Economia / Inchiesta
Il vecchio modello di Stellantis. Gli Agnelli cercano l’oro altrove
Tre anni dopo la fusione tra Fca e il gruppo Peugeot, l’Italia è ai margini della strategia produttiva del colosso dell’automotive. La famiglia torinese, tramite Exor, principale azionista della multinazionale, punta su metalli preziosi e sanità
Nubi fitte sulla Penisola, stelle luminose altrove. Quello che non chiarì John Elkann il 4 gennaio 2021, a margine del voto degli azionisti di Fiat Chrysler Automobiles (Fca) che deliberava la fusione con Peugeot e la conseguente nascita del gruppo Stellantis, era la “direzione” di quello che definì un “coraggioso passo in avanti nel nostro viaggio”.
Tre anni dopo restano 40mila dipendenti in Italia nei nove stabilimenti ancora attivi sul territorio italiano, in almeno settemila hanno già lasciato l’azienda. Un esodo che non è destinato a fermarsi. “Promettono di tornare a produrre un milione di vetture nel nostro Paese -riflette Gianni Mannori, responsabile della Fiom-Cgil nello storico stabilimento di Mirafiori a Torino-. Possiamo fare due cose: aggrapparci a vuote dichiarazioni oppure guardare amaramente la realtà”.
Il crudo stato dell’arte della politica industriale del secondo costruttore automobilistico europeo che raggruppa 14 marchi (tra gli altri Citroën, Alfa Romeo, Opel, Dodge), dietro solo a Volkswagen, è riassunto in una comunicazione inviata a inizio novembre 2023 a oltre 15mila dipendenti in Italia in cui la buonuscita per lasciare l’azienda arrivava a 190mila euro. “Una proposta giunta anche a impiegati di 35 anni avente per oggetto: ‘Ricostruisci il tuo futuro’. Mancava il ‘fuori da Stellantis’ che quelle cifre sottintendono”, continua Mannori.
La situazione nel nostro Paese è inchiodata, con una produzione annua di appena 472mila veicoli. “Nel 1999 erano 1,4 milioni, oggi tre volte meno, il personale invece è diminuito del 20%: un dato che non ha eguali in altri Paesi industrializzati”, spiega il ricercatore Matteo Gaddi, membro della fondazione Claudio Sabattini che ha realizzato una ricerca per conto dell’Istituto sindacale europeo (Etui) sull’occupazione e la produzione di Stellantis in Italia. Attualmente sono 14 i modelli assemblati nel nostro Paese: cinque a Torino, tre a Cassino (FR) e altrettanti a Pomigliano (NA) e Melfi (PZ). I nuovi modelli introdotti sono solamente la Maserati Grecale (nel 2022 a Cassino) e per l’Alfa Romeo il suv Tonale e il suo rebranding americano Dodge Hornet nello stabilimento in provincia di Napoli.
“Promettono di tornare a produrre un milione di auto in Italia. Possiamo aggrapparci a vuote dichiarazioni, o guardare amaramente la realtà” – Gianni Mannori
Una produzione a rilento mentre fuori dal contesto italiano Stellantis procede spedita. Il 31 ottobre 2023, secondo quanto riferito dalla capogruppo nella relazione trimestrale, si è registrato un aumento dell’11% anno su anno nelle consegne (1,4 milioni di veicoli) e nello stock complessivo di nuove unità (388mila, +145%) con livelli che “rientrano perlopiù nella norma” dopo un “periodo pluriennale di limitazioni nelle forniture di materiali”.
Sono più di 282mila i dipendenti della multinazionale (dati al 31 dicembre 2022, gli ultimi disponibili) con attività industriali presenti in oltre 30 Paesi e un utile netto di oltre 16,8 miliardi di euro (+26% rispetto al 2021). E il piano strategico “Dare forward”, presentato a marzo 2023 e incentrato sulla (tardiva) conversione della produzione verso l’elettrico, prevede un raddoppio dei ricavi netti, portandoli a 300 miliardi di euro entro il 2030.
Negli stabilimenti italiani di Stellantis nel 2023 sono stati prodotti 472mila veicoli. Erano 1,4 milioni nel 1999
A dettare legge e beneficiare degli utili sono soprattutto gli azionisti che, negli anni 2021 e 2022, hanno messo in cascina oltre 7,5 miliardi di euro di dividendi. In primis Exor, la holding della famiglia Agnelli con sede legale “agevolata” ad Amsterdam, azionista di maggioranza con il 14% delle quote, seguita dal gruppo Peugeot Family (7%), dalla banca d’investimento francese Bpifrance participations con il 6% (controllata da Bpi groupe, nata nel 2012 da una joint venture di due enti pubblici d’Oltralpe) e dall’azienda automobilistica cinese Dongfeng, che detiene il 3%. Seguono con quote minori -ma rilevanti- grandi fondi di investimento e holding finanziarie: le statunitensi Vanguard (2,4%) e Dodge & Cox (1%); la tedesca Dws Investment (0,8%) e il ramo londinese di Goldman Sachs, una delle più grandi banche d’affari al mondo (0,7%). È questo il “calibro economico” di chi ha in mano la multinazionale. I risultati arricchiscono anche i manager: nel 2022 l’amministratore delegato Carlos Tavares ha percepito quasi 15 milioni di euro lordi, esclusi i benefici non monetari, mentre John Elkann ha superato i 4,5 milioni (a cui se ne aggiungono 4,9 da Ferrari e 4,1 da Exor).
