Diritti
Bolzaneto, una sentenza da utilizzare
La sentenza per i maltrattamenti sui detenuti nella caserma di Bolzaneto ha suscitato in noi – che ci occupiamo di Genova G8 da anni – un certo disappunto, perché il messaggio che esce dal tribunale è debole rispetto alla gravità dei…
La sentenza per i maltrattamenti sui detenuti nella caserma di Bolzaneto ha suscitato in noi – che ci occupiamo di Genova G8 da anni – un certo disappunto, perché il messaggio che esce dal tribunale è debole rispetto alla gravità dei fatti. Ma parlare di sentenza beffa, di sentenza scandalosa che suscita indignazione – come è stato fatto – è sbagliato e soprattutto controproducente.
Siamo di fronte a una sentenza che ci delude ma che segna un punto importante: per la prima volta un gruppo nutrito di agenti e funzionari è condannato in tribunale per fatti gravissimi e infamanti compiuti nell’esercizio delle proprire funzioni. Il tribunale ha certificato ciò che i testimoni sostengono da anni e che i pm hanno ricostruito nei dettagli. Non è poco, e potrebbe essere la base per un’azione politica e culturale importante.
Si potrebbe chiede la sospensione dei funzionari condannati, forse il licenziamento di qualcuno; ci si potrebbe battere per una seria legge sulla tortura; si potrebbero incalzare i vertici delle polizie e dei ministeri perché mandino finalmente un messaggio di ripudio e di denuncia di quanto accaduto a Bolzaneto; si potrebbe lanciare una campagna per l’affermazione del diritto all’espressione del dissenso, pesantemente negato a Genova nel 2001 e messo in discussione dalla mancata risposta politica a quella caduta di legalità costituzionale.
Si potrebbe insomma passare all’azione, avviare una campagna sociale, politica e d’informazione, anziché limitarsi a gridare allo scandalo per una sentenza che non soddisfa.
Il vero scandalo è nell’insieme delle cose: l’impunità di fatto garantita a tutti grazie alla prescrizione e all’ipocrita affermazione che di Genova G8 deve occuparsi la magistratura; la copertura garantita dal potere politico in modo bipartisan ai vertici delle forze dell’ordine; il rifiuto di ripudiare la condotta delle forze dell’ordine a Genova; le promozioni accordate ai maggiori imputati nei processi; il pervicace no alla commissione d’inchiesta.
Come si diceva una volta, il problema è politico…
Qui un’intervista audio su Micromega.net
E un articolo dell’avvocato Alesssandro Gamberini uscito oggi sul Manifesto
IMPORTANTE QUELLA SENTENZA DI PRIMO GRADO
Alessandro Gamberini
Sono rimasto sconcertato leggendo sui giornali i commenti alla sentenza sui fatti di Bolzaneto. In primo luogo il delitto di tortura non esiste nel nostro paese per una volontà pervicace del sistema politico, nelle sue componenti di destra ma anche di parte della sinistra – basta leggersi le preoccupazioni su questo punto da Di Pietro, ma anche dai responsabili della giustizia dei Ds sul pericolo che si colpisse l’eccesso di zelo degli agenti (sic!): non si è così mai data priorità all’approvazione in Parlamento di una legge, come l’Italia si era impegnata a fare anche in sede internazionale, che introducesse nel sistema penale questo reato. Una responsabilità politica dunque e non giudiziaria.
In questa situazione rispetto ai comportamenti infami realizzati a Bolzaneto i Pubblici ministeri hanno ricostruito faticosamente un’imputazione cercando di aggrapparsi qua e là a fattispecie del codice penale, che puniscono in modo inadeguato i trattamenti inumani e degradanti verso persone arrestate o comunque detenute. Hanno individuato i responsabili – nella difficoltà poter operare un riconoscimento diretto degli autori delle violenze – attraverso un itinerario spesso indiziario legato alle posizioni di comando e alla presenza sul luogo dei fatti. Una ricostruzione esposta nel vaglio del giudice, che in sentenza si è risolto in molte, forse troppe assoluzioni, per come da parte civile conosco la vicenda. Suscita anche forti interrogativi l’esclusione di alcune aggravanti (i motivi abbietti): leggeremo in motivazione la spiegazione. Ma la sentenza condanna pur sempre molti agenti di p.s. e della polizia penitenziaria a pene severe (obbligatoriamente indultate e comunque a breve prescritte). Condanna severamente Alessandro Perugini e Anna Poggi due dirigenti del ministero degli Interni, condanna Giacomo Toccafondi che dirigeva l’ambulatorio medico a Bolzaneto in quel contesto.
Inutile oggi scandalizzarsi di un condono che l’intero sistema politico ha voluto – salvo alcune eccezioni – e che viene applicato anche a costoro. Inutile scandalizzarsi oggi di una prescrizione rispetto a reati che sono stati contestati per come sono iscritti nel nostro codice e che hanno prescrizione molto breve proprio perché si tratta di reati con pene inadeguate. Dire che la sentenza non riconosce la gravità dei fatti accaduti a Bolzaneto è operarne una lettura miope, e anche un po’ suicida.
Quel dispositivo non nega i fatti accaduti a Bolzaneto, ridimensiona le responsabilità individuali, ma ciò appartiene alle regole del gioco, alla civiltà di un sistema penale che non fa del giudice lo strumento per una decimazione politica, ma gli impone una verifica personalistica delle imputazioni. Un processo che ha avuto oltre 150 udienze, nelle quali il Tribunale ha pazientemente ricostruito, ascoltando in contraddittorio centinaia di testimoni, impegnandosi in una corsa contro il tempo per evitare che la prescrizione arrivasse prima della sentenza di primo grado, prima che si potesse anche solo dire che quei fatti vi erano stati e qualcuno ne era responsabile, non può essere trattato nei suoi esiti con lo sguardo irridente che si rivolge all’avversario politico. Se non approcciamo le scelte del sistema giudiziario, tenendo conto delle sue regole, altre appunto rispetto a quelle del commento politico, finiamo per fare un’operazione speculare a quella che opera Berlusconi.
Mantengo il mio disaccordo per alcuni esiti di questa sentenza, ma il modo con il quale si è pervenuti a tale risultato meritano rispetto, e lo scandalo menato da alcuni commentatori è un fuor d’opera dovuto a una lettura superficiale dell’accaduto.