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Bilanci in Comune – Ae 49
Numero 49, aprile 2004Da Porto Alegre all'hinterland milanese: Pieve Emanuele è il primo Comune d'Italia a dotarsi di uno statuto che vincola la giunta all'approvazione di un bilancio “partecipativo”. Sono le assemblee pubbliche a indicare le priorità. Un esempio di…
Numero 49, aprile 2004
Da Porto Alegre all'hinterland milanese: Pieve Emanuele è il primo Comune d'Italia a dotarsi di uno statuto che vincola la giunta all'approvazione di un bilancio “partecipativo”. Sono le assemblee pubbliche a indicare le priorità. Un esempio di democrazia “dal basso” che può funzionare. Senza però farne un mito: la partecipazione è un processo faticoso e lento
Il passato di Pieve Emanuele è un quartiere fantasma. Centro direzionale nato dal business delle licenze edilizie, figlio di Tangentopoli. Una manciata di palazzoni in vetro e cemento costruiti negli anni Ottanta e mai utilizzati. Oggi restano qui, abbandonati e cadenti, come una cicatrice, un monito. Adesso, a Pieve, l'alternativa si chiama partecipazione, una strada lunga e un bel po' in salita, di cui però si iniziano a vedere i risultati.
In questo paesone dell'hinterland milanese -che dalle inchieste giudiziarie dei primi anni '90 è uscito con le ossa rotte e la giunta azzerata- il bilancio partecipativo ha terminato la fase sperimentale per diventare parte dell'ossatura stessa del Comune. È un vero e proprio evento: Pieve Emanuele è il primo Comune in Italia ad aver approvato, poche settimane fa, un nuovo statuto comunale che istituzionalizza il bilancio partecipativo, riconoscendo di fatto ai cittadini il potere di indicare come spendere una parte delle risorse economiche dell'Amministrazione. Un'esperienza che si affianca a quella ormai famosa di Grottammare, in provincia di Ascoli Piceno (ne abbiamo parlato su Ae n. 28), o del Municipio XI di Roma, e che richiama, anche se con percorsi e modalità diverse, la brasiliana Porto Alegre.
A Pieve il primo bilancio partecipativo è proprio quello relativo all'anno in corso, un documento nuovo non solo perché mette nero su bianco alcune dei bisogni espressi dai cittadini stessi (dopo oltre un anno di assemblee, discussioni, tavoli di lavoro, confronti con l'amministrazione comunale), ma anche per le modalità utilizzate. I risultati: la futura stazione ferroviaria, le piste ciclabili, ma anche interventi più ordinari, come la sistemazione della viabilità.
Frutti nati sulle ceneri di Tangentopoli. Un'onda che, nel 1992, ha travolto i politici locali in carica, sindaco e assessori Pci-Psi accusati, tra l'altro, della mazzetta da un miliardo e trecento milioni di lire (oltre 670 mila euro) che Paolo Berlusconi pagò per la realizzazione di un golf club nella zona.
Comune commissariato ed elezioni vinte, due anni dopo, da una lista di centrosinistra, che andava da Rifondazione Comunista ai Popolari. Esordienti: “C'è voluta una buona dose d'incoscienza” ammette Salvatore Amura, oggi assessore alla Partecipazione e tra i principali motori del cambiamento in atto. “Eravamo tutti giovani, io avevo 21 anni, non eravamo professionisti della politica”. Ecco perché, dice, “per noi la partecipazione era anche un'esigenza”: di confronto con la popolazione, di ricerca di vie nuove. Per i cittadini un cammino, difficile, per riacquisire fiducia nella classe politica: “Pieve è sempre stato un posto problematico: luogo di confino per 400 famiglie di malavitosi negli anni '70, paese di periferia sfruttato e corrotto”. Speculazione edilizia (che ha portato la popolazione da 3 mila a 16 mila abitanti nel giro di 25 anni), quartieri dormitorio nati dal nulla. Come i casermoni grigi di via dei Pini o il Residence Ripamonti occupato quasi esclusivamente da agenti di polizia e guardie penitenziarie che, in virtù di una convenzione con il ministero degli Interni, vivono, anche loro, confinati dentro uno degli oltre 800 appartamenti di quest'enorme edificio a mezzaluna.
Panorama desolante: “I quartieri erano abbandonati, scollegati tra loro, mancavano politiche sociali e culturali, le scuole erano inagibili”. Inizia l'esperimento: nel 1995 lo statuto comunale viene modificato per permettere ai cittadini di partecipare alle commissioni consiliari come membri permanenti e tre anni più tardi arriva la progettazione partecipata per la ristrutturazione delle scuole.
