Economia / Opinioni
L’industria dello sci non vuole cambiare modello e continua a esigere aiuti pubblici
Le aziende che gestiscono gli impianti di risalita chiedono al governo sostegni economici per via dei costi energetici. Manca però una visione alternativa al modello estrattivo dell’industria dello sci e chi evidenzia gli effetti dei cambiamenti climatici è bollato come un “ambientalista di facciata”. L’editoriale del direttore, Duccio Facchini
“Se decidessimo di non produrre neve artificiale o fermare gli impianti, ci saranno decine di migliaia di persone che non lavoreranno, quindi disoccupate. Non possiamo fermare la montagna”. Valeria Ghezzi, presidente dell’Associazione degli imprenditori funiviari (Anef) aderente a Confindustria, ha una concezione tutta sua della montagna. Se le aziende che rappresenta non fatturano o devono affrontare alti costi energetici, allora la natura smette di esistere, si ferma, come fosse un asset a uso privato utile solo se assicura buone rendite.
Le parole di Ghezzi giungono non a caso a ridosso dell’inizio della stagione invernale (3-4 dicembre, anche se alcuni comprensori hanno già aperto a fine novembre). L’obiettivo degli associati dell’Anef -il 90% delle 400 aziende attive in Italia- è quello di ottenere dallo Stato “soluzioni strutturali e non improntate alla contingenza”. Cioè soldi. “Chiediamo con forza che il governo riconosca in modo formale le aziende funiviarie quali energivore e, in considerazione del loro ruolo per il turismo e l’economia in montagna, le aiuti ad affrontare una situazione di difficoltà che, purtroppo, non dipende dalla capacità imprenditoriale”, ha detto Ghezzi.
L’associazione è abituata a esigere “ristori”. A seguito delle misure di contenimento dei contagi introdotte tra il 4 dicembre 2020 e il 30 aprile 2021, i gestori degli impianti di risalita hanno incassato complessivamente 430 milioni di euro di “risarcimenti” pubblici (calcolati in misura pari al 49% della media dei ricavi da biglietteria degli esercizi 2016-2019). Solo la Monterosa Spa ha percepito 7,9 milioni di contributo, e già nell’esercizio successivo (a cavallo tra 2021 e 2022) ha festeggiato il “miglior risultato di sempre”, in utile di 2,1 milioni.
Non è finita. Nell’ottobre 2021 il Governo Draghi ha dato il via libera alla possibilità di classificare sia gli impianti a fune sia i sistemi di “innevamento programmato” come beni oggetto dell’agevolazione “Industria 4.0”, inclusi i mezzi battipista. E in Lombardia quest’estate la Regione ha attivato un bando da 1,1 milioni di euro a sostegno della “gestione degli impianti da risalita e delle piste da sci lombarde innevate artificialmente”. Ora è il turno del bonus energivori, da pretendere anche con motivazioni ardite: “Gli impianti sono un mezzo di trasporto che garantisce l’accessibilità alle terre alte a un mondo che altrimenti ben pochi vedrebbero -sempre Ghezzi a fine ottobre-. Mantenere gli impianti a fune vuol dire mantenere il territorio di montagna italiano presidiato”.
Guai a farsi sfiorare dal dubbio che il modello estrattivo dell’industria dello sci possa continuare ad andare avanti come oggi, sfidato non tanto dai contingenti costi energetici quanto soprattutto dai permanenti cambiamenti climatici già in atto (il 2022 è stato l’anno peggiore mai osservato per i ghiacciai alpini), per non citare gli impatti ambientali e l’impoverimento di territori sacrificati al turismo mordi e fuggi.
L’Anef sembra non voler sentirne, tanto da aver promosso a settembre la propria visione di montagna in un “Manifesto” dove non si fa mai riferimento al climate change. Il nemico della sostenibilità per gli impiantisti è “l’ambientalismo di facciata, utilizzato in modo strumentale e demagogico da chi non abita i territori di montagna”, l’acqua è “essenziale per la ‘nevificazione’” ed è “semplicemente presa in prestito e trasformata in neve per essere poi naturalmente restituita in primavera”, “visti gli ultimi mesi particolarmente siccitosi” è necessario realizzare “bacini di accumulo in quota”, e il “rischio idrogeologico è molto minore dove ci sono gli impianti di risalita”.
Una retorica per cui la montagna vive solo grazie agli impianti (“Noi siamo l’ultimo baluardo” ha affermato il presidente di Anef Toscana, Rolando Galli) e che tenta di cancellare alcune “sproporzioni”. Prendiamo il canone per l’uso di acqua versato alla Provincia di Belluno da chi ne fa neve artificiale nella zona di Cortina d’Ampezzo: nel 2021, ci ha fatto sapere l’ente locale, a fronte di 5,7 milioni di metri cubi di acqua di “moduli concessi” sono stati versati dal privato al pubblico appena 14.696,05 euro.
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