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Ambiente / Opinioni

La maschera di Bergamo e Brescia “Capitale italiana della cultura” e quei cartelli-verità

All’indomani dell’inaugurazione della rassegna annuale, ignoti attivisti hanno riscritto i manifesti pubblicitari dell’evento, ricordando le emergenze del consumo di suolo, dell’inquinamento sul territorio, del greenwashing. “Io sto con chi ha riscritto quei cartelli”, scrive il professor Paolo Pileri. Una forma di cultura alta e liberatrice

Bergamo e Brescia si sono vestite a festa in questi giorni per dare il via all’anno che le vedrà Capitale italiana della cultura. Puntuale, è arrivato a inaugurare il tutto il presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, seguito da altre autorità politiche. Per le strade, alle fermate dei bus, in stazione sono stati affissi manifesti pubblicitari inneggianti all’iniziativa. Poi è calata la notte e il giorno successivo sono cambiate le parole di quegli stessi manifesti: da capitali della cultura, le due città sono diventate “capitali delle morti da inquinamento”, del cemento, dello smog del greenwashing e così via. Una riscrittura che ha fatto cadere la maschera pomposa e scintillante.

Cartelli studiati, i cui contenuti sono circostanziati da dati accurati e fonti scientifiche, quindi non si tratta di un intervento da dilettanti. Siamo davanti ai soliti imbrattatori da condannare a pene severe? O a quelli a cui non va mai bene nulla? Secondo me sono solo persone oneste, che amano le cose come sono e gli viene l’itterizia quando sentono puzza di ipocrisia. Io sto dalla parte di chi ha manomesso quei cartelli e mi complimento per il lavoro di alta cultura che hanno fatto.

Se leggiamo, ad esempio, i dati sul consumo di suolo, non possiamo che dare loro ragione. L’ultimo rapporto dell’Istituto superiore per la protezione e la ricerca ambientale (Ispra), che prende in considerazione gli anni 2020-2021, evidenzia come proprio nelle Provincie di Bergamo e Brescia si sia concentrato il maggior consumo di suolo annuo con ben 143 gli ettari di terreno cementificati nella prima e 307 nella seconda. Per un totale di 450 ettari, pari al 51% di tutto il suolo “consumato” in Lombardia. Per chi legge da lontano è importante ricordare che questi due territori si estendono per metà in aree montane e per il resto nella Pianura padana, ed è soprattutto qui che si è consumato il “massacro” di suolo. Per intenderci, è qui che passa la famosa autostrada Brebemi, costruita da zero nel bel mezzo della pianura più agricola d’Europa dove negli ultimi anni sono sorte un numero spropositato di infrastrutture per la logistica: dai capannoni alle rotonde, dalle piazzole di sosta per i Tir agli svincoli e alle nuove strade. In questi anni le due città non hanno fermato la costruzione di tangenziali e tangenzialine un po’ ovunque: famosa e dolorosissima quella che sta spaccando in due la zona vitivinicola della Franciacorta, ad Adro (BS).

Ma torniamo ai numeri. Le due Province da sole hanno consumato più suolo di tutto il Lazio e quasi quanto la Campania o la Sicilia. Un’enormità. Il dato pro-capite in quella di Brescia di 2,45 metri quadrati per abitante è stato il più alto della Lombardia nel periodo 2020-2021 e maggiore rispetto a tutte le Regioni italiane (con l’unica eccezione dell’Abruzzo). Nella sola città di Brescia sono stati cancellati 8,4 ettari in un solo anno (seconda città in Lombardia) mentre a Bergamo il dato è di 4,7 ettari (che si aggiudica un poco invidiabile quarto posto nella graduatoria regionale).

