Crisi climatica / Approfondimento
L’emergenza dimenticata degli incendi nelle foreste africane
Angola e Repubblica Democratica del Congo sono i Paesi più colpiti dai roghi ma mancano strategie di prevenzione adeguate. Un sondaggio promosso da Climate social forum e The Last20 indaga gli impatti sulla popolazione
Sono impressionanti le immagini di New York avvolta da una nuvola di cenere, con la Statua della Libertà oscurata come fosse entrata in un’eclisse di sole. Allo stesso tempo queste immagini ci dicono che nessuno si può chiamare fuori perché il cambiamento climatico -insieme all’abbandono delle terre e allo spopolamento delle aree forestali- sta causando disastri come quello che, ai primi di giugno, ha colpito le grandi foreste canadesi al confine con gli Stati Uniti.
Se si va a guardare la mappa della Nasa relativa agli incendi che hanno interessato il nostro Pianeta nel 2021 scopriamo che l’area più colpita è l’Africa sub-sahariana seguita da Amazzonia, California e Siberia. Ed è davvero incredibile la scarsa o nulla informazione rispetto agli incendi che interessano il continente africano dove, nel 2021, la superficie forestale percorsa dal fuoco è stata pari a quasi il 50% del totale a livello globale. E non si è trattato di un anno eccezionale.
Da almeno un decennio, infatti, un numero impressionante di incendi sta silenziosamente bruciando le foreste di Angola e Repubblica Democratica del Congo. Nel bacino del fiume Congo -che ospita la seconda foresta pluviale più grande al mondo, ma non ha l’appeal dell’Amazzonia- si sono registrati solo nel 2021 oltre tremila incendi.
Certo, l’uso del fuoco ha un’antica tradizione in diverse aree agro-pastorali del Pianeta e soprattutto nelle zone tropicali è stato tradizionalmente utilizzato per accrescere la superficie coltivabile. Ma l’aumento della popolazione e la sua pressione sulle risorse, sia da parte dei pastori sia dei contadini, ha rotto l’equilibrio nel rapporto tra uomo e ambiente, facendo degenerare una pratica sociale che ha una lunga storia alle spalle. Il cambiamento climatico non ha fatto altro che rendere ancora più grave questa situazione.
“Da almeno un decennio un numero impressionante di incendi sta silenziosamente bruciando le foreste di Angola e Repubblica Democratica del Congo”
Se per il pronto intervento si investisse un decimo di quanto si spende per la spesa militare si riuscirebbe a ridurre il fenomeno entro limiti tollerabili. Certo, bisogna distinguere tra piccoli e grandi incendi che colpiscono vaste aree forestali, come nell’Africa centrale, in Siberia e Australia. In Europa dobbiamo fare i conti soprattutto con i cosiddetti “piccoli incendi” e basterebbe un presidio attento del territorio per spegnere immediatamente le fiamme quando si innescano.
Metà della superficie boscata distrutta dagli incendi a livello globale nel 2021 si trova in Africa. A essere colpita è soprattutto la foresta pluviale del bacino del Congo
C’è un proverbio francese che recita più o meno così: quando parte il fuoco dopo dieci secondi basta un bicchiere d’acqua, dopo un minuto ci vuole un secchio, dopo un’ora i pompieri. In sostanza è la velocità con cui si interviene che è decisiva. Come è stato altre volte raccontato, in passato nel parco nazionale dell’Aspromonte, nel Pollino e in altri parchi nazionali e regionali la gestione del territorio è stata affidata a realtà del terzo settore con contratti di “responsabilità territoriale”, in base ai quali veniva assegnato un contributo economico in ragione inversa alla superficie bruciata.
Meno terreno andava perso a causa delle fiamme, più la cooperativa o l’associazione veniva premiata. Gli incendi non si possono prevedere, ma si possono spegnere sul nascere. Ed è quanto facevano un tempo gli agricoltori.