Nel 2002 il secondo Forum sociale mondiale a Porto Alegre segna la svolta. Il Comune di Pieve vi partecipa, sottoscrive la Carta del Nuovo municipio (vedi box) che viene presentata proprio in Brasile: “Poi siamo tornati a casa, abbiamo detto: ok, partiamo”. Le cose, però, iniziano a farsi impegnative: “Con il bilancio diventa tutto più difficile, in primo luogo spiegarlo ai cittadini”. Che oltre ai bei discorsi sulla democrazia “dal basso” hanno bisogno poi di risposte concrete. Il progetto viene battezzato Pieve Alegre, nasce l'ufficio Partecipazione e viene avviata una prima consultazione tra le famiglie tramite questionari. Termometro della situazione: alla domanda su come applicare la partecipazione all'attività del Comune, solo il 9% delle schede indica “la decisione sui servizi e sulle strutture” e ancora meno (il 6%) la “politica delle entrate e delle uscite”. Segno che i cittadini fanno fatica a concepire “un meccanismo di intervento diretto sulla politica economica del comune”.!!pagebreak!!
Da qui il progetto di Bilancio partecipativo parte seguendo uno schema articolato in tre cicli. Tra marzo e giugno l'emersione del bisogno: si analizzano le indicazioni raccolte tra gli abitanti con altri questionari, viene costruita una “griglia delle priorità”, sottoposta poi alle assemblee pubbliche che, tra tutte, ne scelgono 7 cittadine e 15 di quartiere. Il periodo tra settembre e dicembre viene dedicato ai tavoli di progettazione e alla verifica della fattibilità, soprattutto rispetto alle risorse economiche. Il pacchetto di priorità torna alle assemblee dei cittadini, chiamati a votare per quelle che considerano più urgenti.
A questo punto la giunta sceglie cosa effettivamente inserire in bilancio, dandosi delle percentuali (minime e progressive) da rispettare: il primo anno almeno il 33% delle priorità, il secondo il 66%, dal terzo in poi il 75%. Nell'ultimo ciclo (gennaio-febbraio) si tirano le fila, con presentazione pubblica del lavoro svolto.
In tutto questo, uno degli elementi nuovi è che ai partecipanti non viene chiesto di esprimere preferenze su decisioni “preconfezionate” dalla giunta. Al contrario, i cittadini sono promotori attivi delle proposte.
“E questo è dirompente -conferma Andrea Calori, ricercatore del Politecnico di Milano ed esperto di partecipazione- perché, come a Porto Alegre, incide direttamente sul meccanismo della democrazia. Si tratta di dare potere decisionale a chi di solito è escluso da questi processi in mano alle amministrazioni pubbliche”.
Alla fine del percorso, a Pieve Emanuele nel bilancio di previsione 2004 sono finite 3 priorità cittadine e 6 di quartiere, ben oltre il “requisito minimo” fissato per il primo anno. Tradotto in cifre fa oltre 2 milioni di euro su quasi 7 dedicati agli investimenti, per un bilancio comunale che, nel complesso, è di 25,7 milioni di euro. In cima alla lista la realizzazione di una stazione ferroviaria, che permetterà ai pendolari pievesi (lavoratori e studenti in particolare) di accorciare di molto i loro tragitti quotidiani verso Milano; una prima tranche dei lavori è finita in bilancio con un impegno di spesa di 300 mila euro. C'è da dire che in questo caso l'accordo tra il comune e la Regione è arrivato dopo ben otto anni di trattative.
A seguire, tra le altre priorità, la realizzazione di piste ciclabili per collegare i quartieri e il prolungamento dei percorsi già esistenti verso i comuni limitrofi (250 mila euro in tutto). E poi opere di quartiere, dalla “messa in sicurezza” del sistema viario alla riqualificazione dell'arredo urbano e del verde o l'introduzione di giochi per i bambini nei giardini pubblici.
Così il bilancio partecipativo diventa un tassello (corposo) di un processo culturale più ampio, in corso da tempo, che passa per esempio attraverso il rimodernamento della biblioteca pubblica (oggi aperta anche quattro sere alla settimana grazie ad un gruppo di studenti-volontari, e diventata uno dei pochi punti di ritrovo per i giovani), per il concorso di cortometraggi cinematografici dedicato a Massimo Troisi (www.pievecortoconcorso.org) o, addirittura, attraverso il codice di condotta che Pieve Emanuele sta scrivendo con altri Comuni dell'area a sud di Milano e che regolerà i rapporti con le aziende partner delle amministrazioni, per selezionare, spiega Amura, “solo quelle con una filiera chiara, che possano fornire un certo tipo di garanzie etiche”. Una cultura nuova e globale, perché alla fine “la vera scommessa della democrazia partecipativa, da noi e in Occidente in genere, è la formazione di una cittadinanza presente e attiva nelle scelte che la riguardano”.!!pagebreak!!