Se la delocalizzazione verso Paesi in cui la manodopera è meno costosa è ormai un dato di fatto -pensiamo agli stabilimenti di Kenitra in Marocco (300 milioni di euro investiti nel 2022 per raddoppiarne la capacità produttiva), a quello di Orano in Algeria (la costruzione si è conclusa ad agosto 2023) oltre alla dinamica già vista nei Paesi dell’Est Europa (a partire da Polonia e Slovacchia)- quanto è successo negli Stati Uniti è una cartina al tornasole del disinvestimento sull’Italia.
Sui ricavi netti al 31 ottobre 2023, infatti, si registra una contrazione di circa tre miliardi di euro dovuta alle “interruzioni delle attività per i prolungati scioperi dei lavoratori” negli Usa che, riuniti nello United automobile workers (Uaw), hanno incrociato le braccia per ottenere da Ford, General Motors e Stellantis miglioramenti nelle retribuzioni e garanzie sul mantenimento dei posti di lavoro in vista delle nuove produzioni di auto elettriche.
Dopo più di sei settimane di stop, a fine ottobre 2023 Stellantis ha annunciato un accordo contrattuale provvisorio: posti di lavoro salvati (almeno cinquemila), aumento salariale dell’11% ma soprattutto un piano di rilancio industriale. Secondo l’Uaw un “investimento pari a 19,5 miliardi di dollari” di cui 3,5 impegnati per il rilancio di tre stabilimenti di assemblaggio nel Michigan. Teniamo a mente queste cifre e guardiamo a che cosa succede a Torino, il più importante stabilimento italiano.
A fine novembre 2023 John Elkann ha confermato che “Mirafiori continua a essere uno dei motori dell’evoluzione di Stellantis” in occasione dell’inaugurazione, alla presenza anche dell’amministratore delegato Tavares, del primo hub di economia circolare della multinazionale. Qui verranno smontate circa diecimila vetture l’anno con l’obiettivo di riciclarne le varie parti. L’investimento ammonta ad “appena” 40 milioni di euro e sulla carta prevede 500 posti di lavoro, cui se ne aggiungono altri 500 grazie ai 40 milioni stanziati per la produzione del nuovo cambio da montare sulle vetture ibride (eDCT). “Non raccontiamoci che questo mostra l’interesse di Stellantis per lo stabilimento -commenta però Mannori-. L’unico modo per rilanciarlo sarebbe portare nuovi modelli, l’hub ha un impatto praticamente pari allo zero in termini di occupabilità”.
I dati di contesto sono eloquenti. Dei quasi tre milioni di metri quadrati dello stabilimento di Mirafiori, il più grande in Europa, più di 1,5 sono vuoti: una superficie enorme, pari a 210 campi di calcio, su cui lavoravano negli anni Sessanta oltre 60mila dipendenti. Oggi ne rimangono circa 12mila se si considerano gli addetti dello stabilimento (poco più di 4.100) e gli impiegati negli enti centrali. Solo negli ultimi tre anni le campagne di incentivo all’esodo avrebbero portato all’uscita di quasi un migliaio di lavoratori. Sul lato produttivo, dati Fiom alla mano, il 2023 si è chiuso con circa 75mila vetture prodotte, contro le 120mila preventivate. Versante Maserati circa settemila assemblate a fronte delle 55mila di otto anni fa.
Lo stabilimento di Torino era tra i papabili per la produzione della nuova Panda elettrica ma, alla fine, la multinazionale ha annunciato il 4 dicembre che sarà prodotta nello stabilimento di Kragujevac in Serbia, già fucina della 500L.
Il disinvestimento nel corso degli anni su Torino ha provocato a cascata effetti negativi sull’indotto piemontese frutto, anche, della “delocalizzazione” nella produzione da parte dell’azienda. Il 31 dicembre è scaduta la cassa integrazione straordinaria per i dipendenti della sede di Grugliasco (TO) della Lear, che fino a novembre 2022 realizzava i sedili per la 500 elettrica, ora prodotti in Turchia. Quando Altreconomia va in stampa, a metà dicembre, è ancora incerto il futuro di oltre 230 lavoratori.