Il problema in gran parte dell’Europa mediterranea è che vaste aree interne sono state abbandonate e non c’è più chi presidia il territorio: per questo ha funzionato quello che è stato chiamato “il modello Aspromonte”. Che però non era apprezzato dalla lobby dell’antincendio: il business delle società private che gestiscono elicotteri e canadair. Non è un caso quindi se è stato abbandonato. Il controllo del territorio è più difficile quando si tratta di vaste foreste disabitate o scarsamente popolate.
“Nella previsione dei grandi incendi gli scienziati hanno lo stesso successo che in campo sismologico”, scrive Mark Buchanan nel suo saggio “Ubiquità” (Mondadori, 2023), ma questo non significa che non bisogna investire in studi e ricerche finalizzate a trovare le soluzioni più adatte ai diversi contesti. Se pensiamo a un nuovo mix di uomini e mezzi tecnici (come i droni) che possono presidiare il territorio anche a distanza di molti chilometri, crediamo che un serio contrasto si possa organizzare con successo. E dovrebbe essere una priorità per risparmiare tante vite e contrastare il cambiamento climatico: questa crescita esponenziale degli incendi aumenta la quantità di CO2 nell’atmosfera, diminuisce la capacità di assorbimento che svolgono le piante, e quindi fa aumentare lo squilibrio dell’ecosistema con il conseguente aumento delle temperature, dei periodi di siccità e delle alluvioni sempre più frequenti.
“Nella previsione dei grandi incendi gli scienziati hanno lo stesso successo che in campo sismologico” – Mark Buchanan
Il circolo vizioso ci ha reso familiari gli eventi estremi e rischia di coinvolgerci in maniera irreversibile se non verrà messo in atto un netto cambio di rotta, che in questo momento però non si vede. Anzi, avviene in direzione contraria a quella che doveva essere, prima della guerra in Ucraina, la cosiddetta transizione ecologica.
Il Climate social forum (Csf) in collaborazione con la piattaforma The Last20 ha condotto un sondaggio tra gli attivisti e i giovani di una parte del mondo, in particolare africani, per capire la percezione sulle cause e sugli impatti degli incendi boschivi. Il sondaggio è stato diffuso attraverso le varie reti di cui il Climate social forum è parte, e tramite un meccanismo peer to peer passando attraverso leader di comunità, coordinatori di gruppi locali. Nella prima tornata sono state ottenute 41 risposte da diversi Paesi.
Tra i partecipanti, l’81% dichiara di aver avuto esperienza di wildfires (roghi incontrollati) e per il 48% più di cinque volte. Esplorando la percezione sulle cause degli incendi, anche in relazione al legame con il cambiamento climatico il 90,2% ritiene che questi due fenomeni siano interconnessi tra loro. Questo elemento risulta molto interessante in quanto dal sondaggio emerge una percezione e un’associazione diffusa tra incendi e crisi climatica.
Il 90% dei partecipanti al sondaggio del Climate social forum secondo cui gli incendi e il cambiamento climatico sono interconnessi tra loro
Sicuramente questo dato va tarato sul bacino a cui il sondaggio è stato somministrato, ma denota come nella base sociale, soprattutto africana, la consapevolezza della crisi climatica e dei suoi effetti risulta diffusa. Ancora più interessante è la domanda su “Come è vista questa connessione” riferita al cambiamento climatico, effettuata tramite una domanda aperta. Quello che spicca è l’associazione con l’aumento della temperatura che appare come quella più diretta nel legame clima-incendi. Inoltre emergono anche commenti che riportano anche le motivazioni di una non casualità percepita. In alcune risposte appare anche il legame tra cambiamento climatico e suolo in relazione alle attività agricole.
“Quello che soprattutto è urgente è far conoscere la dimensione del fenomeno che colpisce la seconda foresta tropicale più importante del mondo”
C’è ancora molto da capire nella relazione tra aumento delle superfici bruciate e cambiamenti climatici, così come sul ruolo delle guerre e dei conflitti nel moltiplicare le aree percorse dagli incendi. Quello che soprattutto è urgente è far conoscere la dimensione del fenomeno che colpisce la seconda foresta tropicale più importante del mondo e soprattutto pensare seriamente a interventi di prevenzione e pronto spegnimento. La cooperazione internazionale ha finora ignorato questo fenomeno: è arrivata l’ora della sveglia.
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