Con questi numeri non è possibile parlare di “virtù civica” o di “buona pratica di governo” (del territorio), per riprendere e reinterpretare un paio di passaggi del discorso d’inaugurazione del presidente Mattarella. Come possiamo, allora, non approvare il gesto di chi ha voluto rimettere le frasi al giusto posto, ricordando di che cosa sono (anche) capitali queste due Province e città. Non è per fare il bastian contrario o per rompere le uova nel paniere del marketing turistico, ma penso sinceramente che non ci sia permesso di parlare di cultura fuori dal tempo, dalle urgenze e dalle contraddizioni del tempo in cui viviamo. Voglio quindi sperare che le celebrazioni nelle due Capitali non saranno eventi fini a se stessi solo per attirare turisti paganti (in onore al modello consumistico), ma siano occasione per affrontare con coraggio questioni “scomode ma ineludibili” e mettere a fuoco quale cultura vogliamo portare nel futuro. “La cultura è anche il coraggio di uscire dagli schemi”, ha affermato Mattarella. Giusto: e così ha rotto gli schemi chi ha riscritto quei cartelli.

Ma non altrettanto stanno facendo coloro che devono e possono uscire dallo schema dell’equazione “cemento uguale futuro”. Il consumo di suolo non può, né deve avere più lo spazio che ha occupato con presunzione in passato. Se però queste celebrazioni rimarranno un futile e inebriante calendario di divertimenti, addio. Se saranno un grande abbaglio per non vedere quel che c’è da cambiare, addio.

Diversamente bisogna affrettarsi ad ascoltare quei gentili e preparati “imbrattatori” che si sono presi la briga di sbatterci in faccia alcune scomode verità che non vogliamo ascoltare, che preferiamo non dire, che rovinerebbero la festa e i ricevimenti delle autorità. Non basta appiccicarsi al petto il titolo Capitale della cultura per farla franca e, soprattutto, per scansare di nuovo le grandi domande sulla sostenibilità alle quali è sempre più urgente non solo rispondere, ma mettere in atto quel cambio di modello sociale così ferocemente attaccato alla religione dello sviluppo e della crescita.

Allora, quali “mete e valori” credibili vogliono proporre Bergamo e Brescia al Paese senza fare un passo indietro dalla loro storia di cemento? Dovranno spiegarcelo. Voglio sperare che questo tipo di manifestazioni costose e baldanzose si siano date obiettivi culturali impegnativi e non solo frivoli, fuori dagli schemi del consumismo. Onestamente non ricordo quali siano stati i precedenti delle precedenti edizioni. Comunque restiamo in attesa di vedere di quale rinnovamento culturale saranno capaci queste due città con i loro territori, perché è questo che conta e che rimane ai giovani.

Dovranno onorare l’articolo 9 della Costituzione, giustamente ricordato dal Presidente, consegnando al Paese una traccia e una credibilità ecologica (questa volta ha ricordato la recente inclusione della dimensione ambientale ed ecologica proprio nell’articolo 9) ben diversa dai numeri cementizi che hanno sulle spalle. Se invece alla fine dell’anno ci troveremo solo con un po’ di feste e mostre alle spalle, con una lista di passerelle di politici e cantanti, avremo perso tempo e l’ennesima occasione. Io sto con chi ha riscritto quei cartelli. Con chi non ha paura di guardare in faccia i problemi. C’è una parte del Paese che chiede di dare spazio e tempo al ragionamento ecologico o altrimenti quelle celebrazioni della cultura saranno solo fumo negli occhi. Ascoltiamoli, ascoltateli. Non esasperiamo/esasperate il clima per poi portare quei gesti innocui a gesti facilmente sanzionabili. Non abbiamo bisogno di ipocrisia, ma di scomode verità da affrontare e avviare a soluzione. Non abbiamo bisogno di feste, se queste ci fanno ritardare sugli impegni verso la vera transizione ecologica e la cura del clima.

Paolo Pileri è ordinario di Pianificazione territoriale e ambientale al Politecnico di Milano. Il suo ultimo libro è “L’intelligenza del suolo” (Altreconomia, 2022)

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