Ambiente / Attualità
Un’area marina protetta per tutelare l’ambiente e rilanciare il territorio. Il caso dell’isola di Salina
Un vincolo ambientale come l’istituzione di un’area marina protetta è un’opportunità per proteggere la biodiversità ma anche per ripensare il modello economico. L’isola delle Eolie ha finalmente intrapreso il suo percorso verso la sostenibilità. Non è stato facile. Ci sono voluti più di trent’anni, alcuni tentativi falliti e un’intensa attività di coinvolgimento di tutte le parti in gioco
Nell’isola di Salina, una delle sette che compongono l’arcipelago delle Eolie -patrimonio Unesco dal 2000-, è in atto un percorso che porterà all’istituzione di un’area marina protetta (Amp), ripensando il modello di sviluppo del territorio e indirizzandolo verso uno più sostenibile sia dal punto di vista ambientale sia economico.
La popolazione è infatti pronta e i sindaci che amministrano i tre Comuni della piccola isola vulcanica -Santa Marina Salina, Malfa e Leni, per 26,4 chilometri quadrati e 2.300 abitanti in tutto- hanno dato il loro assenso.
“Un caso del genere non credo esista in Italia -riflette Giulia Bernardi, biologa marina coordinatrice dei progetti italiani della fondazione Blue Marine, ente benefico dedicato a ripristinare la salute degli oceani affrontando il problema della pesca eccessiva-. Cioè un percorso in cui la comunità e i sindaci hanno intrapreso un cammino comune sfociato in una policy lungimirante, basata su una visione precisa: promuovere un turismo diverso e nuove opportunità di lavoro a partire dalla tutela della principale risorsa dell’isola, il mare”.
Non è stato facile. Ci sono voluti più di trent’anni, alcuni tentativi falliti e un’intensa attività di coinvolgimento di tutte le parti: abitanti, pescatori, ristoratori, albergatori, mondo del turismo diportistico.
Le aspettative sono alte. Ripensando l’identità dell’isola in chiave di sostenibilità, grazie al ripopolamento ittico dell’ambiente marino, si spera infatti di riuscire ad attrarre un tipo di turismo differente, presente tutto l’anno e rispettoso dell’ambiente, come successo in altre zone -un esempio è l’area marina di Portofino che attrae 60mila immersioni all’anno, anche in inverno-. E che di conseguenza si creino nuove opportunità che frenino lo spopolamento in atto e stimolino l’offerta di servizi per chi decide di rimanere a vivere tutto l’anno sull’isola.
L’economia delle Eolie è infatti ancora fortemente concentrata sulla fruizione del mare di tipo balneare e quindi su un tipo di turismo stagionale e di massa. Le isole registrano annualmente presenze fino a 500mila persone -32 volte la popolazione residente-, ma ne ospitano almeno il doppio, con presenze giornaliere che superano 100mila turisti nei giorni di picco della stagione estiva. “Le attività estive al 31 ottobre smantellano tutto, staccano gli interruttori -racconta Franco Cavallaro, presidente del Comitato promotore Area marina protetta Salina-. Durante l’inverno Salina è un deserto, non si trova neppure un bar dove prendere un caffè, non si incontra nessuno per la strada. La sera non si vedono neanche luci accese nelle case”.
Il ministero dell’Ambiente definisce le aree marine protette come “acque, fondali e tratti di costa prospicenti che presentano un rilevante interesse per le caratteristiche naturali, geomorfologiche, fisiche e biochimiche”, e che per questo necessitano di una particolare protezione. La loro istituzione è preceduta dall’individuazione, attraverso una specifica disposizione normativa, di un’area marina di reperimento. L’arcipelago delle isole Eolie è stato riconosciuto come tale già nel 1982 con la legge 979 per la “Difesa del mare” e confermato dalla Legge quadro sulle aree protette, la 394 del 1991, ancora oggi principale riferimento sul tema in Italia e in discussione al Senato per l’aggiornamento.
