Diritti
La vera storia delle armi italiane in Libia
Ecco come è avvenuta – nel 2009 – la fornitura di 7500 pistole e di 3700 fucili “made in Italy” al regime di Gheddafi
Il 10 giugno del 2009 Gheddafi non è arrivato a Roma solo con la tenda, le amazzoni e la foto dell’eroe libico appiccicata alla divisa. Nel suo seguito qualcuno portava anche un documento, un “Certificato di utente finale”, che ha dato il via ad oltre 10.000 pistole e fucili Beretta per un viaggio dall’Italia alla Libia avvenuto ben prima dello scoppiare della guerra civile nel Paese nordafricano. E ora quelle pistole sono tra quelle che sparano nelle strade al centro del conflitto. Della maggior fornitura di armi leggere italiane in Libia dalla fine dell’embargo nel 2004 si sapeva solo l’importo complessivo: 8,1 milioni di euro riportati dall’ISTAT per l’export del 2009 ma, come per tutti questi dati, senza dettaglio dell’effettivo materiale trasferito (la dicitura è relativa alla classe di appartenenza: “armi, munizioni e loro parti e accessori”).
Grazie a un banale errore del Governo di Malta, Altreconomia è però ora in grado di descrivere in maniera documentata tutti i passaggi di questa vendita: 7.500 pistole, 1.900 carabine e 1.800 fucili finiti alla fine del 2009 nelle mani del settore di Pubblica Sicurezza del Comitato Popolare Generale (l’istituzione di Governo Libica).
Non si è trattato di certo di armamenti ordinari. Le semi-automatiche PX4 possono avere caricatori da oltre 10 colpi (fino a 15) e sono disegnate in maniera ergonomica per permettere uno sparo più facile, con un peso davvero ridotto di circa 800 grammi (www.px4storm.it). Ancora più impressionanti, ad un semplice sguardo, le carabine CX4 Storm: secondo i dati tecnici diffusi dalla stessa Beretta ci troviamo di fronte ad una “carabina semi-automatica di facilissimo impiego, con grande affidabilità e stabilità nel tiro in rapida successione. La canna in acciaio ad alta resistenza garantisce un elevato standard di precisione”. La carabina può essere accoppiata, tra le altre cose, con sistemi di puntamento ottico e laser che ne dimostrano la destinazione a tiratori addestrati e non certo ai vigili di quartiere (www.cx4storm.it).
Infine, il fucile a canna liscia calibro 12 della Benelli venduto ai libici fa parte di una famiglia di prodotti per cui la casa costruttrice garantisce affidabilità e grande precisione di tiro. Si tratta dello stesso modello (l’M4 Super 90) in dotazione al Corpo dei Marines dal 1998, ed è tra i pochi espressamente progettato per l’uso militare (secondo l’azienda ha ottenuto risultati eccezionali nei test effettuati in USA proprio per il bando di fornitura al corpo dell’esercito statunitense).
Eppure dopo l’arrivo del “Certificato di uso finale”, indispensabile per far partire qualsiasi procedura legale di esportazione, la Fabbrica d’Armi Pietro Beretta ha chiesto autorizzazione agli uffici competenti secondo la legge 110 del 1975, che si applica alle armi non militari. Sottolineando così un “buco” rilevante della nostra legislazione che, nel prevedere due diversi percorsi per armi civili e militari, lascia troppa discrezionalità in alcuni casi al limite.
Nella sostanza, infatti, è difficile pensare ad un utilizzo non militare per le 7500 pistole PX4 (calibro 9, con caricatore supplementare ed accessori) e le 1900 carabine CX4 (calibro 9, anch’esse con caricatore supplementare) la cui richiesta di autorizzazione è stata inoltrata alla Prefettura di Brescia, ed anche per i 1800 fucili ad anima liscia Benelli il cui incartamento è stato inoltrato alla Questura di Brescia, che ha richiesto parere al Ministero degli Interni.
Entrambe le licenze sono state concesse il 3 novembre del 2009 e già il 9 novembre la Beretta ha emesso le relative fatture (24 per la fornitura di pistole e carabine e 5 per i fucili). L’effettivo trasporto internazionale della merce si è originato dal porto di La Spezia – stipato in quattro container dal peso totale di circa 17 quintali – il 29 novembre 2009 e lo spedizioniere (Brointermed Lines Limited, che ha un proprio ufficio nel porto ligure) ha poi scelto di effettuare scalo anche a Malta, il che ha dato origine all’errore di segnalazione sul valore complessivo della vendita.
