Diritti / Opinioni
A Gaza si combatte una guerra contro i bambini
Almeno 6.150 minori sono morti nella Striscia tra il 7 ottobre e fine novembre. Un’ipoteca generazionale senza paragoni recenti e che fa a pezzi il 75esimo anniversario della Dichiarazione universale dei diritti umani. L’editoriale del direttore, Duccio Facchini
Tra il 7 ottobre e la fine del 2023 nasceranno a Gaza circa 15mila bambini, “tutti ad alto rischio, a causa dell’escalation di violenza, senza un’adeguata assistenza medica nonché con una grave carenza di acqua e cibo”. L’ha denunciato a metà novembre Save the Children, sulla base dei dati delle Nazioni Unite, per i quali ogni giorno a Gaza partoriscono circa 180 donne, e che prendono in considerazione anche i tassi di parto multiplo nei Territori palestinesi occupati. “Il 15% delle donne che partoriscono rischia di avere complicazioni legate alla gravidanza o al parto”.
Nella Striscia quest’anno saranno nati più di 66mila bambini e 5.500 donne partoriranno a dicembre, “in un momento in cui la popolazione è tagliata fuori dai rifornimenti essenziali”. Mancano l’acqua pulita, il cibo, le medicine. “Le donne incinte o che allattano faticano a trovare cibo”. I bombardamenti israeliani hanno distrutto la gran parte dei 36 ospedali dell’area. I racconti sono terribili e fa male leggerli nel 75esimo anniversario della proclamazione della Dichiarazione universale dei diritti umani, approvata dall’Assemblea generale delle Nazioni Unite il 10 dicembre del 1948. Maha, parte del personale di Save the Children a Gaza, nel tempo sfollata a Sud ma che aveva trovato rifugio davanti all’ospedale di Al Shifa, ha raccontato quel che ha visto quando il carburante stava finendo: “Le scene negli ospedali erano orribili. Donne incinte nei corridoi che urlavano di dolore. Neonati non identificati nelle incubatrici, senza alcun familiare in vita. Il carburante è finito, sono dovuta scappare, non so se sono sopravvissuti”.
È una guerra contro i bambini che tocca troppe poche coscienze. Dall’11 novembre, dopo il collasso dei servizi e delle comunicazioni negli ospedali del Nord, il ministero della Sanità di Gaza non ha più aggiornato le cifre delle vittime (gli aggiornamenti sono ripartiti dopo giorni, ndr). Il bilancio riportato alle 14 del 10 novembre (l’ultimo aggiornamento fornito quando Altreconomia di dicembre è andata in stampa) era di 11.078 persone, di cui 4.506 bambini e 3.027 donne. Quattromilacinquecentosei: cioè più di tutti i bambini uccisi in conflitti armati a livello globale in più di 20 Paesi nel corso di un intero anno, negli ultimi tre anni. Altre 2.700 persone, tra cui circa 1.500 bambini, risultavano disperse, probabilmente intrappolate o morte sotto le macerie, in attesa di essere salvate o recuperate. E almeno 27.490 palestinesi sarebbero rimasti feriti. A fine novembre siamo arrivati a oltre 15mila morti di cui 6.150 bambini e 4.000 donne.
Poco più in là la Cisgiordania paga il prezzo dei fari puntati altrove: il 19 novembre le forze israeliane hanno ammazzato un uomo con disabilità durante un’operazione nel campo profughi di Jenin. Si è arrivati così a quota 200 palestinesi uccisi dalle forze israeliane nella West Bank, compresa Gerusalemme Est, dal 7 ottobre, tra cui 52 bambini. Con le ambulanze che non possono muoversi liberamente.
Uno osserva questo sfacelo, questa ipoteca generazionale, tutto questo dolore, e pensa ai “Considerato” del preambolo della Dichiarazione del 1948. “È indispensabile che i diritti umani siano protetti da norme giuridiche, se si vuole evitare che l’uomo sia costretto a ricorrere, come ultima istanza, alla ribellione contro la tirannia e l’oppressione”. Oppure: “Il disconoscimento e il disprezzo dei diritti umani hanno portato ad atti di barbarie che offendono la coscienza dell’umanità”. E ancora: “L’avvento di un mondo in cui gli esseri umani godano della libertà di parola e di credo e della libertà dal timore e dal bisogno è stato proclamato come la più alta aspirazione dell’uomo”. Quanto ancora vogliamo scavare?
Intanto il 19 novembre un ennesimo attacco aereo israeliano ha colpito a un chilometro di distanza dal Nasser Hospital di Khan Younis, dove opera una squadra di Medici Senza Frontiere. In 122 sono arrivati in pochi minuti all’ospedale. Settanta sono morti poco dopo l’arrivo, mentre decine di feriti, tra cui molti bambini, sono stati ricoverati in condizioni critiche e con gravi ustioni. Nel reparto per ustionati i chirurghi effettuano dieci interventi al giorno.
Questo numero di Altreconomia è dedicato alla memoria di Piero Basso. Fisico, impegnato nella politica “alta” e nella società. Intellettuale e attivista meraviglioso. È scomparso a Milano a novembre ma è vivo nei ricordi di chi ha avuto la fortuna e il privilegio di incontrarlo. Ciao Piero
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