“Oltre trenta anni fa, nel 1990, l’Università di Catania, su incarico dell’allora ministero della Marina mercantile, realizzò un primo studio per l’istituzione della ‘Riserva Marina-Isole Eolie’ -racconta Leonardo Tunesi, responsabile dell’Area per la tutela della biodiversità, degli habitat e specie marine protette dell’Istituto superiore per la protezione e la ricerca ambientale (Ispra)-. Allora però i tempi non erano ancora maturi e il ministero preferì focalizzare i suoi sforzi su altre nuove aree marine protette”.
Nel 2017 si ritenta. Il ministero dell’Ambiente dà incarico a Ispra di studiare solo le componenti ambientali dell’arcipelago e, in questo modo, “è stato possibile raccogliere dati molto importanti, in alcuni casi unici -spiega Tunesi-, che hanno permesso di documentare la specificità dei fondali dell’arcipelago caratterizzati da popolamenti e ambienti estremamente diversi, con elementi di grande valenza conservazionistica”. Anche allora, però, a questa prima fase non seguirono quelle successive per l’istituzione dell’area marina protetta. Ciò probabilmente per assenza di appoggio da parte delle realtà locali.
“L’approccio iniziale, secondo me, non è stato corretto -dice Cavallaro-, si era infatti diffusa l’idea che questa ipotesi fosse calata dall’alto e fosse sostanzialmente un’accentuazione di regole e vincoli. Era quindi vista con diffidenza dalla popolazione eoliana che ha una tradizione, una storia e tutto sommato una cultura caratterizzata da forte libertà e autodeterminazione”.
Quello che differenzia infatti un’area marina protetta da altre forme di protezione ambientale, che spesso rimangono solo sulla carta e non si traducono in meccanismi di controllo, è l’identificazione di un ente gestore individuato e delegato dal ministero. “L’area marina protetta quando arriva su un territorio -chiarisce Bernardi-, lo fa attuando una governance sul mare, quindi è visibile e tangibile, cambia le sorti dello sfruttamento marittimo e questo rappresenta una reale opportunità per le amministrazioni per legiferare sul loro mare”.
Sta di fatto che, nel 2017, Ispra non riceve il mandato di condurre gli studi di carattere socioeconomico e quindi di completare le attività originariamente previste. Lo studio degli usi del mare costituisce invece un aspetto fondamentale dell’iter istruttorio per le aree marine protette. Queste, infatti, da una parte vengono costituite per tutelare la biodiversità e le valenze ambientali del mare, ma dall’altra nascono proprio per favorire lo sviluppo socioeconomico del territorio attraverso nuove attività ecocompatibili e sostenibili. “Per essere efficaci, devono quindi prevedere una partecipazione attiva delle realtà locali e non essere viste come un’imposizione -conclude Tunesi-. Questo è uno dei motivi che spingono il ministero dell’Ambiente a promuoverne nuove in siti dove è maggiore la sensibilità delle realtà locali, proprio per favorirne al massimo le possibilità di successo ”.
Bernardi racconta infatti come nel 2016, quando è arrivata a Salina con la Fondazione Blue Marine, parlare di area marina protetta fosse quasi un tabù. “Il nostro obiettivo era stimolare un percorso di consapevolezza sull’opportunità di istituire un’area marina protetta ed è stato un processo molto lungo, lento, delicato ma allo stesso tempo molto inclusivo”, dice. Il punto di partenza è stato il coinvolgimento di quelli che la biologa definisce gli operatori più sensibili, cioè i piccoli pescatori artigianali: “attraverso riunioni e dibattiti abbiamo cercato di spiegare che una forma di regolamentazione del mare avrebbe rappresentato un beneficio per tutti, in primis per loro”. Sono stati inoltre coinvolti altri portatori di interesse, come i ristoratori e le scuole, collaborando attivamente con le associazioni del territorio.
