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“Io Capitano” può essere definito un bel film. Ma è un’occasione mancata

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Fattura, interpretazioni e pathos non si discutono. E tuttavia il film di Matteo Garrone sul più grande scandalo del nostro tempo non convince. Non affonda il colpo e resta privo di spessore politico, omettendo di denunciare i responsabili di un sistema che semina ingiustizia e morte. La recensione di Lorenzo Guadagnucci

Io Capitano” può essere definito un bel film: per come è realizzato, per la qualità delle interpretazioni, per il pathos che trasmette e anche perché getta un fascio di luce su uno dei grandi scandali del nostro tempo, la scelta compiuta dalle democrazie europee di “lasciar morire” migliaia di persone ai propri confini.

E tuttavia il film di Matteo Garrone non convince. “Io Capitano” racconta l’avventura di due giovanissimi senegalesi lungo la rotta che attraverso il deserto porta alla Libia e poi all’Italia, e mostra le tragedie che vivono o almeno sfiorano, tra vessazioni, torture, vite perdute e abbandonate; eppure alla fine si esce dal cinema sollevati. Sollevati perché alla fine i “nostri eroi” ce la fanno e perché l’Italia vi compare come terra promessa; dunque un “bel film” che mostra alcune brutture ma non scuote e non turba più di tanto. Un film consolatorio.

I “cattivi” del film sono i trafficanti che affittano auto, pullman, barche a prezzi esorbitanti, e poi i poliziotti e i miliziani che picchiano, umiliano, torturano ed estorcono denaro, ma “Io Capitano” non mette a fuoco il nodo politico della questione e anzi rischia -involontariamente- di legittimare la falsa narrazione sulla “tratta dei migranti”, cioè l’idea che gli “scafisti” e i “trafficanti” siano i responsabili degli “sbarchi” e della presunta “invasione”, insomma la retorica politico-mediatica prevalente.

Matteo Garrone, in verità, è personalmente lontano da questa rappresentazione e nelle interviste sostiene la necessità di istituire canali di ingresso legale in Europa per tutti, ma il suo film manca di mettere a fuoco questo punto e quindi non affonda il colpo. “Io Capitano” resta quindi privo di spessore politico, omette di denunciare i veri responsabili del “sistema” che semina ingiustizia e morte, tra i quali ci siamo anche noi spettatori, in quanto cittadini di Paesi che di fatto sostengono quel “sistema”.

Il regista ha precisato che il suo intento era semplicemente raccontare una storia mettendosi nell’ottica degli “altri”, cioè i ragazzi in viaggio verso l’Europa, e questo ha fatto, ma intanto “Io Capitano” può essere definito “un bel film” da chiunque, anche da chi finge di non sapere che il deserto nordafricano e il mare Mediterraneo sono diventati dei grandi cimiteri a cielo aperto per “nostra” scelta. Sono le democrazie europee, con le loro “politiche sull’immigrazione”, come sono ipocritamente chiamate, a sostenere i trafficanti, gli scafisti, le milizie che lucrano sulle “vite di scarto” che devono rimanere fuori dai confini dell’Unione. Io Capitano” può essere definito un bel film, ma è certamente un’occasione mancata.

Lorenzo Guadagnucci è giornalista del “Quotidiano Nazionale”. Per Altreconomia ha scritto, tra gli altri, i libri “Noi della Diaz” e “Parole sporche”

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