per riferirsi a qualcosa di negativo. Ringraziamo i contadini che ancora fanno con piena dignità il loro mestiere contrapponendosi a una agricoltura industriale sempre più insostenibile e nociva. Viva la vera mentalità contadina. Si parla di Regioni ammorsate dalla siccità. Vero. Tra queste si citano la Sardegna e la Sicilia. Vorrei soffermarmi sul fatto che l’iniquità della attuale transizione non solo non prevede nessun beneficio per gli abitanti di quelle Regioni (pagano la bolletta come un abitante in centro a Milano), ancor più per gli abitanti delle zone dove vengono sottratte terre per quegli impianti, ma non è provato da nessuna parte che grazie a quegli impianti gli effetti della siccità saranno attenuati. Perché semplicemente non lo saranno e non vorrei che il lettore fosse tratto in inganno per un momento. Quella siccità, terribile, è il prodotto complesso di un modello di sviluppo che da decenni ci distrugge, che rapina terre e risorse, che sfrutta le parti più deboli e molli dei Paesi, che propone agricolture insostenibili, che sfrutta ogni pertugio possibile per fare speculazione, che finanziarizza qualunque cosa (anche l’energia rinnovabile che si produrrà e che stiamo dando in mano a migliaia di operatori scomposti che inseguono il proprio profitto e non certo alcun criterio di equità, tranne pochi casi), che usa il marketing per convincere chiunque a consumare (sono esempi presi dalla Laudato Si’, per dire una fonte molto molto più autorevole di me). Quindi ridurre il tutto all’equazione più pale meno siccità è quanto meno fuorviante e non rende giustizia della complessità che abbiamo davanti e che dobbiamo e possiamo affrontare assieme”.

Nessuno sostiene l’equazione più pale meno siccità, ma è conclamato il fatto che la siccità, o meglio ancora gli estremi meteorologici di ogni genere (incluse le recenti e continue mitragliate di grandine), siano esacerbati dai cambiamenti climatici. I quali sono dovuti all’uso dei combustibili fossili. Per sostituire i quali servono le energie rinnovabili. Tutte, eolico compreso.

Pileri: “Vengo al coraggio. Il mio è senza dubbio quello di usare il pensiero critico per disvelare che non tutto quello che si presenta per rinovabile è sostenibile. L’ho fatto scrivendo vari articoli su questa testata e soprattutto uno di questi è l’esito di una lunga rassegna bibliografica di studi scientifici che hanno ampiamente dimostrato che i suoli subiscono impatti importanti per via della pannelizzazione (quella agrivoltaica un po’ meno, ma non zero). La cosa preoccupa talmente gli scienziati che hanno proposto di rivedere i criteri di localizzazione e gestione degli impianti da un lato e di prevedere un accantonamento finanziario per il ripristino ecologico e non solo per lo smantellamento (ma in Italia nessuno dei due è previsto). Se Energia per l’Italia ha evidenze scientifiche che smontano quelle che io ho portato su suolo e biodiversità, le mostri. E ne parliamo. Il ‘ben misero prezzo da pagare’ è una frase certamente a effetto che risponde più o meno come la temperatura media del corpo secondo Charles Bukowski: si può ottenere mettendo la testa in freezer e il sedere nel forno. Gli effetti però sono devastanti. Voglio dire che se il ‘misero’ prezzo da pagare lo facciamo pagare a chi è già misero, fragile e sfruttato da sempre (penso al caso sardo soprattutto, ma anche all’entroterra pugliese o siciliano), tanto misero non è, ma anzi gravido di iniquità e sofferenza perché molti pastori e agricoltori sardi scompariranno”.

Gli unici “effetti devastanti” (di nuovo un’espressione di pancia) che conosco sono quelli associati all’estrazione (si veda il Delta del Niger o l’incidente della Deepwater Horizon) e all’utilizzo dei combustibili fossili (si veda alla voce cambiamenti climatici).

Pileri: “Non mi risulta che nessuna compagnia energetica (o di installazione pale e pannelli) stia offrendo loro un posto di lavoro in compensazione, ammesso che sia accettabile questo scambio. Pertanto, anche il ‘volàno occupazionale’ è tutto da dimostrare e, soprattutto, da capire come regge una volta calato a terra (ovvero dove aumenta l’occupazione rispetto a dove vengono sottratte le terre)”.

Sempre nell’ambito dell’attività in Commissione Via, ho avuto modo di visitare alcune zone interne della Sardegna che se non sono totalmente spopolate è proprio grazie all’indotto legato alla presenza di parchi eolici. Questo è un tema che si può e si deve affrontare a livello squisitamente politico.

Pileri: “Sul fatto che i pannelli siano assolutamente a impatto zero ho già scritto e rimando a quegli articoli che trovate sempre su Altreconomia. Il suolo riceve impatti: punto. Cionondimeno vi è un impatto relativo a costruzione e trasporto traducibile in emissioni, ma lascio a voi il calcolo. Riguardo il consumo diretto di suolo mi permetto di dire che le cose non stanno proprio come scritto da Armaroli perché i plinti delle pale sono grandi e i sistemi di ancoraggio dei pannelli non sono indolore e in ogni caso richiedono pretrattamenti a terra come eradicazione vegetazionale, dispersione erbicidi, movimento terre, etc. Ma anche di questo ho scritto e trovate tutto. In ogni caso sappiate che per portare i conci di una pala eolica sulle cime di colline e montagnole, le stradine vengono allargate di tre volte (o più), compattate, a tratti asfaltate, risagomate. E questo per chilometri e non per una decina di metri. Idem per la preparazione del sito di ancoraggio. Idem per i cavidotti chilometrici. Impattano anche i numerosi viaggi per trasportare acciaio e cemento”.