“Dal 2008 si stima abbiano chiuso almeno 370 aziende dell’automotive e abbiano perso il lavoro circa 32mila persone: un impatto devastante per il tessuto sociale di Torino e provincia”, spiega Alice Ravinale, consigliera comunale di Torino in quota Sinistra italiana, che a fine giugno 2023 ha presentato una mozione con cui chiedeva l’impegno del sindaco e della giunta per frenare una lenta, ma costante, deriva.
A inizio novembre 2023 il “capannone da 115mila metri a Grugliasco”, stabilimento nella prima cintura torinese dove si producevano le Maserati, è finito addirittura in vendita sul portale Immobiliare.it. Poco dopo, il 24 novembre, è toccato alla palazzina Mopar di Rivalta (TO) -rinata proprio con Stellantis nel 2020 come centro logistico che impiegava oltre mille persone- messa in offerta, nuovamente online, al costo iniziale di sei milioni di euro. “Se un giorno l’azienda se ne andrà, anche i vuoti che lascerà saranno un grosso problema per la città. Sono aree per cui è necessario pensare a un serio progetto di riqualificazione”, aggiunge Ravinale. Anche considerando l’appetibilità di quegli spazi sotto il profilo delle rendite.
La dinamica dell’esternalizzazione dei servizi, così come della vendita degli ex stabilimenti, si registra in tutta Italia. “Per il nostro Paese si tratta di passare da un’impostazione che prevedeva lo sviluppo di tutta la vettura a un’attività molto parziale, che prevede di mantenere nei nostri confini solo quello della cosiddetta top hat: scocca e interno dei veicoli con marchi ex Fca”, spiega Fabio Di Gioia della Fiom.
In questo quadro il 6 dicembre l’azienda si è seduta al tavolo istituito dal ministero delle Imprese e del Made in Italy per discutere con Regioni, sindacati e Associazione nazionale filiera industria automobilistica (Anfia) di “aumento dei livelli produttivi nel Paese, consolidamento dei centri di ingegneria e ricerca, l’investimento su modelli innovativi”.
Sono circa 12mila le persone che lavorano attualmente a Torino tra operai e addetti (4.140) nello stabilimento di Mirafiori e impiegati negli enti centrali. Negli anni Sessanta erano più di 60mila. Solo negli ultimi tre anni, le campagne di incentivo avrebbero portato all’uscita di quasi un migliaio di lavoratori
“Una questione di facciata, si cerca di spremere quel che resta fino all’ultima goccia -osserva Alessandro Volpi, docente di Storia contemporanea all’Università di Pisa- ma la strada è già tracciata”. La sua analisi non comprende solo la strategia industriale di Stellantis ma risale al “capostipite” e ai movimenti interni a Exor, azionista di maggioranza del gruppo automobilistico e casa madre degli affari della famiglia Agnelli. “Nell’ultimo biennio -continua Volpi, autore di numerose pubblicazioni e articoli sulle tematiche della storia economica- la holding ha seguito nuove strategie di impiego finanziario. La prima nel settore sanitario: 800 milioni di euro per l’ingresso nel gruppo francese Institut Mérieux e un impegno di 2,6 miliardi di euro in quello olandese Philips. Un secondo filone di investimento, invece, si è concretizzato nella creazione del ‘Lingotto investment management’, società che si impegna a fornire rendimenti a lungo termine, con tre miliardi di dollari impegnati al 31 marzo 2023”.
“Da parte degli Agnelli non c’è volontà di rilanciare l’automotive nel nostro Paese. Fa riflettere pensare ai miliardi erogati in incentivi negli scorsi anni” – Alessandro Volpi
La “Lingotto”, dopo aver annunciato l’assunzione dell’ex ministro delle Finanze del Regno Unito George Osborne e di James Anderson (big della finanza che ha lanciato, tra le altre, Amazon e Tesla) ha deciso di puntare sulle miniere d’oro acquistando, a fine giugno 2023, azioni della compagnia sudafricana Harmony Gold Mining per 104 milioni di dollari. Altri 62,6 milioni sono stati destinati alla Novagold, società canadese che ha riavviato le ricerche sui giacimenti in Alaska.
Le attività sono ovviamente diversificate: dalle quattro ruote (dieci milioni in Tesla e Carvana, tra le altre), al mondo farmaceutico con azioni in Teva (182 milioni), Veon (108) e Moderna (13), oltreché nella tecnologia (Schlumberger, Nvidia, Microsoft) e nel gas con 204 milioni investiti nella Range resources e nelle perforazioni offshore della texana Valaris (217 milioni). La vera partita si gioca così su altri campi, tutt’altro che verdi. “Stellantis rappresenta solo una pedina in questi movimenti -conclude Volpi- da parte degli Agnelli non c’è volontà di rilanciare l’automotive nel nostro Paese. Fa riflettere, oggi, pensare ai miliardi di euro erogati in incentivi negli scorsi anni da parte della classe politica per convincerli a rimanere”.
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