Ambiente / Intervista
Egle Oddo. Contiene tracce di terra
Il suolo sostiene la vita sulla terra, porta memoria di ciò che è stato e definisce il nostro futuro. La ricerca di un’artista, in un intreccio tra metodo umanistico e scientifico, tra il sapere tecnico degli scienziati e quello pragmatico dei contadini
Il progetto artistico di Egle Oddo in corso si chiama “It May Contain Soil”, un richiamo alla frase che si trova sulle confezioni dei cibi trasformati o processati, quel “può contenere tracce di…” che normalmente rimanda a possibili allergie: qui invece fa riferimento alla terra. “Lo uso in modo speculare ma al contrario, perché tutto ciò di cui ci nutriamo contiene qualcosa che ha a che fare con la terra, con i suoli, se vogliamo usare il plurale”, spiega Oddo, che è nata in Italia nel 1975 ed è diplomata all’Accademia di Belle Arti di Palermo. Oggi vive e lavora a Helsinki, supportata nella sua ricerca dalla Fondazione Culturale Finlandese.
Quando e come è nata l’esigenza di confrontarsi con il tema della fertilità del suolo?
EO Ho lavorato con i semi delle piante per molti anni: concentrata sul regno vegetale, non davo grande importanza alla terra, che consideravo come il substrato necessario alla loro crescita. Con il tempo, la consuetudine stessa con le piante, l’osservazione e la contemplazione della loro vita e delle loro relazioni, mi ha insegnato che il suolo e le terre non sono un elemento inerte, ma costituiscono una comunità, un’identità collettiva che si forma all’intersezione tra i corpi nomadi degli animali, degli insetti, delle piante, e il corpo minerale del Pianeta. Come il sangue al corpo, la terra è collegata alle piante che si muovono e vivono attraverso la costruzione di architetture perfettamente sostenibili. I loro corpi costituiscono allo stesso tempo sostegno, riparo, rete di comunicazione e scambio per quelli di altre piante, in un’interdipendenza intricatissima e altamente funzionale.
Il risultato di questa perfezione architettonica è la terra: un elemento vivo, duttile, mobile, costituito dai corpi delle piante sbriciolati, dall’enorme biomassa dei batteri, dei funghi e degli altri microorganismi che la popolano, e dalle crete, sabbie e schegge minerali che fungono da scheletro. Non a caso chiamo architettura l’espressione spaziale delle piante, poiché la considero un oggetto culturale: l’esperienza mi porta a pensare che esista una cultura vegetale che ci sovrasta nella sua impercettibile onnipresenza.
Qual è stata l’importanza di approfondire i temi legati al suolo dialogando con pedologi, urbanisti, geologi, contadini?
EO Sono curiosa e il metodo scientifico mi affascina come quello umanistico. Il mio metodo creativo mutua elementi da diverse discipline e ho trovato grande apertura in molti scienziati che hanno dialogato con me mettendo a disposizione il loro sapere e i dubbi. Le scienze che studiano il suolo spesso confinano la sua comprensione entro una definizione standard, descrivendolo come un corpo naturale composto da solidi, liquidi e gas che si trovano sulla superficie terrestre, caratterizzato da strati distinguibili. Recentemente l’uso dei dati sul suolo, prima concentrato sulle applicazioni agricole, si è ampliato e ha compreso anche la pianificazione dell’uso del territorio, l’ambiente, la sicurezza alimentare, idrica ed energetica e la salute umana. I suoli sono corpi naturali che esistono in una dimensione sia spaziale che temporale, si formano attraverso processi biogeochimici e fisici complessi, sostengono la vita del Pianeta e possono essere mappati su scale appropriate. Secondo J. G. Bockheim il suolo è un mezzo per la crescita delle piante, un mantello di roccia sciolta che si altera, un corpo indipendente, naturale, evolutivo.
