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La lezione di De Masi contro il monopolio della verità
De Masi ha saputo uscire dalle aule universitarie per prendere parola in pubblico, stando dalla parte di chi non ha potere. Un esempio prezioso. La rubrica di Tomaso Montanari
Tra le tante cose per cui sono grato a Domenico De Masi -le cose per le quali mi manca- ce n’è una importante: le sue parole e la sua vita mi hanno riconciliato con l’università italiana. Cioè con la vita che tutti e due abbiamo scelto.
L’ultima volta che ci siamo parlati un po’ con calma, pochissimi giorni prima che scoprisse la sua malattia, mi aveva telefonato per parlare della scomparsa di Michela Murgia. Ci siamo detti quanto entrambi la ammirassimo per come partecipava al discorso pubblico. In quella occasione Mimmo ha notato che, in tutta la sua vita, Michela aveva fatto esattamente ciò che dovrebbero fare i professori universitari e che tuttavia quasi mai fanno: prendere la parola in pubblico, non accontentandosi dei libri e uscire dalle aule per mostrare la differenza tra il vero e il falso.
Per non lasciare a chi ha il monopolio della forza (il potere, il capitale) anche quello della verità, come diceva Norberto Bobbio. Per diffondere anticorpi di senso critico, di spirito di ribellione. De Masi sapeva quanto la conoscenza può essere rivoluzionaria. Quanto può riscattare la vita di chi è nato povero e marginale. Ed è per questo che non l’ha mai considerata un tesoro geloso, la sua conoscenza.
Una delle ultime volte che l’ho visto in televisione, stava smascherando -con argomenti serissimi e con il sorriso sulle labbra, come sempre- il pontefice massimo del giornalismo servile. Si parlava di questo maledetto conflitto in Ucraina e De Masi difendeva le ragioni di chi la guerra la subisce: di chi combatte e muore. Mentre l’interlocutore difendeva quelle di chi la decide e ne trae profitto. Quel giorno a tante persone si è acceso finalmente il lume del dubbio. Hanno capito che i grandi ideali -la libertà, la democrazia e i valori occidentali- sono vuota retorica in mano ai signori della guerra e ai loro servi.
Altrove De Masi ha scritto: “Da che cosa dipende la sfasatura tra l’informazione fornita dagli anchorman dei media e l’opinione pubblica dei cittadini? A mio avviso dipende dall’abuso di potere esercitato dai primi, sottovalutando la qualità intellettiva dei secondi. Inoltre, gli anchorman soffrono di autoreferenzialità come ogni circolo chiuso in cui poche diecine di privilegiati fanno da guardiani al pensiero unico, mentre i cittadini comunque esprimono una pluralità di vedute garantita dall’essere milioni di teste disparate, appartenenti a classi diverse”.
Per questo De Masi ha messo il suo sapere dalla parte di chi non ha potere. Per provare a rimettere in equilibrio i piatti di una bilancia che non è mai giusta. Perché questo è il punto: non ha usato il sapere per mettersi alla corte dei potenti.
Quando ha deciso di condividere le sue conoscenze con qualche forza politica (dal Partito comunista fino al Movimento 5 Stelle) lo ha fatto da uomo libero: non risparmiando critiche, anche dure. Correggendo, spiegando, argomentando. Era lui a decidere quando parlare e cosa dire: sempre pronto ad andarsene, se capiva che le sue parole non venivano ascoltate. Il suo sapere lo ha reso libero: e la sua libertà non l’ha venduta a nessuno. Era sempre dalla parte di chi non aveva nessun potere: sempre dalla parte del torto. Accanto ai giovani, mai a difendere i privilegi della sua generazione.
Io, e tanti altri professori, gli siamo grati per questo. In una università sempre più schiava della politica intesa come potere, De Masi non ha avuto paura di fare politica intesa come ideale, utopia concreta, pedagogia collettiva, crescita comune.
Tomaso Montanari è storico dell’arte e saggista. Dal 2021 è rettore presso l’Università per stranieri di Siena. Ha vinto il Premio Giorgio Bassani di Italia Nostra
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