Ma solamente dieci mesi dopo, a fine settembre del 2010, il compratore finale delle armi ha controfirmato l’effettiva presa in carico con una dichiarazione sottoscritta dal Colonnello Mohamed El Daimi, a capo della Direzione Armamenti della Pubblica Sicurezza. Un lasso di tempo enorme, tanto è vero che la Beretta, a seguito anche di conferma scritta ufficiale dell’Ambasciatore d’Italia a Tripoli datata 11 ottobre 2010, ha potuto segnalare la conclusione positiva del trasferimento al Ministero dell’Interno solo un anno ed un giorno dopo il rilascio della relativa autorizzazione (e circa 11 mesi dopo l’effettiva consegna delle armi).
Infine il pagamento. Da informazioni giornalistiche rilanciate da Bruxelles sembra che la banca utilizzata dai libici sia la Gumhouria Bank che come banca corrispondente italiana ha la UBAE, istituto ben presente nelle liste della legge 185 sull’appoggio al commercio di armi, la cui maggioranza è in mano alla Libyan Foreign Bank ma a cui partecipano anche Unicredit (per oltre il 10%) il gruppo ENI (5%) ed anche il Monte dei Paschi di Siena (3,5%).
Seguire le tracce di questo episodio è utile perché mostra in concreto una vendita di armi leggere, senza lo schermo alla comprensione dato delle fredde cifre e statistiche. Per questo risultato dobbiamo ringraziare la superficialità di alcuni funzionari maltesi: ancora una volta si dimostra l’inaffidabilità dei controlli e delle informazioni sul commercio di armi a livello internazionale.
Allo scoppiare della rivolta contro il rais di Tripoli, infatti, molti organi di informazione (un recente ottimo articolo lo trovate sul Guardian) hanno riportato i dati riguardanti i principali fornitori europei di armi a Gheddafi: Malta veniva a trovarsi nei primi cinque posti, soprattutto grazie ad un’enorme fornitura di armi leggere di 80 milioni di euro complessivi.
Poste sotto pressione da queste cifre (presenti nel Rapporto ufficiale UE sulle vendite di armi, composto a partire da segnalazioni degli stessi Governi) le autorità maltesi, Ministero degli Esteri e Ministero delle Finanze in primis, hanno rilasciato dichiarazioni ufficiali secondo le quali “le armi in questione erano italiane, pienamente autorizzate da Roma e dall’Ambasciata italiana a Tripoli al trasporto e non hanno mai toccato terra nel porto di Valletta”. Siccome però nei corrispondenti dai italiani di tale cifra non vi era traccia (né verso Malta, né verso la Libia) si poteva sospettare plausibilmente che qualche trasferimento non fosse stato in realtà autorizzato (con un’operazione descritta come “triangolazione”).
Secondo immediate indiscrezioni di stampa era stata la Beretta di Gardone Val Trompia l’origine delle armi finite in Libia: l’azienda che ha smentito seccamente giudicando “priva di qualunque fondamento la notizia relativa ad una presunta fornitura di 79 milioni di euro di armi da parte dell’azienda al governo libico tramite Malta”. Una dichiarazione confermata almeno formalmente dal colpo di scena finale: il 2 marzo il Governo maltese ha dichiarato che la cifra totale segnalata nel rapporto europeo era stata erroneamente gonfiata (con l’aggiunta finale di uno “zero”) per colpa di alcuni documenti male compilati dall’agente locale a Valletta della ditta incaricata del trasporto (a riguardo è stata poi emessa una precisazione ufficiale, che è qui visualizzata). Una leggerezza che per alcuni giorni ha messo in subbuglio ambasciate e funzionari, messi sotto pressione dall’opinione pubblica per gli stretti rapporti di molti governi ed imprese con il regime libico, ma grazie alla quale una vendita certamente legale ed autorizzata, in un periodo in cui Gheddafi era considerato un amico e non un “pazzo”, si è per la prima volta rivelata in tutti i propri dettagli.
Dimostrando – al contrario di tutte le rassicurazioni fornite dei Governi – la debolezza dei controlli sul commercio mondiale di armi e la scarsa trasparenza esistente a riguardo: l’Italia non ha infatti dichiarato all’UE la propria vendita (che compare solo nelle statistiche nazionali di export, come detto) e nessuno avrebbe potuto conoscere l’esatto numero di pistole e fucili consegnati. Autorizzati come armi ad uso civile e poi finiti molto probabilmente sulle piazze degli scontri di questi giorni, che hanno causato almeno 2000 morti.