Senza consenso dei cittadini il bilancio non si approva
Il primato di Pieve Emanuele è un documento di 52 pagine: il nuovo statuto comunale che, per la prima volta in Italia, vincola la giunta all'approvazione di un bilancio che sia anche “partecipativo”. Un lavoro che ha richiesto mesi, approvato a gennaio, e che riscrive le regole per il funzionamento della macchina amministrativa. Per la prima volta compare una sezione (il Capo II) espressamente dedicata al bilancio partecipativo: il Comune, si legge, “individua nella partecipazione dei suoi cittadini alla vita politica e sociale e alle relative dinamiche decisionali un valore”. Per questo alle assemblee di quartiere viene riconosciuto “il diritto di definire le priorità da inserire nel bilancio di previsione del Comune” ovvero, in altre parole, conferisce alle assemblee “il potere di indirizzare le priorità e non più poteri meramente consultivi”. Gli aspetti più tecnici -come la definizione delle percentuali di priorità da inserire in bilancio- vengono definiti dall'apposito Regolamento per l'applicazione del bilancio partecipativo. Dopo questo passo, conferma Salvatore Amura, il Comune è vincolato: “Se non si rispettano le priorità decise con i cittadini, il bilancio non viene approvato”. Una voce dello statuto è dedicata anche a stranieri e apolidi, cui è garantito il diritto alla partecipazione, purché residenti nel comune e iscritti all'anagrafe da almeno tre anni. Inoltre, in Consiglio comunale sarà presente “una rappresentanza di cittadini stranieri con diritto di parola ma non di voto”.
Porto Alegre ovvero “la riprogettazione come apertura delle sedi istituzionali”
“La partecipazione, va detto, non è una novità”. Andrea Calori, ricercatore del Politecnico di Milano, è tra gli autori della Carta del nuovo municipio. Architetto, urbanista, la partecipazione è il suo pane quotidiano: “I Paesi anglosassoni la sperimentano da decenni -spiega-, si pensi all'advocacy planning, nata negli anni '60 nata soprattutto come supporto alle minoranze, o alla progettazione partecipata portata avanti da anni da molti studi di architettura”.
Con Porto Alegre, però, le cose cambiano: “Esplode un altro aspetto: la riprogettazione come apertura delle sedi istituzionali”. La città brasiliana, capitale dello Stato del Rio Grande do Sul, pratica il bilancio partecipativo dal 1989. Un'esperienza che, collocandosi poco dopo la dittatura militare, diventa una “scuola di democrazia”.
La città (grande più o meno quanto Milano) è stata divisa in 16 settori, per facilitare la partecipazione, a cui si affiancano sei “strutture tematiche”: organizzazione della città e sviluppo urbano, circolazione e trasporti, salute e assistenza sociale, educazione, cultura e tempo libero, sviluppo economico e tassazione. Semplificando: il processo è organizzato in due grandi cicli di riunioni plenarie e in una fase intermedia. Durante il primo si verificano gli investimenti realizzati nell'anno precedente e si decidono le priorità di spesa per il nuovo anno. Segue una fase intermedia con assemblee di comunità, quartiere o microregione per discutere delle priorità, che vengono successivamente votate. Nel secondo ciclo di plenarie si consegna al Comune l'elenco delle priorità approvate e si eleggono i consiglieri del bilancio partecipativo, che elaboreranno la Proposta di piano degli investimenti che contribuirà alla formazione del bilancio vero e proprio da approvare (o emendare) durante il consiglio comunale. Nei primi anni, il bilancio partecipativo a Porto Alegre coinvolgeva poche centinaia di persone, che sono aumentati nel tempo arrivando, nel 2001, a 45 mila complessive nei due cicli di plenarie. Info: www.portoalegre.rs.gov.br !!pagebreak!!
I nuovi municipi hanno la loro rete
Le autorità che “partecipano” adesso hanno anche la loro associazione. Fondata lo scorso autunno, l'Associazione rete del nuovo municipio raccoglie il lavoro iniziato due anni fa con la presentazione della Carta del Nuovo municipio al Forum sociale di Porto Alegre. Il documento -elaborato da docenti e ricercatori universitari- fissa i principi generali delle nuove esperienze di democrazia diretta, attivate da quei “nuovi municipi” che coinvolgono la popolazione nei processi decisionali. L'Associazione si configura come laboratorio e tavolo di confronto tra le realtà locali, cercando di coordinarle con le associazioni e movimenti.
