Diritti
UN’EUROPA NONVIOLENTA?…
UN’EUROPA NONVIOLENTA? La nonviolenza è in cammino è un bollettino quotidiano curato con grande energia e altrettanto acume da Peppe Sini. Ospita interventi su temi d’attualità e una ricca antologia di testi sulla nonviolenza e il pacifismo. Sul numero 707…
UN’EUROPA NONVIOLENTA?
La nonviolenza è in cammino è un bollettino quotidiano curato con grande energia e altrettanto acume da Peppe Sini. Ospita interventi su temi d’attualità e una ricca antologia di testi sulla nonviolenza e il pacifismo. Sul numero 707 del 18 ottobre 2003 è ospitato un mio interevento in merito alla proposta di Lidia Menapace, che vorrebbe vedere nascere, in questa fase costituente, un’Europa neutrale, pacifista, attivamente nonviolenta. Ecco il testo.
Quante volte abbiamo detto che la guerra deve diventare un tabu’ culturale? E che questo passaggio epocale deve avvenire presto, prestissimo? La globalizzazione liberista sta vivendo una fase delicata: con l’economia che non riesce piu’ a garantire le granitiche certezze di un tempo (il collasso argentino, il crac Enron, la pluriennale stagnazione giapponese e il declino del sistema produttivo euro-nordamericano sono evidenti segnali di crisi), l’apparato militare sta tornando ad assumere un ruolo guida, con tutto cio’ che ne consegue in termini di politica di potenza, neo-imperialismo e rottura dei legami multilaterali da parte del paese guida, gli Stati Uniti d’America. Lo stesso fallimento del vertice di Cancun della Wto, che di per se’ mette un granello di sabbia in un meccanismo che ha finora stritolato i paesi del Sud del mondo, rischia di spingere gli Usa a un’ulteriore accelerazione della loro scelta “unilateralista”. Per tutte queste ragioni, e visto il contesto di guerra permanente che si va delineando in una fetta sempre piu’ larga del pianeta, e’ urgente porre un freno a questa deriva e immaginare proposte alternative al nuovo, militarizzato ordine mondiale. In questa chiave la proposta di Lidia Menapace per un’Europa votata alla neutralita’, al ripudio della guerra, propensa alla scelta della nonviolenza, assume la fisionomia di un’alternativa sia politica che culturale, perche’ affronta le emergenze del presente e si rifa’ a una tradizione di pensiero e di azione che puo’ trovare nuovi spazi di crescita nella societa’ europea. Detto questo, e per non ripetere valutazioni gia’ fatte da altri, vorrei aggiungere una specifica riflessione attorno a uno degli “effetti collaterali” dovuti alla deriva militarista guidata dagli Usa e assecondata da un’Europa finora incapace di proporre un modello alternativo di relazioni internazionali. Mi riferisco all’ondata di autoritarismo e alle politiche liberticide che stanno mettendo a repentaglio diritti e liberta’ che credevamo radicati nelle nostre democrazie. Il punto di svolta, probabilmente, va individuato nell’11 settembre 2001 e nella conseguente, pervasiva campagna cosiddetta antiterroristica, che ha comportato diffuse e marcate limitazioni delle liberta’ civili. Gia’ prima di quella data, tuttavia, la tendenza autoritaria si era ampiamente manifestata, ad esempio nelle legislazioni anti-immigrazione con una tendenziale introduzione di un doppio livello di cittadinanza (un’aberrazione per la tradizione giuridica europea) o nelle clamorose repressioni di massa durante manifestazioni e cortei: a Genova nel luglio 2001 abbiamo avuto quella piu’ vasta e plateale ma non l’unica. Gli esempi da fare sarebbero moltissimi e riferiti a vari paesi del vecchio continente, ma limitiamoci all’Italia, rinviando al libro di Roberto Festa, Il mondo da Shenikin Street. Reportage sulle liberta’ civili, Eleuthera, Milano 2002, per una panoramica che spazia da Israele agli Stati Uniti all’Olanda. Dunque partiamo da Genova, autentico doppio test nella prospettiva della costruzione di una democrazia autoritaria. Doppio, perche’ alla “prova generale” di repressione poliziesca di massa (gia’ sperimentata su scala minore nel marzo 2001 a Napoli), si e’ aggiunta una gestione del “dopo G8” da brividi: nessuna presa di distanza delle forze dell’ordine e del governo nemmeno dagli episodi piu’ clamorosi, come le torture alla caserma di Bolzaneto e le falsificazioni che hanno accompagnato la mattanza alla Diaz; promozione, anziche’ rimozione, degli altissimi dirigenti indagati per Diaz e Bolzaneto (in tutto 73 fra agenti e funzionari, inclusi alcuni medici penitenziari); preparazione di uno scontro giudiziario nel processo Diaz, con politici-avvocati come Biondi e La Russa impegnati nella difesa di agenti e funzionari. Dopo Genova abbiamo avuto in rapida successione la rivolta (assecondata dai leader della destra di governo) degli agenti della questura di Napoli (aprile 2002), che si incatenarono per protestare contro gli arresti domiciliari inflitti a otto loro colleghi indagati per i maltrattamenti nella caserma Raniero denunciati da decine di persone fermate durante la protesta contro il Global Forum; la clamorosa inchiesta della procura di Cosenza (novembre 2002) contro un gruppo di militanti della Rete meridionale del Sud Ribelle, accusati di gravissimi reati d’opinione (inclusa la sovversione violenta dell’ordinamento economico dello stato e la compartecipazione psichica ai danneggiamenti compiuti a Genova dal Black Bloc); la sconcertante ordinanza d’archiviazione (maggio 2003) dell’inchiesta sull’uccisione di Carlo Giuliani, che accetta l’improbabile teoria del proiettile deviato da un calcinaccio e afferma che il carabiniere Placanica non solo agi’ per legittima difesa ma facendo un “uso legittimo delle armi”, configurando cosi’ un pericoloso precedente, oltre a mandare un esplicito messaggio lassista alle forze dell’ordine; la recente, preoccupante contestazione di reati associativi al gruppo Action di Roma, attivo nel campo del diritto alla casa, con gli attivisti perquisiti e accusati nientemeno che di associazione a delinquere finalizzata al danneggiamento della proprieta’ immobiliare. Sono solo esempi, ai quali potremmo aggiungere molto altro, come l’allarmante situazione dei centri di permanenza temporanea (quando faremo una seria ricognizione, un vero “reportage sulle liberta’ civili” viste dall’interno dei Cpt?), la circolare del prefetto De Gennaro sui controlli di polizia all’esterno delle scuole (con annessa perquisizione domiciliare per alcuni allievi di un liceo romano) e la stessa reclamizzatissima iniziativa del vice premier Fini che propone si’ di concedere agli immigrati il diritto di voto, ma intanto pone requisiti di censo e di rapporti con la giustizia (l’assenza non tanto di condanne per gravi reati quanto la semplice pendenza di procedimenti penali) che sono altrettanti attentati alla nostra civilta’ giuridica. E a qualcuno e’ forse sfuggita la recente legge contro la violenza negli stadi? Probabilmente si’, perche’ il provvedimento e’ stato accolto come un intervento necessario per arginare un fenomeno preoccupante. Eppure quel provvedimento contiene una norma allarmante: l’arresto in flagranza differita. In sostanza la polizia e’ autorizzata a compiere arresti, senza provvedimento della magistratura, anche 36 ore dopo i fatti, sulla base di “prove” fotografiche o d’altro genere. E’ una palese forzatura dell’articolo 13 della Costituzione, che limita esclusivamente al caso della flagranza la possibilita’ di compiere arresti senza un “atto motivato della magistratura”: e’ un evidente spostamento dell’ago della bilancia dal piatto del garantismo a quello della repressione. Anche qui si crea un precedente pericolosissimo, perche’ in nome della lotta alla violenza negli stadi si pongono le premesse per ulteriori concessioni alla logica dell’autoritarismo e delle limitazioni dei diritti civili. Non a caso gia’ nel dibattito parlamentare, e piu’ di recente dopo gli scontri di piazza a Roma del 4 ottobre, si e’ parlato di estendere il principio della “flagranza differita” alle manifestazioni politiche e sindacali. Tutto cio’ – dalla tolleranza verso la violenza “istituzionale” agli aberranti concetti di “compartecipazione psichica” e “flagranza differita” – non nasce certamente dal caso, ma da una deriva prosperata attorno al concetto di sicurezza, utilizzato a destra e a sinistra come una bandiera acchiappa-voti. Anche senza citare il terribile Patriot Act statunitense, che ha cancellato una tradizione secolare di tutela normativa dei diritti dell’individuo, ci troviamo alle prese con una rinascita dell’autoritarismo che sta lentamente trasformando la nostra democrazia, con l’apparente consenso dell’opinione pubblica e l’attivo contributo di una classe politica che mostra piu’ attenzione per gli umori popolari, compresi quelli dettati dalla paura e dal pregiudizio, che per i principi e le regole della democrazia. In questo contesto partecipare alla costruzione di nuove istituzioni continentali proponendo valori come la nonviolenza, la partecipazione democratica, il ripudio della guerra, e’ un’operazione politica di largo respiro, che puo’ trovare consenso, spinta e mobilitazione in quel “popolo della pace” che si e’ opposto nei mesi e negli anni scorsi alla fuorviante ricerca di una presunta sicurezza comune al riparo degli apparati militari e di avventure belliche potenzialmente senza fine.
Lorenzo Guadagnucci