Diritti
Non libera piazza in non libero stato
L’articolo di Alessandro Robecchi riportato qui sotto è uscito sul Manifesto di oggi. Racconta di un episodio avvenuto a Lecco (un giovane identificato e inquisito per avere "disturbato" con delle domande impertinenti il comizio del ministro La Russa). Robecchi giustamente…
L’articolo di Alessandro Robecchi riportato qui sotto è uscito sul Manifesto di oggi. Racconta di un episodio avvenuto a Lecco (un giovane identificato e inquisito per avere "disturbato" con delle domande impertinenti il comizio del ministro La Russa). Robecchi giustamente collega il fatto ad altri analoghi avvenuti negli ultimi mesi in altre parti d’Italia.
Aggiungo un dettaglio relativo a Firenze, durante la visita del presidente del consiglio, arrivato in città martedì scorso per sostenere il candidato sindaco della destra, l’ex calciatore Giovanni Galli. Berlusconi ha tenuto una conferenza stampa in un albergo del centro, che poteva essere seguita anche dall’esterno (in piazza Ognissanti) grazie a un maxischermo.
La piazza è stata però circondata dalla polizia e potevano passare il cordone solo cittadini selezionati con l’aiuto – incredibilmente – di parlamentari e consiglieri comunali della destra. La polizia ha quindi ceduto parte dei propri compiti a privati cittadini impegnati in politica. Potevano entrare solo simpatizzanti della destra, venivano esclusi i cittadini considerati – a torto o a ragione – vicini alla parte avversa. In qualche caso ai cittadini che si vedevano negato l’accesso alla piazza e al maxischermo, è stato spiegato che certo "non sarebbero andati lì ad applaudire".
La libertà di circolazione, di accesso ai luoghi pubblici e d’espressione sono state negate in un colpo solo. E la polizia ha rinunciato alla sua autonomia funzionale e professionale, creando un bruttissimo precedente. Di questo parliamo quando ci occupiamo di episodi come quello di Lecco.
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di Alessandro Robecchi
Suona un po’ ridicolo e démodé, l’articolo 654 del codice penale, un articolo vintage che sa di ventennio (quello là) e che dunque ben si adatta al ventennio (questo qua): “grida e manifestazioni sediziose”, nientemeno. La denuncia parte dal vicequestore di Lecco Guglielmino e colpisce un giovane della stessa città, Duccio Facchini.
Inopinatamente sedizioso il contesto: mentre il ministro La Russa era in visita a Lecco per sostenere il suo candidato alla provincia e rilasciava copiose interviste, il ragazzo urlava, dall’altro lato della piazza, frasi come “La Russa chiedi scusa all’Onu”, o anche “E ve la prendete coi i migranti”. Tutto qui. Non una sberla (a parte quelle incassate dal Facchini, zittito dalla polizia), non un contatto fisico, solo qualche urlo, ma abbastanza per far saltare i nervi al ministro e al suo codazzo. E poi tutto rigorosamente documentato in video e finito su Youtube, compreso lo sprezzante ordine gracchiato da La Russa: “Se lo possiamo identificare e portare via…”.
Un piccolo caso di provincia, dunque, una quotidiana e normale dimostrazione di arroganza del potere, cose che non finiscono nei giornali, nei tg tantomeno, figurarsi (sacrilegio!). Non come quando gruppetti di giovinotti contestavano ogni uscita di Prodi, e non solo nessuno li “identificava”, ma diventavano l’apertura dei Tg del comitato elettorale Mediaset (ringraziamo Mentana per la definizione, ai tempi ne faceva ancora parte).
Eppure, qualcosa emerge. Piano piano, a poco a poco, come relitti in mare, mille episodi affiorano. Non passa giorno che sulle colonne dei giornali della sinistra, o in rete, qualcuno non lamenti di essere stato “identificato”. Spuntano minuscole notizie. La Gelmini contestata in Brianza chiama “pirla” i contestatori e poi dice di averlo fatto per stemperare gli animi. Non un cenno nei tg, per esempio sulla contestazione per Berlusconi a Firenze (sui cartelli, i titoli dei giornali stranieri). Non una riga per la carica della polizia a Prato, dove poche centinaia di persone assolutamente pacifiche vengono malmenate. Anche in questi casi tutto sta su Youtube, è lì da vedere. Alla fine si arriva ai grandi numeri. I due ragazzi che a Napoli urlano a Berlusconi: “Non venire più in Abruzzo, ci rovini!”. Identificati.
Tra i cittadini che a Firenze hanno fischiato il premier: 15 identificati. Qualcuno fischia fuori dalle tendopoli abruzzesi. Identificato. Senza contare le situazioni in cui le contestazioni non arrivano nemmeno all’onore delle cronache, nemmeno al trafiletto, e tocca addirittura al contestato darne conto. Le agenzie battono: “A Bari i contestatori erano uno sparuto gruppetto” e le virgolette sono di esponenti Pdl, cioè si dà il commento (sprezzante) ma non la notizia. E sul corteo de L’Aquila, nemmeno una riga, silenzio obbligatorio.
Ad ogni apparizione pubblica della junta al governo, insomma, media plaudenti, silenzio di tomba sui fischi e le contestazioni, gran lavoro delle autorità di polizia per identificare i “sediziosi”, setacciare il pubblico per gli incontri del premier, dove non si entra se non si è provati sostenitori, e decidere, nel caso, a quale articolo del codice penale ricorrere. I video finiscono su Youtube, girano in rete, la contestazione negata dall’informazione e nascosta dai dipendenti del contestato diventa semiclandestina, una specie di samizdad negato al grande pubblico che di quelle grida sediziose non sa e non deve sapere.
Andrea Camilleri l’ha chiamata la “sindrome del Raphael”, ricordando le monetine lanciate a Craxi qualche millennio fa: nascondere ogni dissenso è imperativo categorico. Contestatori, fischi, “urla sediziose”, tutto va negato e cancellato dai media, come nelle antiche e divertenti veline del regime, che si tratti della vita privata del premier (“Ricordarsi che le fotografie del Duce non vanno pubblicate se non sono state autorizzate” – 1936) o della crisi economica (“Non toccare l’argomento delle cosiddette code davanti ai negozi” – 1940). E questo si sa.
La cosa più preoccupante, invece è il passaggio successivo: appurato che si può cancellare la realtà dai media, sbianchettare i tg di proprietà o controllati, premere sulla stampa; allo stesso modo si pensa di poterla cancellare dalle piazze, usare un questore, un vicequestore, un pubblico ufficiale come fosse un qualunque caporedattore dei tg di famiglia, insomma, un dipendente. “Identificatelo e portatelo via”. Detto e fatto. Signorsì, signore.