Diritti
Le mele marce nella polizia, il declino dei democratici
A Genova è in corso una clamorosa inchiesta a carico di un nutrito numero di poliziotti, accusati d’essere coinvolti – anche come consumatori, e spesso in servizio – in un vasto giro di cocaina. Non è la prima volta che…
A Genova è in corso una clamorosa inchiesta a carico di un nutrito numero di poliziotti, accusati d’essere coinvolti – anche come consumatori, e spesso in servizio – in un vasto giro di cocaina. Non è la prima volta che agenti della questura genovese finiscono sotto inchiesta.
Salvatore Palidda, sociologo, autore di un libro molto noto sulle forze dell’ordine ("Polizia postmoderna"), ha scritto questo intervento sull’edizione ligure di Repubblica, invitando a una riflessione si ciò che accade nella polizia, sulle ragioni di una certa deriva antidemocratica e sul ruolo, appunto, dei democratici, dentro e fuori questo corpo dello stato.
Perché tante mele marce nella polizia
Salvatore Palidda*
LA VICENDA degli agenti della polizia di stato arrestati insieme a una
decina di spacciatori di cocaina (resa nota ieri da Repubblica con un
articolo di Massimo Calandri) è purtroppo l´ennesimo episodio in cui si
scopre che degli operatori delle cosiddette forze dell´ordine sono
diventati delinquenti se non criminali abituali. Sono passati pochi mesi
dal precedente episodio riguardante altri della narcotici genovese che da
più di dodici anni sequestravano per loro stessi droga e danaro, si
circondavano di confidenti fidati a cui affidavano anche lo spaccio dei
loro sequestri, avevano il conto a Montecarlo ma non mancavano di mettere
in scena delle belle operazioni con sequestri di droghe e arresti di
qualche pusher. E´ quasi certo che alcuni dirigenti diranno subito che
"non bisogna fare di tutta l´erba un fascio" e che, si sa, ci sono sempre
delle "mele marce" anche nelle buone famiglie. Tuttavia se si analizzano i
diversi fatti di corruzione, abusi, violenze e altri reati commessi da
agenti e dirigenti delle forze di polizia nazionali e locali, stando solo
ai fatti noti che sicuramente sono solo una parte del fenomeno, e provando
anche a fare un raffronto con quanto succede in altri paesi democratici,
si possono ricavare le seguenti considerazioni.
1) La devianza se non della criminalità grave di operatori delle forze di
polizia si riproduce da sempre, ma ci sono periodi e luoghi in cui può
accentuarsi.
2) Le autorità politiche e i vertici non hanno mai predisposto né il
monitoraggio, né un serio studio, né progetti di prevenzione, repressione
e risanamento adeguati.
3) Le abituali "indagini interne" che a volte sembravano voler sradicare
la "malapianta" (si ricordi fra le altre il rapporto Serra sulla questura
di Bologna dopo la scoperta della "uno bianca") si sono sempre risolte in
ben pochi e banali provvedimenti lasciando "tutto come prima" (sono parole
di agenti che hanno vissuto da vicino queste vicende).
4) Periodicamente alcune questure o commissariati, caserme, comandi dei CC
o altre strutture anche della GdF o di polizie locali (si pensi ai recenti
fatti della "panda nera" di Calcio in cui sono stati coinvolti operatori
di tutte le polizie e alla vicenda degli agenti razzisti e vigliacchi di
Parma) si rivelano particolarmente "infetti" di tale "male" (per nulla
oscuro). E´ questo anche il caso di Genova non solo per quanto è successo
al G8, ma anche per la costellazione dei vari altri fatti (fra i quali non
va dimenticato neanche il coinvolgimento di dirigenti di Ps nella
struttura illegale creata da Saya, per non parlare prima delle
performances del colonnello Riccio e di altre storie "liguri", per finire
ai delinquenti della narcotici).
Così come fu evidente nel caso della "Uno bianca" di Bologna, se per tanti
anni alcuni operatori perpetuano atti criminali è quasi certo che
l´"ambiente" in cui lavorano se non è complice, oscilla fra indifferenza
(che non è ammissibile) e tolleranza (che è parente della complicità
passiva e che può diventare attiva, cioè correità). Allora perché non è
mai stato pensato un progetto di risanamento di tali ambienti?
5) In tutti i paesi democratici esistono delle strutture di controllo per
prevenire, reprimere e risanare la delinquenza nelle forze di polizia.
Teoricamente anche in Italia; ma, anche quando qualche dirigente
democratico ha tentato di proporre misure esemplari, i vertici hanno
optato per l´insabbiamento abituale e qualche banale punizione di pesci
piccoli.
6) Ovviamente la responsabilità di tutto ciò non è solo dei vertici delle
polizie ma innanzitutto delle autorità politiche che si sono sempre
preoccupati di prostrarsi a difesa dell´onorabilità della "forza pubblica"
di cui peraltro non hanno mai osato auspicare neanche un minimo di
razionalizzazione democratica (e forse non a caso). Fra i paesi che dopo
il 1945 hanno provveduto al risanamento democratico delle istituzioni,
l´Italia è l´unico Paese in cui manca ancor oggi un minimo effettivo
controllo democratico delle forze di polizia nazionali e locali (mentre,
ahinoi, si istituzionalizzano anche le ronde).
7) Un´altra responsabilità della riproduzione della delinquenza fra le
polizie appartiene anche all´autorità giudiziaria quasi sempre ultra
timida sino alla legittimazione di fatto dell´impunità dei rèi (ben nota
per i fatti del G8 di Genova). E´ vero che disporre di una polizia
giudiziaria effettivamente indipendente è assai difficile e che parte
della magistratura partecipa a giochi di potere e quindi di scambio di
favori, che passano anche attraverso lo scambio di coperture. Ma non
sarebbe indispensabile l´impegno comune dei democratici che comunque ci
sono nei ranghi delle polizie e della magistratura quantomeno per
resistere a derive in cui, non a caso, si mescola corruzione, abusi,
autoritarismo e razzismo?
8) Infine, dov´è la mobilitazione dei democratici della società locale
(quelli che rivendicano civismo) per la trasparenza democratica delle
forze di polizia e la gestione della sicurezza?
*docente di sociologia della devianza e del controllo sociale Università
di Genova