Diritti
L’industria della guerra cresce, anche lontana dalle armi
Non solo produttori di armi, ma anche organizzazioni di sicurezza e di supporto logistico hanno beneficiato degli ultimi 10 anni di "boom" militare.
Superato il decennale dall’attentato alle Torri Gemelle di New York e raggiunto anche in questi giorni il decimo anniversario dell’inizio del conflitto in Afghanistan, non è stupefacente incontrare dati che dimostano una notevole crescita dell’industria militare e della sicurezza nel decennio.
Prendendo come riferimento principale gli Stati Uniti (che sono ancora e di gran lunga i maggiori protagonisti delle spese militari mondiali) basta semplicemente dire che il budget annuale della Difesa USA è più che raddoppiato, passando da 316 miliardi di dollari a 708 miliardi, e i profitti dell’industria a produzione militare si sono attestati sui 25 miliardi annui, praticamente quadruplicando. Recentemente il Washington Post ha cercato di fare luce anche sull’aspetto alle aziende che prosperano con i fondi che, dopo la distruzione delle Torri Gemelle, sono affluiti copiosi nell’ambito della sicurezza e del controspionaggio. Il mondo delle spie "top secret" sarebbe ora composto da 1271 agenzie federali e 1931 società private dislocate in oltre 10.000 siti su tutto il territorio nazionale. Questo grovilgio di agenzie e organizzazioni comporta che circa 854 mila persone nel Paese dispongano di autorizzazioni di accesso a dati segreti. Un moltiplicarsi di attività che purtroppo non è però servita a rendere più sicuri i teatri di conflitto nel mondo.
Accanto a queste dinamiche, che appaiono realistiche nella situazione che si è venuta a creare, c’è però un altro aspetto da non dimenticare. Come ci possono mostrare le ricostruzioni degli spostamenti e delle vendite di armi, sempre più è la parte logistica ad essere protagonista della vita quoditiana degli eserciti e dei conflitti. Il che riporta la mente la famosa frase attribuita al Generale Omar Bradley: "I dilettanti parlano di strategia, i professionisti si occupano di logistica".
E quindi non ci si deve stupire se accanto a colossi della produzione militare come Lochkeed Martin (che ha visto crescere i propri contratti con la Difesa USA dai 14.7 miliardi del 2001 ai 28 miliardi del 2011) e Northrop Grumman (da 5,2 miliardi agli attuali 12,8 miliardi di contratti) tra le aziende che sono diventate ricche con il decennio di guerra statunitense compaiano alcune dalla natura prettamente "civile".
Qualche esempio? La British Petroleum, che intasca oltre un miliardo per il carburante (in Afghanistan la spesa è stimata in circa 100.000 dollari all’anno per singolo soldato!). La FedEx, colosso tra i corrieri espresso, che nel 2010 ha ricevuto 1,4 miliardi per i suoi servizi e già nel 2011 ha superato il miliardo di dollari di contratti, uno dei quali (182 milioni) per portare frutta e verdura fresca ai soldati in giro per il mondo. Non a caso le sue azioni sono raddoppiate in questi ultimi dieci anni. E accanto ad esse la Dell (per le ovvie necessità informatiche) ma anche la Kraft e la Pepsi che hanno fatto affari per oltre 350 milioni e oltre 200 milioni rispettivamente.
Il tavolo dei buoni affari sicuri e coperti dai soldi pubblici è stato ben apparecchiato in questi ultimi dieci anni, e qualche azienda è riuscita con profitto a sedersi e ad approfittarne.