Renato Casagrandi, professore di Ecologia del Politecnico di Milano, definisce infatti le aree marine protette delle strategie win-win, vincenti per l’ambiente e per la popolazione locale. Si basano infatti sulla divisione in tre zone denominate A, B e C. La zona A, quella a protezione integrale, è il cuore della riserva dove non è consentita nessun tipo di attività estrattiva, se non a scopi puramente scientifici. Di solito rappresenta solo il 3-5% della superficie totale interessata ma è quella che permette alla natura di rigenerarsi: “questo significa l’aumento della biomassa e di conseguenza più pesci e più grandi”, spiega Casagrandi.
Grazie all’effetto di spillover sono quindi i pescatori artigianali a trarne vantaggio. Nelle aree adiacenti alla A, cioè la B e C è infatti generalmente permessa attività di prelievo regolamentata e con metodi non invasivi, escludendo quindi le forme di pesca industriale. “Potrebbe sembrare che si stia sottraendo la risorsa principale a chi vive del mare, ma in realtà il sistema di protezione non deprime l’economia, al contrario la risolleva. Tutti beneficiamo di un ambiente che sta meglio”.
Nell’ultimo decennio inoltre è stato introdotto un ulteriore livello di “zonazione”, la zona B speciale, nella quale è consentito l’accesso ma vietata ogni forma di prelievo, permettendo così ai locali e ai turisti di vedere con i propri occhi gli effetti positivi della protezione sui popolamenti marini e sulla fauna ittica.
Grazie anche all’incontro e allo scambio di esperienze con i pescatori di altre aree marine protette, come quella di Torre Guaceto in Puglia (vedi Ae 194) -una tra quelle di maggiore successo in Italia-, i risultati sono pian piano arrivati: nel 2018 i pescatori dell’isola sottoscrivono infatti un codice di condotta volontario attraverso cui si impegnano a portare avanti metodi di pesca identificati da loro stessi come più sostenibili e a basso impatto. “Questo strumento è stato il primo che ha aperto un varco con la categoria, cambiando il suo modo di vedere il mare”, riprende Bernardi.
Alla fine del 2020 inizia inoltre a delinearsi, con il sostegno di Blue Marine, l’idea di fondare un Comitato promotore dell’Area marina protetta Salina che viene costituito grazie a una settantina di soci, residenti o meno, tutti con un forte legame con l’isola e capaci di rappresentare le parti coinvolte. “Abbiamo deciso di provare a costruire dal basso una proposta di area marina protetta che fosse quella della comunità e non proveniente solo dal mondo scientifico o delle istituzioni”, racconta Cavallaro.
Fondamentale è stato inoltre il coinvolgimento della popolazione, a partire dalle scuole e attraverso convegni, riunioni di categoria e grazie a differenti attività come quelle di animazione chiamate “il caffè o il tè dell’area marina protetta” rivolte a piccoli gruppi di tre/quattro rappresentanti di diversi mondi: quello della ristorazione, dell’accoglienza, della pesca, delle attività turistiche. “Al tavolo del bar è stato più facile confrontarsi in maniera informale su quello che convinceva di più o di meno”.
“Tutte queste attività hanno permesso di chiarire il quadro sociale -prosegue Cavallaro-, e costruire un accordo, una grande alleanza che porta ognuno a rinunciare a qualcosa per avere in cambio qualcosa di più”. Il dibattito è quindi approdato nei tre Comuni di Salina e ha prodotto da parte dei consigli comunali una delibera di piena condivisione e di determinazione dell’istituto dell’area marina protetta e una richiesta al ministero dell’Ambiente di avviare il processo amministrativo che a metà luglio è in corso.
L’ultimo capitolo di questa lunga storia sarà infatti l’adattamento delle ricerche già fatte alla nuova situazione e la concertazione per stabilire la “zonazione”. “Ispra ha ricevuto il mandato di poter iniziare gli studi per un’area marina protetta incentrata solo su Salina”, conferma Tunesi.
L’esperienza di Salina potrebbe infine servire da apripista per la protezione delle altre sei isole, tutte afferenti al Comune di Lipari. “Quello che auspichiamo -conclude Bernardi-, è che con un effetto domino, in modo naturale e non in modo imposto, tutti gli eoliani possano maturare la stessa decisione di Salina”.
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