“Come il sangue al corpo, la terra è collegata alle piante che si muovono e vivono attraverso la costruzione di architetture perfettamente sostenibili”
Il terreno è la pelle eccitata della parte subaerea della crosta terrestre, componente chiave della biosfera, e dunque anche per la geologia e la pedologia le piante e il suolo in qualche modo si appartengono. Salvatore Ceccarelli è stato il primo a parlare del fatto che senza un approccio relazionale e locale, una selezione genetica delle piante omogeneizzata può essere distruttiva sia per l’ambiente sia per l’essere umano, mettendo in pericolo salute e fertilità dei suoli. Anna Scialabba mi ha guidato nel mondo della botanica, illustrandomi la ricchezza costituita dalle varietà e dalle popolazioni, legate all’individualità di un suolo specifico che in parte le ha generate. Molto spesso i contadini mi hanno elargito le loro storie migliori, fatte di lunghe osservazioni, di tantissime rinunce e di amore per il loro lavoro, in questo sono simili ai medici. Nella loro conoscenza pragmatica risiede tutta la sostenibilità della nostra sicurezza alimentare. L’esproprio dei loro saperi negli ultimi decenni di agricoltura industriale costituisce una perdita incalcolabile.
In che modo lo sviluppo del suo progetto artistico è stato arricchito dal contatto diretto con aziende agricole?
EO Il mio lavoro artistico è influenzato da creature, persone, elementi, esperienze, sinergie. Nel caso di Sequerciani Arte Clima, ho fatto la mia prima visita nel 2022 e sono rimasta affascinata dal fatto che il proprietario Ruedi Gerber avesse avuto la lungimiranza di invitare i curatori Burki & Li a instaurare nella sua azienda agricola una residenza artistica, elevandone la funzione e creando una circolarità economico-culturale coerente. Attraverso il dialogo con Burki & Li, eccezionali nell’originalità del loro metodo curatoriale che mette gli artisti nelle condizioni migliori per creare, ho potuto entrare in contatto con le terre metallifere della regione e con il paese di Tatti (GR). Grazie all’ospitalità di Sequerciani Arte Clima ho trascorso una settimana osservando molteplici atti di cura che persone concrete dedicavano quotidianamente al luogo. Ero immersa nell’architettura del paesaggio disegnata da Dee Paul, che vedevo al mattino iniziare le sue ricognizioni e tornare al suo studio con piccoli gusci d’uovo, il corpo di un magico insetto, gemme e foglie, che posava sul tavolo prima di mettersi a scrivere o a disegnare.
Il 5 dicembre è la Giornata mondiale del suolo. L’iniziativa delle Nazioni Unite e della Fao ha lo scopo di aumentare la consapevolezza sulla sua importanza per la vita umana
Il coreografo e danzatore Frank Hatch ci ha regalato un laboratorio sulla cibernetica comportamentale. Mentre lavoravo alla performance, lui sedeva sulla panca di legno accanto a me, leggero come i volumi d’aria tra il fogliame, e parlavamo in silenzio. Il cibo cucinato con ingredienti locali da Zhenhua Li faceva sobbalzare l’allegria in petto mentre lo si mangiava. Le intense chiacchierate con Marianne Burki, la risata fresca di Giada Breschi, la notte sottotitolata dal canto delle rane e dal calpestio dei cinghiali. Ogni dettaglio ha contribuito a modo suo a creare un clima. Il clima necessario per una residenza artistica.
Durante la residenza artistica ha avuto modo di offrire al pubblico una performance, “Insaturo”, nel corso della quale è emersa da un mucchio di terra: che cosa ha voluto rappresentare?
EO La performance al contrario del teatro non rappresenta, non ha personaggi, non si basa sulla linearità. Ho creato “Insaturo” con e per mio figlio. Forse parla della necessità di aprirsi e fare spazio, in un mondo saturo.
Nel corso della performance ha messo la terra in mano al pubblico: qual è il messaggio condiviso attraverso questo gesto?
EO A un primo sguardo si potrebbe dire che delega loro la responsabilità di proteggerla e di amministrarla, che garantisce loro un possesso e una gestione della cura. Ma in realtà il messaggio arriva dopo. La frase biblica “ricordati che sei polvere e polvere ritornerai” mette tutto in prospettiva. Se il nostro corpo è fatto di terra, allora tenere la terra in mano è come reggere uno specchio? O è una finestra attraverso la quale possiamo estendere le nostre membra, moltiplicarci e percepire oltre i limiti dell’immaginazione?
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