Per passare dalla teoria alla pratica, si è dotata di una Carta d'intenti che sottolinea come il nuovo municipio debba adottare “forme di bilancio partecipativo” riferite a un modello, ma nel rispetto delle peculiarità locali. www.carta.org/cantieri/nuovomunicipio
Giovanni Allegretti: “Quelli che ci provano e poi si stancano”
Le tentazioni del mito unico
Va bene Porto Alegre, ma attenti al mito: “Potrebbe uccidere la partecipazione”. Traccia linee nette Giovanni Allegretti, docente di Gestione urbana all'Università di Firenze e attento studioso di Porto Alegre, a cui ha dedicato diverse pubblicazioni. Il bilancio partecipativo, dice, non si può esportare e applicare acriticamente. Di più: a volte è addirittura inutile.
Lontani da Porto Alegre dunque?
Non mi interessa, anzi mi innervosisce chi tenta di applicare dei modelli o un marchio, perché facendolo si suicida. L'esperienza di Porto Alegre va contestualizzata, non può essere riprodotta ovunque così com'è. Sarebbe bello se potessimo averla come orizzonte di riferimento sereno, ma non è possibile perché da noi è stata introdotta male, da una parte della società civile molto ideologizzata. Di conseguenza, adesso chi sente parlare di bilancio partecipativo crede che tu voglia anche cambiare il modo di fare politica. Rischiamo di essere troppo sbilanciati in questo senso mentre si dovrebbe puntare di più a un equilibrio tra aspetti politici e aspetti tecnici.
Insomma la partecipazione brasiliana non è un modello universale…
Partecipazione per me significa costruire uno spazio pubblico dove si discute di necessità e sogni di natura sia privata che pubblica, in modo trasparente, da cui i soggetti coinvolti escono diversi da come sono entrati. Ma a parte questo non si può definire una partecipazione “ideal-tipica”, i modi per attuarla possono essere diversi. Serve comunque una grande caparbietà, perché i risultati si vedono dopo anni. All'inizio la partecipazione è molto bassa, anche meno dell'1 per cento sul totale degli abitanti, così spesso le amministrazioni comunali ci provano per un paio d'anni e poi lasciano perdere. Ma il bilancio partecipativo funziona solo se sei testardo, e vai avanti. A Porto Alegre il primo anno erano in 500 su una popolazione di un milione e 300 mila persone.
E, a parte la testardaggine, su cosa deve puntare e cosa deve evitare un Comune ai primi passi?
Intanto io non userei neanche il termine “bilancio”. Agli occhi della cittadinanza ha un'immagine specialistica e, di conseguenza, noiosa. Bisognerebbe cambiare terminologia, parlare magari di “elenco delle priorità partecipative”. Poi bisogna evitare di rinchiudere questa esperienza dentro formule rigide, perché si rischia di burocratizzarla mentre, nel frattempo, la società si evolve, cambia. Io dico sempre che ci vogliono regole rigidissime all'interno di un periodo di tempo prestabilito, al termine del quale ci deve essere lo spazio per rivedere e aggiustare il meccanismo che deve comunque restare flessibile. Infine, prima di entrare nel vivo del processo, andrebbe fatta una sorta di pre-sondaggio, per individuare i temi scottanti, e poi chiedere ai cittadini su quali di questi si vuole lavorare.
Nel suo ultimo libro scrive che il bilancio partecipativo è solo uno degli strumenti per “stimolare un senso attivo di cittadinanza”.
Sì, serve a mettere in moto energie diverse, ma non significa che la modalità debba sempre essere questa. Pieve Emanuele -per esempio- l'ha capito, perché non mette l'accento tanto sulla votazione delle priorità, quanto sul confronto, sulla ricerca comune delle risposte. È stata colta l'essenza del bilancio partecipativo, che è quella di valorizzare energie latenti.
Ma lei si spinge oltre, arrivando a dire che il bilancio partecipativo non è sempre utile.
È vero, perché è un'esperienza particolare di partecipazione, che funziona solo dove se ne registra la necessità. In Brasile ha senso intervenire su un documento economico, perché in quel contesto c'è la necessità di una redistribuzione delle risorse. Non è un caso che là a partecipare siano soprattutto le fasce più povere della popolazione. Senza di loro questo processo oggi sarebbe già morto.
In Europa la necessità, salvo casi particolari, è diversa, per cui non è detto che il bilancio partecipativo sia la strada migliore. Spesso qui la necessità è piuttosto della politica, che cerca di riavvicinarsi ai cittadini.
Da cosa dipende il successo di un'esperienza di questo tipo?