Per quanto detto sopra, nessuna stradina “viene allargata di più di tre volte”, visto che i veicoli di trasporto delle pale sono dotati di elevatori delle stesse (è pieno di video in rete che ne mostrano il funzionamento) e in ogni caso i trasporti dei materiali avvengono una volta sola su 20-30 anni di funzionamento degli impianti. Se cerchiamo tecnologie prive di qualsiasi forma di impatto ambientale possiamo tranquillamente chiudere baracca e burattini e aspettare passivamente la catastrofe finale.

Pileri: “Capisco che nella contabilità affrettata della transizione energetica non interessa nulla tutto ciò, ma oggi non ha nessun senso vedere una partita dissociata dalle altre. E aggredirci tra noi”.

A me sembra che l’aggressione/provocazione sia avvenuta da parte dell’autore dell’articolo originario.

Pileri: “Oggi la transizione energetica deve avvenire assieme a quella ecologica e non ‘perdinci’ facendo pagare sempre qualcosa al più debole, che è poi la natura e le piccole comunità. Lasciate perdere la Cina, siamo in Europa e abbiamo sulle spalle una storia di sfruttamento delle risorse naturali enorme dalla quale stiamo uscendo con la consapevolezza che non dobbiamo solo virare verso altro, ma dismettere certi atteggiamenti predatori. Quindi, ‘perdinci’, non ha senso fare energia rinnovabile con una mano e ridurre biodiversità, consumare suolo, spianare colline, cementificare vette con plinti che nessuno mai toglierà un giorno, con l’altra. Fintanto che abbiamo aree già consumate, già impermeabilizzate, già degradate, non ha alcun senso aggredire suoli sani, boschi e aree agricole, a meno di facilitare la speculazione finanziaria in nome della religione della fretta (e spesso i ritardi sono costruiti a tavolino, proprio poi per avvallare il teorema della fretta)”.

Chi è che costruirebbe i ritardi a tavolino? Servirebbero elementi fattuali a dimostrazione di questa affermazione quantomeno singolare.

Pileri: “Quello che ho detto e ripeto è semplice. Possiamo fare meglio. Dobbiamo fare meglio. Perché negare alle Regioni una transizione energetica equa ed ecologicamente corretta? Bene tagliare la burocrazia ma non le valutazioni ambientali e paesaggistiche. Se volete aiutare le Regioni a non perdere tempo, perché non suggerite (e non avete suggerito) quali superfici occupare per prime, di usare le grandi superfici a tetto di capannoni e centri commerciali, certe aree militari, le aree inquinate, solo per fare alcuni esempi. Perché non avete proposto criteri di equità sociale? Perché accettate che, ope legis, tutte le aree attorno ai siti produttivi siano idonee? Sono davvero tutte aree degradate quelle? Ritenete davvero sostenibile che per decidere se un’area è idonea non sia richiesta una sola analisi fisico-chimica-biologica-ecologica dei suoli e delle aree? Perché i criteri amministrativi devono prevalere su quelli ambientali ed ecologici? Ritenete davvero corretto che tutto questo non passi per processi autentici di partecipazione locale? Perché? In base a quale principio? La fretta? Solo la fretta? Mi pare un po’ poco. E poi in questi anni perché non avete tirato fuori dal cilindro dei criteri di sostenibilità (che non siano quelli del ministero)?”.

Processi autentici di partecipazione locale? Francamente sono poco fiducioso, visto che su qualsiasi cosa siamo ancora immersi nel Nimby. E sicuramente questi editoriali diventano strumenti utilissimi nelle mani dei comitati per il “No” a qualsiasi cosa. Sulla fretta: sì, è vero, c’è fretta, c’è una dannata fretta. L’Ipcc e tutta la scienza del clima ci comunica da tempo che siamo nel decennio decisivo per la lotta ai cambiamenti climatici e per l’abbandono dei combustibili fossili. E quattro anni di questo decennio ce li siamo già mangiati. Continuiamo a disquisire all’infinito sul Titanic alla ricerca del meglio? Qualcuno diceva che il meglio è nemico del bene.

Pileri: “Ultima cosa che mi ha stupito nella risposta: la mancanza totale di riferimento al risparmio energetico, la grande e democratica risorsa con la quale potremmo rispondere a un pezzo del problema del surriscaldamento del Pianeta. Non è solo la tecnologia a salvarci (ammesso che lo sia: io non ci credo), ma il cambio di stile di vita e il miglioramento culturale e sono questi che quel decreto aree idonee non propone perché, pur con un cappottino green, agisce con le medesime leve dell’economia estrattiva di sempre”.

Il risparmio energetico è un tema senz’altro centrale, ma forse non è chiaro di che cosa stiamo parlando. La transizione energetica/ecologica si basa sul pilastro fondamentale dell’elettrificazione, che per definizione comporta un utilizzo più efficiente dell’energia (un motore elettrico è tre-quattro volte più efficiente di uno termico; una pompa di calore è energeticamente più efficiente di una caldaia). Tuttavia, dovendo annullare l’estrazione di combustibili fossili (ricordiamocelo sempre) è inevitabile che, efficienza o meno, la produzione di energia elettrica rinnovabile debba aumentare di alcuni ordini di grandezza rispetto ad oggi.

Mario Grosso è docente di Mitigazione dei cambiamenti climatici al Politecnico di Milano, già Commissario della Commissione tecnica di verifica dell’impatto ambientale Via e Vas presso il ministero dell’Ambiente e della Sicurezza energetica

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