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Crisi climatica / Opinioni

Prendersela con pannelli e pale è fuori dal tempo quando l’asteroide climatico ci arriva addosso

© Alexander Mils - Unsplash

Mentre il mondo corre a installare rinnovabili a velocità impressionanti dinanzi alla gravità della situazione climatica (dalla Cina al Portogallo, dalla Germania al Regno Unito), il ritardo italiano è drammatico. Contrastare la produzione di energia dal sole e dal vento sarebbe un errore clamoroso, scrive il prof. Nicola Armaroli a nome dell’associazione Energia per l’Italia

Se nell’Ottocento i progressisti, gli illuministi, i socialisti, avessero osteggiato l’istituzione della scuola pubblica statale, perché era la scuola reazionaria del libro “Cuore” e non era ancora la scuola dell’inclusività e degli organi collegiali, finendo per saldarsi, pur con motivazioni opposte, alla posizione di Pio IX, che cosa avremmo detto, noi, oggi, con il senno di poi? Che erano stati lungimiranti?

Credo che tutti noi diremmo oggi che sarebbero stati ottusi, a fare quella scelta. Meno male non andò così. “La prima urgenza è sottrarre i bambini italiani dal lavoro nei campi e da un futuro da analfabeti, difendendo e favorendo l’istituzione della scuola dell’obbligo, una volta che è stata istituita si lavora per migliorarla progressivamente”. Qualunque persona di buon senso e con un minimo di cultura politica ragionerebbe così, giusto?

Ecco, noi abbiamo il dovere di ragionare nella stessa identica maniera anche per gli impianti di produzione di energia rinnovabile. Sì, esatto, abbiamo il dovere, dobbiamo sentirci addosso la responsabilità storica, di non commettere un errore clamoroso e devastante in questo snodo delicatissimo e decisivo.

Tutto il mondo corre a installare rinnovabili a velocità impressionanti. La Cina raggiungerà in anticipo i 1.200 GW di potenza che si era ripromessa, la Germania migliora mese dopo mese, Portogallo, Grecia, Scozia, Austria, Danimarca, Norvegia, viaggiano ormai speditissimi verso la decarbonizzazione dell’attuale fabbisogno elettrico, Francia e Regno Unito non sono da meno. Siamo davvero solo noi, l’Italia oggi più che mai provinciale e conservatrice, a resistere al cambiamento, mantenendo procedure burocratiche di lunghezza settennale (contro i 18 mesi richiesti dall’Unione europea), ma soprattutto trincerandoci in una contadina, superstiziosa, medioevale diffidenza verso modalità di produrre energia vari ordini di grandezza meno impattanti di quelli basati sui combustibili fossili.

Eppure l’emergenza indifferibile, che viene prima di ogni altra cosa, in questo caso è grande quanto quella che c’era nell’Ottocento di sradicare l’analfabetismo, anzi probabilmente lo è anche di più.

Giugno 2024 è stato il tredicesimo mese consecutivo a battere ogni record di temperatura globale da quando esistono le stazioni meteo, il dodicesimo a superare la soglia di innalzamento di un grado e mezzo rispetto alla media preindustriale (soglia che dovevamo evitare di toccare nel 2100), la Sicilia, la Sardegna, e diverse altre Regioni, sono devastate dalla siccità, tutta l’Italia è percorsa da frane e alluvioni che ormai si ripetono con cadenza sempre più ravvicinata, i nostri ghiacciai sono praticamente annientati, i mari hanno temperature inverosimili, con molluschi e spugne soffocati dalla mucillagine, e non parliamo dell’erosione costiera: ci domandiamo con quale coraggio, di fronte a tutto questo, si possa scrivere che si realizzeranno impianti di energia pulita in maniera incontrollata “con la scusa dell’emergenza”.

“Scusa”? Il disastro, la vera e propria apocalisse ecoclimatica, cui assistiamo in presa diretta, si ha il coraggio di dire che è una “scusa”? Non c’è più tempo, proprio no.

Non siamo più un paziente un po’ sovrappeso ma ancora tutto sommato abbastanza giovane e in salute che deve però iniziare a fare un po’ di dieta, a riguardarsi, a fare una corsetta la mattina: questo forse era vero quarant’anni fa.

Ma oggi no, non è più così: ormai siamo un paziente ricoverato in terapia d’urgenza, dopo un coccolone che se ne esce vivo può ringraziare il cielo. E poi davvero pale e pannelli, se pensiamo a quel che abbiamo fatto a questo Pianeta, e a come siamo messi male, sono un ben misero prezzo da sopportare, oltreché un vantaggio economico e un volàno occupazionale.

Non erodono suolo -perché non cementificano (i pannelli assolutamente zero, le pale eoliche poche decine di metri quadri di cemento armato per le basi)- non sono incompatibili con agricoltura, pastorizia, prato, radura, non hanno emissioni né rilascio chimico, sono riciclabili (e se producono qualche rifiuto indifferenziabile comunque è più che gestibile), e se un domani abbiamo di meglio possiamo sbullonare tutto e ripristinare i luoghi in quattro e quattr’otto, non si dirà mica che è così difficile, perdinci.

Per portare sui crinali le pale eoliche a volte c’è da tagliare un po’ di foresta, che è ripiantabile o comunque tranquillamente ricomprendibile nelle quote di taglio boschivo che ogni anno si autorizzano.

È davvero il caso di evitare di concentrarci sul dito quando ci sta arrivando addosso l’asteroide.

Nicola Armaroli, che firma questo contributo insieme ai membri dell’associazione Energia per l’Italia in risposta all’intervento del prof. Paolo Pileri, è dirigente di ricerca al Cnr dal 2007, membro dell’Accademia nazionale delle Scienze e direttore della rivista italiana di divulgazione scientifica “Sapere”

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