Come già detto, dal contesto particolare, ma anche da elementi ricorrenti, come la volontà politica, che non può mancare, la quantità di finanze a disposizione, la forza del tessuto sociale, la necessità.
Quali sono invece i limiti, le difficoltà?
Una delle osservazioni che raccolgo più di frequente tra i sindaci riguarda i pochi fondi a disposizione. Però agli occhi della cittadinanza è meglio aprire anche quel poco alla partecipazione, che non tenerlo bloccato perché si tratta di una cifra esigua. Punti deboli: mi sembra che le esperienze italiane puntino ancora poco su strumenti che favoriscano l'inclusione sociale di categorie più svantaggiate, come i migranti o bambini per esempio. Sono le esperienze spagnole e francesi, soprattutto a muoversi in questo senso. Da noi, per dire, le assemblee pubbliche si tengono ancora soltanto in italiano, e questo è un primo limite. E poi tanti parlano di partecipazione senza averne capito lo spirito. Quasi sempre si tratta di proposte preconfezionate, ai cittadini viene chiesto solo un parere e non di partecipare attivamente alle scelte dell'amministrazione.!!pagebreak!!
I Piani regolatori di Mezzago e Trezzo
La nostra terra
La sostenibilità parte dal giardino di casa propria, parola di sindaco. A parlare, in questo caso, è Vittorio Pozzati, primo cittadino di Mezzago, paesino della Brianza milanese. Un amministratore “quasi scaduto”, come lui stesso si definisce: tra un paio di mesi si voterà per il rinnovo della giunta, Pozzati non è ricandidabile. Tra le diverse iniziative dell'ultimo mandato, anche la variante al Piano regolatore generale. Conferma: “Abbiamo scelto un percorso partecipato”. Che significa affidare il progetto a professionisti del Politecnico di Milano, ma soltanto dopo averlo discusso ed elaborato all'interno di tavoli di lavoro aperti e suddivisi per categorie: associazioni, imprenditori, cittadini. Chiare le indicazioni emerse dal confronto: recupero del centro storico, contenere l'espansione urbanistica entro il 7-10%, individuare territori “pregiati” da preservare e delle zone industriali, valorizzare l'agricoltura di qualità. Questo in particolare è stato un passaggio molto sentito da Mezzago, famosa per la produzione degli asparagi rosa, coltivati qui da un centinaio di anni e protagonisti, nel mese di maggio, di una sagra a loro dedicata. “Ma negli ultimi anni la produzione si era quasi esaurita”. Per questo è nata la Cooperativa agricola di asparagocoltori di Mezzago. Comunque qui a Mezzago la partecipazione è affare quotidiano: “Anche per risistemare una strada prima consultiamo gli abitanti della via”. Forse anche per questo il sindaco è tra i soci fondatori dell'associazione Rete del nuovo municipio.
Esperienza in parte analoga, ma agli albori, quella di Trezzo d'Adda. Anche questo Comune ha sottoscritto la Carta del nuovo municipio e ha avviato un processo partecipato per la stesura del nuovo Piano regolatore generale. “Un'operazione importante -spiega il vice sindaco Luca Rodda- perché un documento del genere lascia la sua impronta sul territorio per decenni”. E questo in un centro per due terzi non urbanizzato ma attraversato dall'austostrada A4 e minacciato dalla Pedemontana e dalla futura linea ferroviaria per il Gottardo, che proprio qui, a Trezzo, attraverserà il fiume. Il cammino verso il nuovo Prg è alle battute iniziali. “Stiamo definendo obiettivi e indirizzi”. Ai tavoli tecnici si alternano momenti più informali da cui emergono le prime esigenze: contenimento dell'espansione edilizia e esigenza di traghettare l'agricoltura, ancora molto diffusa, verso forme sempre più sostenibili.
Al Bloom, le istruzioni per consumare meno e meglio
Le istruzioni per consumare meno e meglio si imparano “Nel nostro piccolo”: Mezzago dedica dieci giorni -dall'1 al 9 maggio- a equo, bio e consumo critico. Con un ricco programma aperto dalla mostra di Terre di mezzo sui manifesti di “antipubblicità”. E poi, tra l'altro: Lorenzo Guadagnucci e Fabio Gavelli presentano Crisi di crescita (2 maggio); finanza etica, gruppi d'acquisto solidali, e bilanci di giustizia (3 maggio); democrazia partecipata e consumo critico (6 maggio). Inoltre concerti, workshop, animazione per bambini e, il 9, “suk globale”. Organizza il Bloom. Info: Cecilia Castellazzi, tel. 328-48.22.351, e-mail attentialglobo@bloomnet.org